Un’accettabile modernità

Manuela Bonfanti Bozzini
The Travelogue
Published in
5 min readSep 30, 2019

Romania 2019

Gli inquietanti occhi di Sibiu sono degli abbaini

Prima della Romania si incontrano i rumeni. È destino che accada, prima o poi: solo in Italia sono quasi due milioni. La legge della sincronicità vuole che ne incontri quattro nell’arco di poche settimane. Sono le famose badanti: quasi sempre donne che, malgrado nel loro paese si siano a volte specializzate in altri mestieri, arrivano da noi per occuparsi di persone anziane. Simona, Silvia, Aurelia o Dori non sono solo dei nomi, ma persone in carne e ossa. Uguali a tante incrociate laggiù. Ma ognuna diversa dall’altra.

Quello che mi porta in Romania è un viaggio nel viaggio, seimila chilometri percorsi in un mese per giungere all’estremo Est di un’Europa della quale la Romania fa parte dal 2007, e tornare sfrecciando attraverso Slovenia, Ungheria, Serbia e Croazia. Paesi dissimili tra loro, soprattutto l’Ungheria che non è unita agli altri dall’appartenenza allo stesso ceppo linguistico. Dell’ungherese non capisco neanche una parola e, così, oltrepassare il confine che la separa dalla Romania è ancor più gradevole: l’oasi latina in un’enclave slava offre la rassicurante certezza che, dopo la misteriosa e indecifrabile Ungheria, qui capirò e mi farò capire. Non mi sbaglio. Il rumeno è la lingua più vicina al latino e loro, con la lingua di Dante, hanno una certa dimestichezza.

Il Danubio all’altezza di Novi Sad in Serbia, una delle tappe

Relegata ad Est e dimenticata dalle rotte turistiche, la Romania ha molto da offrire. Non fermatevi ai pregiudizi perché, attraversando la frontiera all’altezza di Orodea, la prima impressione non è quella buona: ci si trova dinnanzi a una vasta zona industriale con edifici fatiscenti, come spesso accade nelle periferie delle grandi città dove il centro storico è conservato per il turismo mentre la gente vive altrove. Circolare in bicicletta permette di attraversare anche i quartieri residenziali senza fascino, come nella bella Budapest. Ma mi basta lei. Rifuggo Bucarest e le sue sorelle: le città non fanno per me, non mi interessa la modernità. Mi concentro sulle piccole perle come Sibiu, Alba Iulia, Curtea de Arges. Al di fuori dei centri urbani industriali c’è la campagna e il suo splendore.

Alba Iulia

Proseguo su strade più rattoppate delle braghe di mio nonno verso monti tra i quali sono adagiati gioielli architettonici e culturali. Entrate a visitare una biserica catolica o un manastirea. Disseminati sul territorio, questi simboli di pietra sono testimoni di una fede ancora salda. Nella sola Oltenia, una delle regioni rumene, si possono visitare più di una decina di monasteri ortodossi ancora abitati dai quasi novemila monaci che risiedono sull’intero territorio. Uno dei momenti forti del viaggio è fermarsi ad ammirare gli splendidi dipinti. Ma non è tutto. Ci sono i castelli. Dall’immancabile Bran, preso d’assalto dai turisti perché Stoker vi ambientò il suo Dracula malgrado il principe Vlad Tepes, a cui si ispirò, non vi avesse mai messo piede, ad altri meno conosciuti ma altrettanto spettacolari. A dover scegliere la dimora del famigerato conte, opterei per il castello medievale di Corvino a Hunedoara. Ma lui è una leggenda, alimentata dall’aria tranquilla e riservata della Romania che, nella sua semplice austerità, contribuisce a formare l’identità dell’Est europeo. Senza scordare le differenze: le identità diverse che vi convivono, marcate dalle dominazioni straniere e dal feroce comunismo, hanno composto un paesaggio geografico e culturale unico.

Il castello di Corvino

In questo paese, semplicità e austerità coabitano ancora in modo armonioso con i cambiamenti del XXI secolo, offrendo un’accettabile modernità. A giudicare dall’esiguità del turismo, la Romania è un segreto ben nascosto. E vorrei che rimanesse tale. Ma non so se potrà accadere: i luoghi sono magnifici, la gente ospitale, il patrimonio eccezionale. Le montagne ospitano orsi, linci e lupi. Le campagne sono punteggiate dai covoni di fieno, l’agricoltura non è ancora meccanizzata e i carretti trainati da cavalli circolano per le strade con la stessa dignità delle auto. E poi c’è la gente. Colgo alcuni attimi fugaci di come vive, ma sono lungi dal capire realmente chi sono i rumeni. So soltanto che i veri protagonisti della storia della Romania sono loro.

Sì, torniamo a parlare della gente. Dei prìncipi ma anche e soprattutto delle badanti, dei contadini o dei minatori che fino al 1932 si inabissavano nelle impressionanti miniere di Turda muniti soltanto di lanterne, o dei resistenti al comunismo che si arroccavano nei monti Fagaras, aiutati dalle loro coraggiose donne, per evitare le torture e le orribili prigioni. Malgrado l’evidente bellezza dei luoghi, non tutto è roseo, anzi. C’è un passato ancora troppo presente, le difficoltà del vivere quotidiano, la ricerca di una stabilità. Non solo il comunismo, secondo Silvia, anche le regole dell’Unione Europea hanno sconvolto la Romania. In molti hanno perso l’impiego e c’è chi, come lei, ha scelto di lasciare la sua patria per arrivare laddove il futuro pare migliore. Lasciare non soltanto la sua terra, bensì anche il suo lavoro di insegnante e continuare a formarsi fino ad ottenere dei diplomi che, un giorno, impiegherà nella sua patria natale. Perché lei, come gli altri, in Romania ci vuole tornare e portare le sue competenze alla nazione che ama unendo le sue forze a chi, come suo figlio, laggiù è rimasto per scelta.

E ora credo di capire meglio il perché.

The Travelogue è una rivista on line curata da scrittori e scrittrici che viaggiano, alla ricerca di spunti, suggestioni, emozioni da trasformare in storie. Il viaggio per noi è una fonte di ispirazione, uno strumento per allargare i confini delle nostre vite, una scusa buona per inventare una nuova storia. La scrittura per noi è una necessità.

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Manuela Bonfanti Bozzini
The Travelogue

scrittrice e esploratrice — autrice di Ladra di memorie, Punti e interrogativi, La lettera G, Ladakh&Rupshu e blog Voci dal silenzio. FB manuelabonfantiautrice