Tra reale e virtuale

Aurora Longo
This brave new world
8 min readJun 5, 2020

Per anni, il termine “virtuale” è stato usato con un’accezione negativa, inteso come contrario di reale, qualcosa a cui dare poco peso. Insomma, un aspetto accessorio della nostra vita, in particolare per quanto riguarda la cosiddetta “realtà virtuale”. Questa concezione, soprattutto dopo la nascita dei social network, è iniziata a cambiare: il primo punto del Manifesto della Comunicazione Non Ostile, un decalogo nato in Rete e pensato per responsabilizzare i comportamenti degli utenti, dice infatti che “il Virtuale è reale”. In poche parole significa che i comportamenti e le opinioni espresse online hanno tanto valore quanto quelle “reali”. E soprattutto, hanno conseguenze su di noi e sugli altri.

Internet è diventato in poco tempo una struttura utile non soltanto ad accedere a servizi e informazioni, ma anche un’infrastruttura sociale, un punto d’incontro e di scambio tra utenti. Non a caso gli antenati dei social network erano proprio i gruppi di discussione chiamati forum.

Gli ormai vecchi timori circa l’incidenza del digitale sul reale, come ad esempio il terrore di vedere i propri figli trascinati in una spaventosa spirale di dipendenza da Internet, non sono più così attuali. Ormai siamo consapevoli del fatto che il digitale condizioni il reale, e viceversa, e la domanda “i videogiochi causano la violenza?” non è più tanto dibattuta come succedeva una manciata di anni fa. Forse perché i genitori stessi sono ormai troppo presi a giocare a Candy Crush per preoccuparsene. O forse, siamo consapevoli del fatto che, sebbene sul web ci si possa nascondere dietro a maschere, cercando di fornire un’immagine migliore di noi stessi, sempre noi rimaniamo. Per quanto possiamo modificarla con filtri e sticker, la nostra identità rimane invariata.

Il 23 giugno 2003 la società americana Linden Lab lanciò online un videogioco diverso da quelli a cui eravamo abituati in precedenza: si tratta di Second Life, un mondo virtuale, una realtà interamente digitale in cui è possibile costruire case, negozi, uffici, aziende; personalizzare un avatar per socializzare con altri utenti e partecipare ad attività di diverso tipo, dai concerti alle lezioni universitarie. A costituire la novità rispetto alla maggioranza dei giochi usciti in precedenza è l’assenza di un obiettivo prestabilito da raggiungere per proseguire e concludere la partita: l’intero mondo virtuale è infatti generato dai suoi residenti. Più che un videogioco, ha affermato il suo ideatore in una conferenza del 2006, è una piattaforma. Una specie di social network, insomma.

La paura, specialmente nel periodo di massima fama, quando Second Life contò gli 1,1 milioni di utenti, era che quel mondo avrebbe iniziato a sostituire quello reale e che i giocatori sarebbero diventati come Gollum con il suo anello. In Second Life l’alcool non ubriaca, il fumo non nuoce alla salute e il contatto fisico non esiste: conta solo l’apparenza, e ognuno può essere chi e come vuole. Che dietro a ogni attraente ed elaborato avatar si nascondesse qualcuno di completamente diverso non sembrava importare.

E qui la grande scissione di opinioni: c’è chi diceva che indossare una maschera virtuale che permette di disinibirsi e lasciarsi andare non fosse che una liberatoria distrazione, altri ne intuivano rischi maggiori, come il fenomeno degli hikikomori, giovani che decidono di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi, chiudendosi nella propria stanza senza avere contatti diretti con il mondo esterno. Inizialmente si considerava la dipendenza da internet come una delle cause di questo tipo di comportamento, quando invece si tratta di una probabile conseguenza dell’isolamento: le cause si vanno a ritrovare in situazioni familiari, scolastiche o sociali difficili e pressanti, unite a condizioni psicologiche e caratteriali preesistenti. Per quanto la dipendenza dalla Rete sia un disturbo da non sottovalutare, le paure scatenate dall’improvvisa impennata di popolarità di Second Life erano infondate: dopo alcuni anni infatti, il sito è stato quasi completamente abbandonato (anche se, recentemente, è stato rilanciato).

Il genere simulazione di vita non caratterizza soltanto online games come Second Life, Habbo (2000) o il più recente VRchat (2017); hanno avuto fama anche titoli e serie giocabili su console: ne sono un esempio The Sims e Animal Crossing, e non si possono non citare i più recenti sistemi di realtà virtuale come i visori Oculus Rift.

Cosa succede però alla nostra vita online, quando quella “fuori da internet” viene limitata e messa in pausa, come è successo durante il lungo lockdown nazionale che ci ha trasformati tutti in hikikomori? Ciò che costituiva la nostra quotidianità, ovvero attività come studiare, lavorare, parlare con amici, parenti e colleghi, è stata trasposta sul virtuale, dimostrando innanzitutto che la vita online non è poi così diversa da quella reale e che, in secondo luogo, senza internet la situazione causata dalla pandemia di Covid-19 sarebbe stata ingestibile dal punto di vista sociale, didattico e lavorativo. E soprattutto, per la prima volta mia madre si è detta contenta di vedermi giocare online con i miei amici.

Finalmente una piccola vittoria per i nerd, che già da qualche anno, come suggerisce il nome della famosa pagina Facebook “Brutto e nerd is the new figo e palestrato”, si stanno allontanando dal vecchio stereotipo di “sfigato”.

Meme pubblicato dalla pagina Facebook “brutto e nerd is the new figo e palestrato”

Il 20 marzo 2020, dopo dieci giorni dall’inizio del lockdown in Italia, esce per Nintendo Switch l’ultimo titolo di una già nota serie di videogiochi. Si tratta di Animal Crossing: New Horizon, un simulatore di vita quotidiana in cui si impersona il primo abitante di un’isola precedentemente deserta. Lo scopo del gioco è catturare pesci e insetti, costruire abitazioni, mobili e capi di vestiario con cui personalizzare il proprio avatar, la propria casa e l’isola in generale, interagendo con animali antropomorfi che si può decidere di ospitare. In sostanza propone micro-obiettivi poco impegnativi che offrono una gratificazione istantanea unita a un gameplay immersivo e rilassante.

Tweet riguardante alcune caratteristiche del gioco

Nulla di più adatto a un periodo in cui si è costretti a casa. Il sito ufficiale recita: “Escape to your island getaway — however, whenever, and wherever you want” e qualcuno ha ironicamente ipotizzato che la quarantena fosse un’acuta strategia di marketing per vendere il gioco che, nel giro di un mese, ha infatti venduto più di quindici milioni di copie.

Icona del gioco nel menu della console Nintendo Switch

In realtà, la possibilità di realizzare una sorta di isola paradiso e casa dei sogni non è l’unica caratteristica che ha reso New Horizons così popolare: una “feature” secondaria, quella di poter visitare le isole degli amici e di invitarli nella propria, è stata la ragione principale per cui diverse persone, me compresa, hanno deciso di acquistare il gioco. Molti hanno sfruttato queste potenzialità per passare del tempo con gli amici lontani, ad esempio giocando a nascondino, al gioco della sedia oppure organizzando una caccia al tesoro. I miei amici ed io, per esempio, vi abbiamo festeggiato un compleanno: la festeggiata ha ricevuto vestiti e oggetti, ovviamente virtuali.

La creatività degli utenti non ha trovato limiti, e un utente giapponese di reddit si è addirittura sposato con la propria fidanzata nel gioco, avendo dovuto rinunciare ai festeggiamenti del matrimonio a causa dell’epidemia di Coronavirus.

Un’attività che piace a molti giocatori: guardare le stelle cadenti (per poi raccoglierne i frammenti la mattina dopo)
Un’attività che piace a molti giocatori: guardare le stelle cadenti (per poi raccoglierne i frammenti la mattina dopo)

Il fenomeno Animal Crossing però non si ferma soltanto ai comportamenti degli utenti all’interno del gioco: a un certo punto quello che sembrava semplicemente un “virtual imitates life”, (trasposizione ironica e più attuale dell’aristotelico “art imitates life”?) è quasi paradossalmente diventato il suo opposto. Alcuni fan hanno infatti creato un sito, Nookazon, un imitazione di Amazon e Ebay dove è possibile acquistare personaggi, oggetti e materiali da altri utenti, scambiandoli con le stelline, la moneta del gioco. Ovviamente non sono mancate le truffe, spesso anche di soldi veri. I fan in particolare sono impazziti per il personaggio di Raymond, un gattino vestito da ufficio: chi lo ha nella propria isola è disposto a scambiarlo per non meno di qualche decina di euro. Quando avevo la vostra età, direbbe mia nonna, lavoravo in fabbrica. Altro che mercato nero per un gatto virtuale.

Inserzione su Ebay in cui si vende il personaggio virtuale

Altri fan hanno approfittato del tempo libero in quarantena e si sono sbizzarriti con fanart e cosplay dei propri personaggi preferiti. Possiamo dire che in alcuni casi la vita reale imita il virtuale? Forse, ma sicuramente dobbiamo ammettere che ne è condizionata, e che tra reale e virtuale non c’è più una separazione così netta.

Logo del sito Nookazon

Tempo fa le amicizie e gli amori nati in rete non godevano di buona fama. Nell’ottica di molti, dietro allo schermo ci sarebbe potuto essere chiunque. Oggi questo problema sembra meno sentito. Ci stiamo forse abituando alle relazioni online, complice una pandemia che ci ha costretti a usare molto di più i social per tenerci in contatto, oppure sono diminuiti i comportamenti negativi in Rete? Sono più propensa a credere alla prima, dato che i casi di adescamento online non sono certo diminuiti negli ultimi anni, insieme al cyberbullismo e al revenge porn, come nel caso dei gruppi di Telegram in cui circolava materiale esplicito e pedo-pornografico. O ancora, il recente suicidio della giovanissima wrestler e star televisiva giapponese Hana Kimura, a causa dei messaggi di odio che riceveva quotidianamente dagli hater.

Internet non è un luogo sempre sicuro, ma con la giusta accortezza può essere sfruttato al meglio, e in questa quarantena ne abbiamo avuto alcune prove. Oltre alle opportunità lavorative con lo smart working e scolastiche attraverso la didattica virtuale, sui social ci sono stati diversi movimenti e iniziative: è il caso degli hashtag #iorestoacasa e #andràtuttobene, spesso usati da influencer e brand per informare e spingere all’adozione di comportamenti corretti.

Dunque il virtuale è finalmente diventato “reale”, rendendoci capaci di mantenere i contatti con amici, parenti, celebrità, tra live su Instagram, aperitivi di gruppo su Zoom e sessioni di gioco online. Tinder ha lanciato le videochiamate, e gli utenti hanno iniziato a incontrarsi virtualmente, non potendo uscire (ma questa forse è un’altra storia).

Alcuni di noi queste cose le facevano già prima, e adesso si chiedono se era davvero necessaria una pandemia per mostrare agli italiani che un “ti voglio bene” detto in chiamata o in chat vale quanto uno detto di persona.

Durante queste settimane i messaggi e i commenti di odio, così come le discussioni online, non sono scomparsi di colpo, ma ci sono stati molti casi di solidarietà, unione, affetto. Anche se il mezzo che ci permette di comunicare è “virtuale” ci stiamo finalmente rendendo conto che, dietro a ogni schermo, c’è sempre qualcuno.

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Aurora Longo
This brave new world

Non mi piace stare nello stesso posto troppo a lungo.