Il mio orologio da polso

Simone Aragona
This brave new world
5 min readJun 5, 2020

La scorsa settimana — non ricordo che giorno fosse — mi sono svegliato e mi sono accorto che il mio orologio da polso non era sul comodino, ossia dove avrebbe dovuto essere e dove è sempre stato di notte, da quando ho cominciato a portarlo, più di vent’anni fa. La cosa strana è che non ho dato eccessivo peso a questo fatto e ho proseguito la mia giornata senza nemmeno darmi la pena di controllare sotto il letto. Ricordo di aver semplicemente pensato che sarebbe saltato fuori da sé.

Il nonno di mio nonno aveva un orologio da taschino, che doveva ricaricare più o meno ogni otto ore (al tempo era uno dei migliori modelli sul mercato).
Mio nonno ha sempre portato un orologio Casio, di quelli praticamente indistruttibili.
Mio padre ha una di quelle patacche che si collegano allo smartphone e che ho difficoltà a includere nella categoria.
Io invece li colleziono gli orologi.

Come per molti, la mia passione per questi oggetti è nata grazie ai film di 007. E in particolare grazie a “Agente 007 — Thunderball”, con Sean Connery, girato nel 1965.

Per quel film (che avrò visto un centinaio di volte) la mitica Sezione Q dei servizi di Sua Maestà aveva fornito all’agente segreto più famoso di sempre un Breitling Top Time, modificato per fungere anche da contatore Geiger. Fu così che scoprii che un orologio da polso poteva fare qualcos’altro oltre a misurare il tempo, e non una cosa qualsiasi, ma qualcosa da agente segreto. E poco importa che la funzione in questione fosse assolutamente inutile e incomprensibile per il me bambino. Era un bell’oggetto e aveva una funzione segreta. Ancora meglio: una funzione da agenti segreti.

Breitling Top Time modificato in un fotogramma del film

Solo dopo venne l’estetica. Che per me è una sensazione di sicurezza molto difficile da spiegare. È come se un bell’orologio mi potesse proiettare in un universo di stile ed eleganza che ordinariamente non mi appartiene affatto. Non lo indosso per gli altri, ma per sentirmi più a mio agio nelle situazioni “sociali”. Un po’ come si porta una cravatta. Per questo non mi piacciono le pubblicità degli orologi moderni.

Brad Pitt nella pubblicità della Tag Heurer

Tenetevi pure Brad Pitt che si porta un dito sulle labbra, sfoggiando il suo nuovo e ripulitissimo modello di Tag Heuer, e restituitemi Paul Newman nell’abitacolo della sua auto da corsa, che guarda stanco e sudato verso l’obiettivo di una macchina fotografica. Ha un che di risentito in quella foto, come se quell’intrusione lo infastidisse. Al polso il suo orologio, e tutta l’aria di non curarsene affatto.

Paul Newman nell’abitacolo della sua automobile da corsa

Oppure Steve McQueen che guarda un tabellone mentre si alza la zip della sua tuta da corsa. É teso, ha paura, e il suo orologio da polso non ha alcuna mania di protagonismo. Tutto il contrario di Brad Pitt, poco più di un manichino con un bel faccino. Uno sfoggio estetico inutile, specie di questi tempi.

Steve McQueen e il suo iconico Tag Heurer modello Monaco

É illusorio pensare che gli orologi siano il frutto della modernità o anche solo della civiltà. Da Stonehenge alle meridiane cinesi del terzo millennio avanti Cristo, gli strumenti per la misurazione del tempo, hanno una storia troppo lunga per essere raccontata in un articolo. Tuttavia quella che potremmo definire funzione estetico-sociale di questi oggetti è molto più recente e va fatta risalire ai primi orologi portatili, del XV secolo.

Una certa presenza scenica

Pare che Enrico VIII portasse al collo, legato a una catena, il suo grosso orologio portatile che segnava solo le ore. É poi solo nel XIX secolo che gli orologi da taschino diventarono un oggetto di uso comune. Quanto all’orologio da polso, a parte i primi esperimenti, la loro ascesa è dovuta al primo conflitto mondiale.

La funzione estetica in ogni caso è sempre stata secondaria rispetto a quella pratico-funzionale, almeno fino all’avvento dei cellulari. Se cercate una conferma, chiedetevi quando è stata l’ultima volta che qualcuno vi ha chiesto l’ora o che voi l’avete chiesta a qualcuno. Per me, invece, la migliore prova è che ancora oggi mio nonno preferisce un orologio affidabile e resistente a uno bello; mentre mio padre sente un bisogno quasi istintivo di riempire il suo orologio di funzioni che usa di rado. Io invece non ne ho mai fatto una questione di affidabilità o di necessità, ma di socialità. L’orologio, per me, è poco più di un braccialetto colorato e se voglio sapere l’ora precisa o cronometrare qualcosa o svegliarmi a una certa ora, mi affido allo smartphone.

Tutto questo aveva ancora un senso per me, fino a due mesi fa. Oggi che invece la mia socialità è azzerata, lascio tranquillamente che il mio orologio da polso prenda polvere sotto al letto. A dire la verità però, il mio orologio da polso l’ho recuperato qualche giorno dopo e non me lo sono più tolto. Sono andato a cercarlo come se ne andasse della mia salute mentale, al ritorno dal supermercato, dopo aver passato tre quarti d’ora in fila e aver acquistato molto più tonno di quanto potrò mai mangiarne e la frutta sciroppata, che non mi è mai piaciuta.

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