Fare cortile is the new Aperitivo alle 19:00

Antonella Raso
This brave new world
5 min readJun 5, 2020

Questi mesi di lockdown, tra le tante cose, ci hanno regalato del tempo prezioso. Tempo che la maggior parte di noi italiani, da bravi rimuginatori di pensieri, ha usato per interrogarsi e ad addentrarsi nei meandri delle proprie menti. A partire dai più fantasiosi meme che hanno abbellito le nostre vetrine social con una ventata di leggerezza, per arrivare alle serissime interviste nei salotti di canale cinque dominati dalla Barbarella nazionale, il tema più ricorrente è stato sempre lo stesso: “Quando finirà tutto questo ricorderò ancora come si fa ad interagire con gli altri?

Con lo scadere della Fase1 e l’inizio della Fase2, se prima fantasticavamo su come sarebbe stato rivedere la nostra crush, adesso temiamo il giorno in cui dovremmo prenderci un caffè insieme -e se non era facile prima, figuriamoci adesso-. Abbiamo la possibilità di “ricongiungerci con i congiunti” eppure alla gran parte di noi l’idea, oltre per la probabilità di essere potenziali untori o possibili vittime, terrorizza: al posto della paura da contagio è subentrata l’ansia del non sapersi più relazionare, con o senza mascherina -grazie sempre Corona-.

Aspettiamo -Live non è d’Urso- con la stessa ansia con la quale attendiamo il Natale: che regalo meraviglioso il trash italiano.

Se da un lato il mondo virtuale in questi mesi è stato nostro fedele alleato, dall’altro ha avuto anche la spiacevole capacità di instaurare dentro di noi il dubbio che senza connessione wifi non fossimo più in grado di scambiare quattro chiacchiere. Abbiamo forse accettato il fatto che innescare faide familiari per scendere a buttare la spazzatura e idratare il nostro cucciolo fino allo stremo per andare a fare una passeggiata, siano le aspirazioni più grandi alla quali puntare per interagire con qualcuno? Quando anche queste “risorse” non saranno più in grado di soddisfarci, dove andremo a rifugiarci? Qui, ladies and gentlemen, entrano in gioco i cortili.

Dopo il via libera del nuovo sex simbol -con tanto di fanpage Instagram- Giuseppe Conte, io personalmente ho sentito l’esigenza di tornare nella mia terra e lasciare la mia amata Torino. Vengo da Palermo, ma la mia famiglia ha radici in un piccolo paese dell’agrigentino composto da non più di duemila abitanti. Lì sembra che tutto sia tornato come cinquant’anni fa. Camminando per le vie, nelle quali la distanza di sicurezza si può rispettare solamente stando in fila indiana per quanto sono strette, ho potuto vedere con i miei occhi, e scoprire subito dopo, l’universale fenomeno che mia nonna mi ha sempre raccontato con una certa nostalgia: il fare curtigghiu.

Sambuca di Sicilia, Cortile Navarro: cosa vedo? L’uscio di una casa, un bar, un campetto da calcio o semplicemente un luogo dove darsi un appuntamento fisso.

Non intendo limitare il tutto solo ad angoli di strade in sperduti borghi del sud, ritrovo le stesse caratteristiche anche nei giardini dei condomini in una #Milanopiuttostoferma, nelle case a ringhiera con le edere che scendono e salgono di piano in piano, nelle vere e proprie corti dove i vicini non sono solo tali, ma anche compagni di guerra contro un nemico comune.
Ognuno con la propria interpretazione, magari con il caffè in mano e le gambe accavallate su una staccionata, organizzando una classe di pilates accanto al vialetto del residence, si riunisce, parla e vive, semplicemente interagisce in un luogo comune, quasi immune, da ansie e virus.

Il cortile è un fatto sociale fortemente radicato nella cultura italiana, che negli anni è andato scemando fino a quasi scomparire in certe realtà, ma che adesso riemerge prepotente facendosi spazio nelle nostre nuove dinamiche quotidiane. Se prima incontrarsi voleva dire allontanarsi dalla propria abitazione, adesso -non più tanto paradossalmente e nemmeno poi così tanto forzatamente- fare cortile is the new aperitivo alle 19:00.

Quando le amiche, da un terrazzo in comune, trasformano un semplice invito in un evento speciale.

La gente ha messo in scena la sua personale riscrittura della normalità attraverso un ritorno al passato. I bambini accanto ai cancelli delle case che giocano a palla improvvisano due porte tra la smart della signora del 4°piano e la vespa del ragazzo del 6°, le anziane sbirciano fuori dalla porta in stile commari ficcanaso di Tornatore e i vecchietti sulle sedie intrecciate dissertano sul politico di turno.

D’un tratto la scena del film “Il Cortile” con i fratelli De Filippo, quando Eduardo tra i palazzi di una Napoli degli anni ‘50, fa quello che gli riesce meglio -suonare la sua chitarra in mezzo ai panni stesi- è più attuale che mai.

Se non fosse per il black and white e la grana spessa, l’avrei scambiato per l’IG story di qualche influencer.

Nonostante il tempo occupato grazie alle svariate opportunità che il web ci ha messo a disposizione e perché no, per alcuni anche il deepweb -quando anche Netflix stanca e l’ultimo film in uscita sembra essere l’unica cosa in grado di appagarci in quel momento- esiste lo stesso qualcosa che non può essere sostituito da nessun device. Essere diventati abili panificatori con i tutorial su YouTube, aver imparato qualche balletto su TikTok, esserci connessi con nostra prozia Giuseppina dall’America e non aver saltato nemmeno una diretta dei Ferragnez dal bosco verticale ha attenuato il nostro istinto naturale di essere animali sociali?

Siamo diventati dei level pro del dribbling virtuale ma questo non ha diminuito il nostro bisogno di relazionarci, di prendere parte attivamente a un qualcosa. Secondo la Piramide dei Bisogni di Maslow, a differenza dei bisogni fondamentali, i bisogni sociali e relazionali tendono a rinascere con nuovi e più ambiziosi obiettivi da raggiungere. Forse per questo, durante questo periodo siamo stati quasi costretti a diventare “utenti social” ma non abbiamo perso il nostro essere “persone sociali”.

Mettendo da parte i nostri smartphone tutti, pian piano, stiamo iniziando a immaginare possibili prospettive di come sarà la società quando le persone torneranno a interagire vis a vis, senza schermi con cristalli liquidi a dividerle. Invasi dai dubbi esistenziali sul giusto uso della consecutio temporum nelle nostre frasi e un uso ad cazzum del congiuntivo, ciò che ci tormenta riguarda proprio il tipo di comunicazione che ci attende.

La Fase3 è iniziata e quello che si percepisce nell’aria, oltre lo smog e il fastidio dello scandire delle nostre vite con il termine “fase”, rimanda a ciò che ci ha fatto riflettere così tanto da permettere il cambiamento inconsapevole che è avvenuto dentro di noi. Ritrovandoci, a poco a poco, in una realtà dove quella sensazione di disagio, che alcuni prevedono per la nostra società nel futuro prossimo, non esiste. È come se si fosse trovato un escamotage attingendo dall’esperienza, scoprendo così una soluzione che è sempre stata sotto i nostri occhi, ai piedi del nostro condominio, di fronte al nostro garage, girando l’angolo e affacciandoci dal balcone.

Il primo passo per esorcizzare l’ansia da distanziamento? Comincia dal tuo cortile.

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Antonella Raso
This brave new world

Una copywriter che skippa le pubblicità, una psicologa innamorata dell’anima controversa delle parole. Non a caso mi chiamano labellequerelle.