Da grande voglio fare quello famoso

Mattia Tresoldi
This brave new world
5 min readJun 5, 2020

Sembra così facile… Ormai ci riescono tutti. Instagrammer e pulcini tiktoker. Questi più giovani, bisogna dirlo, la fama la prendono con una certa ironia. Anche gli animali riescono a diventare famosi. Perché io no? L’orso Knut, i pinguini gay, i gattini dei meme. Un sacco di gente è famosa per le cose più diverse. Però non vorrei i 15 minuti di fama, vorrei finire nei servizi in coda al tg con le star, icone di stile senza tempo. Sempre così dicono. Senza tempo. Io sono qui che aspetto al varco Costume e Società con il servizio su Cardi B che twerka e la giornalista:

icona di stile senza tempo.

Sarà musica per le mie orecchie. Adesso però non è un buon momento per essere una celebrità. Il New York Times ha tuonato: Celebrity Culture Is Burning.

In effetti c’è aria di cambiamento. Il MET Gala, espressione massima della Celebrity Culture, non si è tenuto il primo lunedì di maggio come di consueto. Al suo posto, un video YouTube in cui Anna Wintour chiede donazioni per il Metropolitan Museum of Art. Il mondo sta andando a rotoli: Lady Gaga quest’anno non ha potuto fare avanti e indietro sul carpet per 16 minuti di fila con tre cambi d’abito. Poverina… A me dispiace per lei. Ha pure dovuto posticipare l’uscita dell’album, e per questo si è beccata gli insulti dei fan. Non i miei. Perché allora non sarei un fan.

Non è un buon momento per essere una celebrità: in questo periodo ostentare la propria ricchezza è deplorevole e orde di follower inferociti si sono scagliati contro coloro che lo hanno fatto.

Ostentare. Una parola che mi fa rabbrividire. Come quando ti dicono che puoi essere gay ma non lo devi ostentare. Se non puoi mostrare quello che sei cosa stiamo qua a fare? Se non posti il selfie in palestra, il workout l’hai fatto per davvero? Un po’ le stiamo ricattando queste celebrity. Forse fino ad ora hanno ostentato il lusso perché era quello che ci aspettavamo da loro. Abbiamo chiesto loro di farci sognare ma allo stesso tempo di mostrarsi relatable. Pena: lo sdegno dei comuni mortali. Le ricattiamo affinché ci diano l’impressione di essere come noi, vogliamo che anche loro si scontrino con i problemi della vita nel Primo Mondo:

if Britney survived 2007 you can handle today.

Britney Spears è la mia preferita. Con un post che ha scatenato cose bellissime nel web ha incitato i suoi fan alla collettivizzazione e a indire uno sciopero. Qualche settimana dopo ha fatto cadere una candela e dato fuoco alla sua palestra privata. Alcuni ipotizzano sia affetta da demenza. Questo è il massimo del gossip oltreoceano che mi ha raggiunto in questi mesi, oltre a Gigi Hadid che ha rivelato di essere in dolce attesa.

Il rapporto con le celebrità potrebbe essersi temporaneamente incrinato, ma non credo si sia incrinato il rapporto con ciò che rappresentano. L’esclusività e la magia del lusso non hanno cessato di avere effetto. La logomania è alla ribalta; l’ossessione per ciò che si cela dietro una scritta o un paio di lettere sembra essersi acutizzata, e che cos’è un logo se non un’ostentazione? Lo hanno capito bene quelli di Netflix Élite che vestono gli studenti dell’istituto privato Las Encinas, tutti simil-influencer nella vita reale, con preppy clothes tanto denigrati in passato. Hanno conquistato me e migliaia di ragazzini a colpi di Polo Ralph Lauren. Nella quarta stagione post-pandemia saranno ancora ricchi sfondati. Ma poi questo mese loghini e loghetti si fanno arcobaleno, vuoi mettere? Linko qui un paio di slip della collezione Pride di Calvin Klein, questa settimana è il mio compleanno.

Matilda pronta per scendere in salotto, 25 marzo 2020

La bolla degli influencer stava già per scoppiare (sembra debba scoppiare ogni anno ma non scoppia mai) — la pandemia ha accelerato il processo per tutti, tranne che per la Chiara nazionale. Lei no. In Italia si è deciso che di lei proprio non si può fare a meno. Anche se è una comunista col Rolex. La migliore delle influencer rimane comunque il suo cane Matilda. La sua fama non ha contraddizioni, o criticità: quelle se le prende tutte la padrona. Lei non deluderà mai i suoi 353mila follower. Eppure, guarda come ostenta il suo benestare raggomitolata sotto il plaid di Louis Vuitton. Cazzo, vorrei essere Matilda Ferragni. Lei sì che è relatable. Vorrei potermela comprare quella borsa di Prada che ha al collo “per scendere in salotto.”

Oppure vorrei che qualcuno mi mettesse al collo una borsa di Prada e mi mantenesse. Oppure comprarmi un bulldog francese — chiamarlo Matilda, mettergli al collo una borsa di Prada e postare la foto. Ancora non ho deciso.

In quarantena, vedere la villa di Ellen DeGenres dà il voltastomaco, non perché non ti piace più ma perché l’invidia “aspirazionale” si trasforma in indinniazione: rinchiusi in quadrature ben più modeste, il sogno del megaloft appare troppo lontano ed è facile prendersela con chi te lo sbatte in faccia. È stata tanto criticata durante il lockdown, dopo aver detto di annoiarsi a casa. La villa però ce l’aveva anche quando veniva considerata relatable. E in America non si sono annoiati in quarantena? Non lo so… Noi no. Noi abbiamo panificato, tutto il giorno! E lo abbiamo postato nelle stories ostentando il nostro lievito madre. Tutti i giorni. L’Italia è un paese meraviglioso. Ognuno si sceglie la propria mondanità.

Rifiuto di credere che la fiamma dello sfarzo si affievolisca, se si spegne il glamour, mi spengo anche io: mi è stato insegnato che delle cose belle bisogna prendersene cura. La bellezza è un valore per se, e in questo spazio-tempo il bello, il mondano e l’esclusivo stanno ancora vicini. Ho bisogno dello scintillio, di una buona dose di teatralità, di quella cosa che in Sex and the City viene chiamata “the sparkle”. Carrie Bradshaw non vuole stare a letto a guardare la tv con mister Big, vuole i cocktail e il cibo del buffet, vuole essere spintonata nella folla di un qualche evento. Certo, ogni tanto anche lei va al drive-in: ordina un cheeseburger e patatine grandi. E un cosmopolitan. Agitato, non mescolato.

Mi ritrovo qui; nel mio monolocale in affitto, apro Instagram e vedo due bicchieri di plastica trasparente che si avvicinano — si allontanano — fanno cin cin in loop e mi intrattengono per 15 secondi. Guarda ‘ste due che ostentano i loro Aperol spritz. Non hanno un minimo di rispetto, di dignità?

Ho solo del vino aperto da quattro giorni in frigo. Non è cambiato niente.

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Mattia Tresoldi
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