Luci spente: Buio in Sala

Francesco Chironna
This brave new world
9 min readJun 5, 2020
Photo by Jeremy Yap on Unsplash

Il proiettore si accende, un fascio di luce fredda fende la sala un po’ polverosa e, con delicatezza, colpisce lo schermo. Le luci si abbassano un po’ alla volta, fino a spegnersi e tu, spettatore, ti ritrovi al buio, solo con lo schermo. O meglio, non proprio solo. In quel buio ce ne sono altri come te, mossi da quella o quell’altra ragione, pronti a godersi il tuo stesso spettacolo.
O almeno, c’erano, ci sono stati.

Photo by Krists Luhaers on Unsplash

Sullo schermo illuminato le immagini cominciano ad animarsi, 24 o 30 fotogrammi al secondo, predono vita, ed ecco la magia del cinema: immagini in movimento che ritraggono soggetti in movimento. Il linguaggio cinematografico affonda le sue radici nel dinamismo e la dichiarazione d’intenti è degli stessi Fratelli Lumières che il cinema l’hanno inventato e hanno battezzato la loro creazione cinématographe (dal greco kínēma -atos ‘movimento’ e gráphō ‘scrivo’), scrittura in movimento.

Il movimento sullo schermo è però una parte della magia del cinema. Ciò che ti conquista, spettatore, non è soltanto il film, c’è di più: l’esperienza cinematografica. Cosa succede prima della visione? E dopo? E cosa succede nel buio della sala? Is something evil lurking in the dark? Probabilmente no, ma di sicuro qualcosa, qualcuno, si muove.

Michael Jackson - Thriller (videoclip, 1983)

Il vero potere del cinema -lo si è scoperto presto- è creare universi narrativi in grado di sopravvivere oltre visione del film, fuori dalla sala.

Universi meravigliosi, epici, romantici, spaventosi e così via, in cui splendidi divi danno vita a personaggi umani, ma un po’ meglio, che vivono vite umane, ma un po’ meglio. E tu, spettatore, hai la possibilità di vivere con loro in quei mondi per la durata del film. Almeno finché non ti accorgi che in sala insieme a te ci sono altri spettatori. Con loro hai condiviso la visione e tutte le emozioni che ti ha regalato, e ora che il film è finito è con loro che puoi mantenere vivo l’universo in cui ti ha catapultato, magari cominciando a immaginare teorie su possibili sequel.

Usciti dalla sala, ubriachi di un cocktail di emozioni, si comincia a parlare. Si parla del film con i propri cari, si scherza con gli amici, lo si racconta ai colleghi, a volte si usa il film come pretesto per cercare di rimorchiare. Ne parlano addirittura i giornali. L’universo narrativo che fino a poco tempo prima era confinato su qualche rullo di pellicola si riversa nel nostro mondo, ed ecco che l’iconico “Francamente me ne infischio” pronunciato da Clark Gable, Rhett Butler in Via col vento (1939) esce dal buio della sala e diventa d’uso comune, così come comune diventa chiamare la propria figlia Rossella. Contemporaneamente nasce lo Star System, e al fattore emotivo si aggiunge quello aspirazionale con quella spolverata di voyeurismo che rende l’industria cinematografica la macchina macinasoldi definitiva.

Gone With The Wind (Victor Fleming, 1939)

L’avvento della televisione prima e dell’home video poi, comincia a trasportare il buio della sala anche in casa, rafforzando la presa dell’immaginario cinematografico su di te, spettatore. Se prima erano le tensioni sociali ad influenzare l’industria, nel corso della seconda metà del ‘900 il vento cambia ed è la nascita dei Block Buster a lasciare la sua impronta nella società, plasmando l’immaginario collettivo come mai prima di allora. Dal ‘75 abbiamo tutti paura degli squali, dal ’77 sappiamo che in una galassia lontana lontana Han Solo ha sparato per primo, nell’82 abbiamo scoperto che E.T. voleva telefonare a casa e che Roy Batty ne ha viste cose, che noi umani non potremmo immaginare, e ovviamente nell’84 Bill Murray ci ha spiegato che “quando qualcuno ti chiede se sei un Dio, tu gli devi dire sì!”, e così via fino al 2019 con “Avengers,uniti!”, passando per “hasta la vista, baby”, “Yippee Ki Yay figlio di puttana” e “Fuggite, sciocchi!”.

l’iconico monologo di Roy Batty in Blade Runner (Ridley Scott, 1982)

La televisione, le videocassette, i DVD e i BluRay hanno portato i film su schermi diversi da quello cinematografico, esportando un po’ del buio della sala nei nostri salotti. Così come è cambiato lo schermo, anche il buio è cambiato nella sua conformazione. Se prima in sala si era circondati da esseri umani pieni di vita, solo alcuni conosciuti, l’esperienza cinematografica nei salotti la si vive quasi sempre in compagnia di poche persone: amici, famigliari, partner, coniugi, se non addirittura da soli. La visione a casa è diversa da quella in sala, è più intima, ma quello che avviene una volta accese le luci non cambia: finito il film -se il film è significativo, beninteso- si comincia a parlarne fuori dalla sala, o in questo caso dal salotto. Sala e Salotto coesistono pacificamente: i film escono al cinema e solo dopo mesi finiscono sugli scaffali di negozi e videonoleggi. Raramente i produttori home video osano interferire con le Major, che viceversa di rado si occupano direttamente della distribuzione al dettaglio. Certo, ci sarebbe il caso Dirty Dancing, ma quella è un’altra storia. Ti basti sapere, spettatore, che “nessuno può mettere Baby in un angolo”.

Patrick Swayze e Jennifer Grey in Dirty Dancing (Emile Ardolino, 1987)

Finiti gli anni ’90 però il vento cambia di nuovo: arriva internet. E con internet si apre un ventaglio di possibilità quasi infinite. I film diventano sempre più accessibili, per vie sempre meno legali, anche a pochi giorni dall’uscita in sala, mandando di fatto lentamente in crisi sia i cinema, sia la vendita al dettaglio. Da Sala e Salotto si passa a Salotto e “Stanza del Computer”, rendendo la visione sempre più solitaria e il buio sempre più vuoto.
Forse.
Di sicuro sembra che sia così per i più giovani, che cominciano a macinare tonnellate di film nel proprio angolo di buio personale.
Tu, spettatore, continui ad andare al cinema, ma quasi solo per i film evento, e siccome non esce un Avatar alla settimana, gli esercenti cominciano ad accusare il colpo. Internet finisce a poco a poco per fagocitare anche la dimensione sociale dell’esperienza cinematografica. Le discussioni si spostano prima sui forum, poi in chat e infine sui social e il buio si riempie di un nuovo tipo di vita: è tipo Matrix, ma senza Keanu Reeves e senza superpoteri, quindi un po’ peggio.

Keanu Reeves e il mitico Bullet Time di Matrix (Sorelle Wachowski, 1999)

I videonoleggi si incamminano sul viale del tramonto, gli esercenti cominciano temere di doverli seguire presto e l’intera industria cinematografica è scossa dall’onda d’urto provocata dalla pirateria. Prima di ogni film in DVD uno spot ti chiede se “Ruberesti mai un televisore?”, e tu, spettatore, sai che non lo faresti. Eppure la pirateria non si ferma, né rallenta. Il problema nasce su internet ed è da internet stessa che arriva la soluzione: le piattaforme di streaming on demand. Netflix in testa, le prime piattaforme offrono servizi basati sul modello dei videonoleggi, paghi un tot per avere tot film per tot tempo, ma è con il passaggio ai servizi in abbonamento che comincia la rivoluzione.

Una quota mensile fissa più che ragionevole -poco più di un biglietto del cinema- per accedere, questa volta legalmente, ad un catalogo sconfinato di Film, documentari e serie: il modello si rivela vincente sia per gli utenti, che popolano il buio dei propri salotti con milioni, se non miliardi, di discussioni in rete, sia per le aziende, che guadagnano abbastanza da acquisire diritti esclusivi su nuovi contenuti prodotti dall’industria cinematografica tradizionale, sia di produrne di propri, che finiscono per diventare dei veri e propri fenomeni pop. Un trionfo del marketing che dona nuova vita ad un mercato in crisi.

Photo by Thibault Penin on Unsplash

In questo clima di rinascita si genera una “corsa agli armamenti”. Da un lato, le aziende streaming-based si cimentano in produzioni sempre più costose e ambiziose, creando film e serie degni delle Major dell’epoca dei block buster: ad esempio The Irishman, frutto del sodalizio Netflix-Scorsese. Dall’altro lato, le Major lanciano servizi di streaming proprietari leggermente più economici, assicurandosi l’esclusiva sulla distribuzione dei propri prodotti.
La corsa agli armamenti vede la nascita di un’infinità di nuovi player -da Apple a Universal- e culmina con l’entrata sul mercato dello streaming del colosso Disney, con il suo Disney+, che debutta negli USA pochi mesi prima dell’inizio della pandemia, e arriva in Italia all’inizio del lock down.

#iorestoacasa con Mymovies

Il Covid-19 e il lock down hanno cambiato il modo in cui tu, spettatore, hai inteso il cinema fin’ora. Le sale sono rimaste chiuse per mesi e lo streaming preso le redini del mercato cinematografico: è l’inizio di un nuovo corso.
Alcuni irriducibili hanno provato ad opporsi, offrendo esperienze ibride, un po’ sala, un po’ stanza del computer. È il caso di Mymovies, che in tempo di pandemia ha lanciato, in collaborazione con varie realtà -una fra tutte il Far East Film Festival- #iorestoacasa con Mymovies, un’esperienza di crowd streaming integrata nel suo sito. Il film vengono trasmessi ad orari specifici ed i posti sono limitati, esattamente come in sala, a tutto ciò si aggiunge una chat in tempo reale per commentare la visione con gli altri spettatori o richiedere assistenza.
Quello di Mymovies è un esperimento riuscito solo in parte. Non potendo andare in sala quest’esperienza permette di rendere il proprio buio personale un po’ più vivo e interattivo, restituendo anche il senso di finalità derivato dall’avere accesso ai contenuti solo ad orari prestabiliti. Ma non ha lo stesso sapore della sala, né lo avrà mai e tu, Spettatore, lo sai fin troppo bene.

Tom Hanks e il pallone Wilson in Cast Away (Robert Zemeckis, 2000)

Se prima guardare un film era un momento di distensione, con la quarantena invece i film sono diventati un modo per occupare le ore vuote. E possibilmente rimanere sani di mente. Sulla tua isola deserta tu, spettatore, sei Tom Hanks e Netflix, o chi per esso, è Wilson. E per quanto possa essere piacevole venire catapultati in universi meravigliosi, epici, romantici, spaventosi e così via, lo è ogni volta un po’ meno quando lo si comincia a fare quasi meccanicamente. E forse, per la prima volta, il buio intono a te, spettatore, sembra davvero vuoto. Parlare i film, in casa o in rete, non ha più lo stesso sapore, e non sei più animato dallo stesso fervore che ti infiammava prima del lock down. Non ti interessa più dimostrare che Thor sia effettivamente più forte di Thanos, né che La Cosa di Carpenter sia infinitamente meglio di quella schifezza del remake, né che Spielberg sia uno dei registi migliori di sempre. Sei demotivato, e non perché tu sia meno appassionato di prima, è solo che ti sembra che ora sia tutto diverso, troppo diverso, e comincia a mancarti il buio della sala.
Perché tu, spettatore, nel buio della sala sei cresciuto, ti sei emozionato, hai pianto, hai riso, hai baciato, ti sei innamorato, ti sei annoiato, ti sei arrabbiato, hai fatto amicizia e un infinità di altre cose. In quel buio ci hai vissuto, e non eri solo.
Sai che una volta passata la crisi tornerai a guardare i film con piacere e sai anche che ricomincerai a discuterne in modo fin troppo accorato. In fondo però sei consapevole del fatto che probabilmente quella sala a cui tanto tieni ormai, tra streaming e lock down, ha i giorni contati e alla fine le luci si abbasseranno un po’ alla volta, fino a spegnersi per l’ultima volta.

Lasciando spazio solo al Buio.

Photo by Felix Mooneeram on Unsplash

--

--