L’ultima signora del maniero
Lussemburgo, ottobre 2021
Il castello, adagiato da centinaia di anni su uno sperone roccioso, scruta le case della povera gente con aria supponente. In basso, lungo la strada che si snoda fino a lui, una serie di abitazioni abbraccia il suo imponente padrone, restando al suo servizio con cibo, tessuti, oggetti e manodopera a basso costo. Lui, castello tra i molti del Granducato, vive riccamente, confortevolmente, spensieratamente, grazie al villaggio sottostante. Rapporti di potere che esistono da sempre. E perdurano.
Aggirandomi nelle viuzze di uno dei villaggi medievali del Granducato del Lussemburgo, l’atmosfera di quell’epoca mi appare, prepotente, soprattutto nei giorni grigi e nebbiosi di inizio autunno, quando le foglie tingono le foreste con una paletta di magnifici colori. La nebbia risale, lenta, dai corsi d’acqua. A Vianden è l’Our. A Esch, il Sûre. A sud-est, la Mosella che segna il confine con la Germania. L’aria serale di fine ottobre, per quanto tiepida, diventa più pungente. E tuttavia, il giorno seguente il sole splende e le case di Vianden paiono specchiarsi nell’Our, sovrastate dall’imponente maniero costruito tra l’XI e il XIV secolo.
I castelli lussemburghesi sono molti, per una regione tanto piccola. E sono i testimoni di un’epoca che, a volte, sfiora quella moderna. Come a Beaufort. Le tracce dell’occupazione svaniranno a poco a poco, poiché è vuoto solo da nove anni. Colpisce il contrasto tra la parte medievale e renaissance. Della prima, soltanto alcuni splendidi resti, ancora evocatori.
Accanto, l’edificio rinascimentale eretto dal governatore Jean de Beck a partire dal 1643. Alle finestre del lato occupato dalle donne, le inferriate implicano protezione, ma forse anche prigionia.
Sarà stata una vita migliore delle serve che lavorano al castello, migliore delle operaie che abitano i quartieri bassi? Certamente sì, sotto molti aspetti. Mentre le signore si dedicavano ai ricami, allo studio o alla musica, le operaie fornivano pane o altri prodotti, la servitù preparava stanze e banchetti. In una sera d’ottobre di secoli fa, una sera esattamente come questa, in cucina fervevano le attività. Il ricevimento che inaugurava la vita al castello stava per iniziare. Ed ecco, prima di servire a tavola, appendere la catena del focolare — la crémaillère — l’ultimo elemento della cucina, che permetteva di cuocere ad altezze diverse il cibo. Tradizione che è rimasta ancor oggi nella lingua francese: la pendaison de la crémaillère è la festa di inaugurazione di una nuova abitazione.
Da quel giorno, quanti pasti consumati nelle ampie sale! A Beaufort si protrassero fin nel 2012, quando la padrona dei luoghi, a novantasei anni, ancora mangiava nella sala da pranzo dopo che l’inserviente era partita. Guardo la foto dell’ultima occupante del castello, una bella donna che faceva ben più giovane della sua età. Ha trascorso lunghi anni qui dentro, sola dopo la morte del marito. La porta di entrata della sua camera da letto è doppia perché, quando era chiusa quella interna, la servitù non potesse più entrare. Al castello, nessuno ebbe mai bisogno di sfondare quella porta per portarle soccorso. Dove spirò, dunque, l’ultima signora di Beaufort? Io me la immagino esalare l’ultimo respiro sulla sua meravigliosa terrazza, o davanti allo scrittoio, mentre ammirava il paesaggio. Una lunga vita nella quale, libera da impegni, deve aver respirato aria di libertà. Mi chiedo se ha percorso le strade del suo paese… ammirato le colline, i castelli, i prati… parlato con la gente comune, quella delle case in basso, che le mura della sua dimora tenevano certamente lontane.
Il suo volto sereno e buono mi fa pensare di sì. Ma, forse, questa è solo l’ennesima favola nella quale vorrei credere.
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