Cosa resta di SN 1987A

Trent’anni dopo l’esplosione della supernova più vicina dall’invenzione del telescopio

Michele Diodati
Through the optic glass
5 min readMar 1, 2017

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Il dettaglio centrale dell’immagine in campo largo, acquisita a gennaio 2017 dalla WFC3 di Hubble. È nitidamente visibile il resto della supernova SN 1987A, con la cosiddetta collana di perle, contornata da due anelli orientati in direzioni opposte. Il colore rosso degli anelli è dovuto alla luminescenza dell’idrogeno ionizzato. Credit: NASA, ESA, R. Kirshner, M. Mutchler, R. Avila (STScI)

Il 23 febbraio 1987, preceduta dall’arrivo di fasci di neutrini registrati da tre distinti laboratori, la luce proveniente dall’esplosione della supernova SN 1987A raggiunse la Terra, dopo aver coperto i circa 168.000 anni luce che separano il nostro pianeta dalla periferia della Nebulosa Tarantola nella Grande Nube di Magellano, la galassia satellite della Via Lattea in cui avvenne l’esplosione.

È stata la prima supernova realmente vicina che sia stato possibile osservare a partire dall’invenzione del telescopio. Per tale ragione, schiere di astronomi si sono dedicati negli ultimi trent’anni a studiarla e sezionarla con febbrile interesse, usando i dati raccolti dai maggiori osservatori terrestri e spaziali, allo scopo di ricavare ogni possibile informazione sull’evoluzione del resto di supernova e, soprattutto, sul meccanismo che innesca simili gigantesche esplosioni.

Fu scoperto ben presto che la progenitrice della supernova non era una supergigante rossa, cioè una stella giunta alle fasi terminali della propria vita, ma una supergigante blu: una stella chiamata Sanduleak -69° 202, probabilmente una variabile luminosa blu (LBV) da circa 20 masse solari, 100.000 volte più luminosa del Sole, con un diametro stimato in 60 milioni di km. Ciò indusse a rivedere le teorie allora in voga, che non consideravano le supergiganti blu come potenziali progenitrici di supernovae, possibilità che invece ora è largamente accettata.

Due immagini della Nebulosa Tarantola nella Grande Nube di Magellano, ottenute con un telescopio terrestre prima e dopo l’esplosione di SN 1987A. La freccia bianca in basso a destra nella prima immagine indica Sanduleak -69° 202, la supergigante blu progenitrice della supernova. Nella seconda immagine, al posto della stella si vede il bagliore enorme della supernova. Fonte: Serge Brunier, “Majestic Universe: Views from Here to Infinity”, 1998

Gli studi condotti dal 1987 in poi hanno rivelato che l’esplosione ha creato una struttura bipolare e asimmetrica, nella quale possono essere distinti diversi livelli di materia circumstellare preesistenti. L’onda d’urto della supernova, investendo e ionizzando questa materia, ha prodotto una brillante “collana di perle”, chiaramente visibile nelle immagini del telescopio spaziale Hubble.

Non è stato ancora possibile, invece, identificare chiaramente il residuo compatto della supernova, che potrebbe essere una stella di neutroni o forse anche un buco nero. I neutrini registrati in concomitanza dell’arrivo della luce della supernova suggeriscono, però, che un “cadavere” stellare deve essersi formato in seguito al collasso gravitazionale della stella esplosa.

Nel 1987 Hubble non era stato ancora lanciato. Le prime osservazioni della supernova furono fatte dunque con telescopi terrestri. Ma, a partire dal 1990, Hubble cominciò a fare la sua parte, accumulando una serie di dettagliatissime osservazioni del resto di supernova: immagini che — messe in sequenza — ci forniscono un documento straordinario dell’evoluzione del fenomeno nel corso di oltre un quarto di secolo.

Nei primi anni dopo l’esplosione, il bagliore accecante della supernova, che aveva raggiunto l’intensità di oltre 100 milioni di Soli, produsse una visibile eco luminosa, che si diffuse ad anelli concentrici nel materiale che Sanduleak -69° 202 aveva disperso nel mezzo interstellare nei millenni precedenti la sua catastrofica annichilazione.

Immagine di SN 1987A due anni dopo l’esplosione. Della stella progenitrice non c’è più traccia. Sono ben visibili, invece, gli anelli concentrici dell’eco luminosa, prodotti dalla riflessione della luce della supernova da parte del materiale diffuso nel mezzo interstellare. Fonte: Serge Brunier, “Majestic Universe: Views from Here to Infinity”, 1998

Le immagini ci dicono che la progenitrice della supernova aveva già emesso in quei millenni una notevole quantità di materia, distribuitasi a formare una sorta di ciambella (o toro) intorno alla posizione della stella. Grazie alle rilevazioni del telescopio spaziale a ultravioletti IUE, fu calcolato che erano trascorsi 0,66 anni tra l’accensione della supernova e il primo brillare dell’anello circumstellare interno, il cui diametro corrispondeva dunque a 1,32 anni luce.

Dopo essere stato attraversato dall’eco luminosa della supernova, il toro di materia circumstellare fu poi finalmente raggiunto anche dall’immensa onda d’urto creata dall’esplosione. Le immagini acquisite in diverse regioni dello spettro mostravano chiaramente che la forza dell’onda d’urto era distribuita asimmetricamente: il lato orientale dell’anello di detriti appariva molto più brillante del lato occidentale. Questo dato di fatto è ulteriormente confermato dalle analisi spettrali con cui è stata determinata la velocità di espansione dell’onda d’urto.

Nei primi cinque anni, dal 1987 al 1992, la velocità di espansione fu calcolata in circa 30.000 chilometri al secondo (circa un decimo della velocità della luce). Ma dal 1992 in poi la velocità decrebbe nettamente, attestandosi su una media di 4.000 ± 400 km/s. Tuttavia, l’analisi delle immagini acquisite nelle onde radio mostra che tale velocità non è uniforme, come si evince anche dal fatto che il lobo orientale dell’anello si trova più lontano dal luogo dell’esplosione rispetto al lobo occidentale. Facendo una media dei dati ricavabili dalle immagini radio acquisite nel 2011, è stato calcolato che la velocità di espansione del lobo orientale, quello più luminoso, è di 6.100 ± 200 km/s, mentre quella del lobo occidentale è molto minore: 1.900 ± 400 km/s.

L’asimmetria tra i due lobi appare anche nelle immagini ottiche e in quelle nei raggi X. Tutto ciò indica che l’origine del fenomeno è da attribuire a un’asimmetria dell’esplosione stessa piuttosto che a un’asimmetrica distribuzione del materiale circumstellare.

L’evoluzione della “collana di perle” nelle immagini acquisite da Hubble tra il 1994 e il 2016. Si nota come il materiale circumstellare sia stato progressivamente “acceso” dall’impatto con l’onda d’urto a partire dal 2003, per poi affievolirsi dopo il 2012, una volta che l’onda d’urto ha superato l’ostacolo. Credit: NASA, ESA, R. Kirshner e P. Challis

A gennaio 2017, cioè a quasi 30 anni dal primo apparire della supernova, Hubble ha acquisito una nuova immagine in campo largo, che mostra con straordinaria chiarezza i due anelli che circondano la “collana di perle”, l’origine dei quali non è stata ancora pienamente compresa.

Intanto il resto di supernova continua ad evolvere rapidamente. Osservazioni compiute con il radiotelescopio ALMA a partire dal 2012 mostrano che nella regione attraversata dall’onda d’urto si stanno formando grandi quantità di polveri, grazie agli elementi pesanti forgiati nel corso dell’esplosione di supernova e sparati dalla sua forza nel mezzo interstellare: tutto materiale che servirà, in futuro, alla costruzione di nuovi sistemi stellari e planetari.

Altre osservazioni fatte nei raggi X con il telescopio spaziale Chandra hanno mostrato invece che la brillantezza della “collana di perle”, creata dal passaggio dell’onda d’urto, sta cominciando a diminuire. Ciò vuol dire che l’onda d’urto ha ormai superato la ciambella di materiali espulsi circa 20.000 anni prima da Sanduleak -69° 202. Cosa incontrerà l’onda d’urto, continuando ad allargarsi verso l’esterno, non sappiamo.

Quel che sappiamo, invece, è che la struttura centrale del resto di supernova, quella più vicina al luogo dell’esplosione, ha ormai raggiunto una dimensione di circa mezzo anno luce. Gli elementi più appariscenti sono due “blob” di detriti che si stanno allontanando l’uno dall’altro all’incredibile velocità di oltre 32 milioni di km/h: una testimonianza impressionante della mostruosa energia cinetica prodotta da un’esplosione di supernova.

Immagine composita della regione centrale di SN 1987A. Il colore rosso, visibile al centro, indica le polveri formatesi dopo l’esplosione, osservate con il radiotelescopio ALMA. Il colore blu-viola mostra il gas più caldo, che brilla nei raggi X ed è stato osservato dal telescopio spaziale Chandra. Il colore verde/azzurro rappresenta il bagliore, osservato nella luce visibile da Hubble, dovuto allo shock causato dall’impatto dell’onda d’urto dell’esplosione sul materiale circumstellare preesistente, espulso in passato dalla progenitrice della supernova. Credit: ESO/NAOJ/NRAO/A. Angelich / NASA, ESA, R. Kirshner, P. Challis / CXC/Penn State/K. Frank et al.

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Michele Diodati
Through the optic glass

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.