In fondo a quest’armadio

Chiara Sanvincenti
This brave new world
6 min readJun 5, 2020

Per quanto sembrino cose di secondaria importanza, gli abiti non hanno solo la missione di tenerci al caldo. Essi cambiano l’aspetto del mondo ai nostri occhi e cambiano noi agli occhi del mondo. (Virginia Woolf)

Quando sento miagolare, so che probabilmente ho chiuso il gatto in un armadio. Va così: apro l’armadio, sfilo i jeans dalla gruccia, mi arrampico per prendere dal ripiano più alto il top che non uso da mesi, e intanto dentro si è già acciambellato un esserino peloso che ricoprirà di bianco il mio maglione nero. L’altro giorno, mentre cercavo di stanarlo dal mio guardaroba, mi sono soffermata a pensare a quella frase di Shakespeare che diceva: “L’abbigliamento spesso rivela l’uomo”.

Allora ho fatto un giro veloce: maglietta di Sydney, pantaloncini comprati in America in quel negozio hippie, t-shirt dell’Hard Rock di Barcellona, costumino greco. E poi la Diesel, la Levis, quei tre vestitini da dieci euro del mercato per uscire la sera d’estate, la Billabong, sempre perché sono metà australiana nel cuore. Poi ci sono quei dieci capi che se ne stanno da anni in fondo all’armadio, forse me li aveva regalati mia zia, nessuno mi dice di tenerli, ma assomigliano un po’ a tutte quelle cose che vorrei fare nella vita e non farò mai: se ne stanno lì a guardare. Come rappresentarmi meglio di così?

E se prendessi tutto, lo mettessi nell’armadio di una sconosciuta, e la obbligassi ad indossare per un mese i miei vestiti, non inizierebbe forse a sentire me sulla sua pelle, a prendere i miei modi?

O se li gettassi tutti in uno di quei cassoni bianchi, e mi ritrovassi senza niente, non potrei forse iniziare una nuova vita? Costruirmi una nuova persona, vestirmi di un nuovo modo di fare, di essere e apparire?

O potrei vivere così con un jeans e una maglietta. Come San Francesco con il suo saio. Lui li aveva donati ai poveri, ora il mondo è cambiato, e i ricchi non regalano più i propri abiti, ma ne comprano di nuovi, per “sostenere” il lavoro dei poveri. Comunque, vivere con poco è tornato di moda. Cresce in America ma anche nel resto dei paesi occidentali la filosofia del minimalismo esistenziale: si basa sulla rimozione del superfluo per focalizzare l’attenzione su ciò che conta davvero. Concentrarsi su ciò che produce significato. Applicare al proprio guardaroba questi principi significa imporre un cambio radicale a tutta la nostra vita. E se mi liberassi di tutti quei capi che mi servono per non sembrare “quella vestita sempre uguale”, se togliessi tutti quei colori, e conservassi solo bianco e nero… Libererei in questo modo anche la mia anima da tutta questa mole di pensieri, scuola famiglia, pulire, scegliere, apparire…

Poi apro Instagram e mi appare una foto di “Chiaretta”: una tra le tante influencer che trascorrono la loro quarantena in loop tuta-pigiama-tuta-pigiama come quasi tutti noi, ma ogni tanto fanno una “gita” nella sua cabina armadio, grossa quanto un monolocale. Ci mostra la parete con le borse Kelly e Birkin di Hermès e l’altra per tutte le Chanel, e si prova gli outfit che potrà sfoggiare un domani a feste e eventi mondani.

Il guardaroba diventa allora il luogo fantascientifico, la porta che conduce a un mondo fantastico come nelle Cronache di Narnia, o un nascondiglio da tutto il mondo fuori, che intanto è travolto dalla pandemia globale, per sentirsi un po’ come ET nell’armadio di Eliott tra i pupazzi, un trapuntone blu elettrico e migliaia di giocattoli. Steven Spielberg aveva bisogno di un ripostiglio abbastanza grande per fare da rifugio a una creatura speciale, discesa sulla Terra per compiere piccoli miracoli: doveva essere un mondo a parte in cui tutto è possibile. E non è forse la stessa l’aspirazione del perfetto guardaroba?

Analogo, se consideriamo gli adulti come bambini non così cresciuti, il guardaroba di Carrie Bradshaw nei film e nella serie “Sex & the City” dove trionfano i vestiti, le borse, le scarpe e poi scarpe, e altre scarpe. E io me ne innamoro a guardarlo dallo schermo, ma sinceramente non mi ci vedrei a mio agio la mattina, mentre faccio colazione infilandomi i jeans, e mi lavo i denti allacciandomi i Dr. Martens, che “ma sì, tanto sono neri e stanno bene su tutto”. La quarantena, o meglio la Smart school e lo Smart working hanno risolto il problema. Ti svegli dieci minuti prima dell’inizio della lezione, ti lavi la faccia, infili una maglietta, e sotto non importa “tanto non vede nessuno”. Il reggiseno è come un amico a cui hai detto addio, se vuoi stare bene con te stessa basta una spruzzata di profumo (dai, a quello non si rinuncia mai), di solito appoggiato accanto al computer sulla scrivania. Kit di sopravvivenza per le tue giornate da casa: una morbida tuta, un top sportivo e dei leggins per la sessione di Yoga in diretta Instagram, e una camicetta carina, magari una a fiori che di solito usi in primavera (ma quest’anno la primavera chi l’ha vissuta) per l’aperitivo su Meet. In effetti anche Amazon ha registrato un incremento di abbigliamento comodo e sportivo. E se mi metto la salopette di jeans nessuno capirà che sono una ragazza con lo stile anni settanta, ma non mi sentirò giudicata da nessuno che mi dirà “ma come ti vesti? Sei fuori moda!”

Ora devo cambiare lo sfondo virtuale di Zoom per rappresentare il mio mood interiore: posso scegliere tra un paesaggio bucolico irlandese e un lago dell’Islanda, oppure se mi considero un’anima infantile un fondale marino, come la Sirenetta.

C’è poi chi ha deciso di tirare fuori del suo armadio ogni sorta di travestimento di carnevale che possedeva, e quale momento migliore per sfilare, se non quello dell’uscita per andare a gettare sotto casa la spazzatura? Da quando Daniella Askew del Queensland ha fondato la pagina Facebook Bin Isolation Outing, tutto il mondo si è travestito da personaggio, o da gala, per dare un tocco di ilarità a quel momento della giornata in cui “si può uscire per andare ai cassonetti dei rifiuti”.

Ora che stiamo tornando “liberi”, siamo in preda all’ansia sociale, con questioni del tipo: “oddio devo riparlare con le persone”, “mi entreranno ancora i jeans?”, “ho riordinato l’armadio, ora devo stare attento a non fare disordine”, “tutti questi vestiti non mi servono, guarda quante cose non ho usato in questi mesi…”. Ora guardiamo l’armadio con occhi diversi: luogo dell’inconscio, in quanto deputato a contenere gli oggetti che noi compriamo, diviene contenitore di identità, estensione della nostra personalità, nei limiti dell’oggettivabile. Dai, forse ora li tolgo quei dieci vestiti che stanno là in fondo, tanto neanche il gatto là ci si accoccola mai. E non ci penso più alla mia salopette. A me, in fondo, piace sentirmi fuori moda.

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Chiara Sanvincenti
This brave new world

Studentessa alla scuola Holden, creo idee e riordino parole. Mi piacciono le storie sincere.