Appuntamento alle diciotto

Laura Izzo
This brave new world
5 min readJun 5, 2020

Lancetta corta e lancetta lunga allineate: una punta verso l’alto, una verso il basso. Sono le diciotto. Le sei di sera. Six p.m. Per noi abitanti del Nord Italia le sei di sera rappresentano un confine, dove traghettati da un Caronte in veste di oste passiamo dalle sponde sterili dell’ufficio a quelle fertili del bar. È ora dell’aperitivo, chiaro. Un prosecco in giacca e cravatta al bancone di un bar hipster ha il suo fascino, lo ammetto. Se poi sono hipster torinesi veri, ciao, brodo di giuggiole. Novelli Cesare usciamo dall’ufficio trapassando quel Rubicone di libertà, il confine tra la terra del dovere e quella del piacere. Questa era l’abitudine del torinese, del milanese, del veneziano fino al 9 marzo.

La quarantena ha fatto uscire lati di noi italiani che forse conoscevamo, ma che sono stati estremizzati dai media. Siamo effettivamente un popolo schiavo dello spritz? È veramente il nostro unico obiettivo di vita per ricominciare a vivere? “I drogati della fata arancione”, scrive Loredana Lipperini in un articolo.

Le sei di sera sono diventate il nuovo spartiacque da quarantena. Dal “bollettino dei caduti” della Protezione Civile in stile Hunger Games su Rai Uno, alle press conference del nostro presidente del Consiglio. Le diciotto sono state per molti di noi quel momento per rendersi conto di non aver fatto il workout per il quale ci si era vestiti la mattina, e realizzare che è l’ora di rimettere la tuta; ma è anche lo stesso momento in cui chi è stato tutto il giorno in Zoom decide di infilarsi in un paio di scarpe comode e fare una corsetta, sempre a debita distanza dal prossimo, chiaro. Mascherina? Non è obbligatoria. Grazie, ci concedono di non finire all’ospedale per fare un po’ di cardio.

Facciamo un salto nel passato e torniamo all’ormai obsoleto mese di marzo; come dimenticare il patriottico saluto al popolo con quei vibranti video poco instagrammabili dei flashmob sui balconi? Erano sempre le diciotto, oh sì. Gli stendardi tricolori che sventolano, una posticcia unità patriottica e valorosi cittadini affacciati a cantare dalle proprie finestre incastonate in formicai cittadini Volareeeee ohhh ohhh. Un universale coro di incoraggiamento: “Ce la faremo”.

Commovente momento di solidarietà leopardiana. “La resistenza dei balconi” qualcuno ha addirittura osato un paragone ai partigiani, che contrastano un virus nazista a suon di lievito di birra e binge-watching di Netflix. Ad oggi tutte queste cose risultano passate e vecchie. Fa tutto così Fase 1. Eppure questo metodo così ciociaro di affrontare l’ansia da reclusione, pare essere esclusiva del nostro allegro paese. Nel resto d’Europa la solidarietà e il calore umano non è stato espresso con commoventi e tamarre manifestazioni con i dirimpettai. Un grande cliché italiano, “volemose bbene”. Così dalla CNN, passando per Le Figaro, sfiorando El Pais e approdando alla BBC, giornalisti di tutto il mondo parlano del nostro affettuoso saluto solidale facendoci capire che stiamo simpatici noi italiani, ma che facciamo anche un po’ di tenerezza. “Carini loro”, avranno pensato i loro lettori, “questi buffi e allegri patatoni italiani”.

Per non parlare delle folli acclamanti dirette Instagram alle diciotto. Non ho mai visto così tanti pallini lampeggianti al posto del contorno rosso alla foto profilo tipico delle stories.

Dirette di influencers, dirette di workout, video sul make up, video sul come mangiare sano in quarantena, dirette di discussione sulle scelte di Conte, video di Conte, video su come fare le dirette, dirette su come fare i video, dirette di come Conte fa i video per le dirette. Sebbene le criticassi sempre ammetto di averne guardata qualcuna anche io, quando fare squat e addominali da sola mi rendeva ancora più depressa del dovuto, c’era sempre qualche influencer disoccupata improvvisata personal coach pronta a darmi il suo sostegno tra commenti in sovraimpressione, problemi di connessione e filtri. A qualcuno è pure andata male con i filtri, come al parroco di Polla, in provincia di Salerno, che per sbaglio mentre registrava la Messa in diretta ha attivato filtri poco in sintonia con la Quaresima. Avete riso anche voi, lo so. Dunque niente e nessuno può scampare al fascino delle dirette, nemmeno la Chiesa Cattolica. Anche il Santo Padre si è messo a fare le dirette. Amen.

Ebbene. Quello che da noi al Nord del Sud del Nord del mondo è scontato, in altri paesi europei non significa un bel niente. L’ora dell’aperitivo, istituzionalmente le diciotto, è stata una delle materie d’esportazione italiane più importanti. Mentre in Corso Como il milanese imbruttito reclama Prosecco a suon di post su Instagram, a Napoli si beve un caffè, sognando la frittura di pesce della cena. Il culto di questo orario appartiene dunque a poche regioni, i cui abitanti sono addicted a questo appuntamento sociale che spesso rende il pasto della cena superato. A Stoccolma, ad esempio, le diciotto non sono altro che l’orario in cui le persone si rintanano in casa dopo il lavoro, oppure fanno una passeggiata. Al massimo organizzano una cena a casa di amici in pieno stile hygge (e vacci di qualunquismi). Io da fiera italiana pratico la religione dell’aperitivo, la gioia di noi norditalici bauscia, piemunteis e veneti. Penso attiverò una campagna di promozione del Vermentino delle diciotto. (Io sono team vino bianco fermo d’estate; rosso spesso d’inverno. Modalità cambio stagione). E come me tanti, amici e influencer, aspettavano trepidanti quella lancetta lunga che superasse il numero “12” per stappare una bottiglia di vino o miscelare un cocktail, per un aperitivo con gli amici in videochiamata o per farlo in solitudine.

In modalità alcolica, canora, o di comunicato stampa, in diretta o in differita, abbiamo tanti ricordi di questa Fase 1 e Fase 2, tanti sicuramente associati a queste dolci diciotto.

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Laura Izzo
This brave new world

Urbana e bucolica. Classicista e digitale. Storydesigner alla Scuola Holden.