EmDrive: pretese straordinarie hanno bisogno di prove straordinarie (che ancora non ci sono)

Michele Diodati
Through the optic glass
13 min readDec 8, 2016
L’EmDrive sottoposto a test. Credit: Harold White et al.

EmDrive, un motore senza propellente

Immaginate di accendere il forno a microonde nella vostra cucina e di notare con stupore, dopo qualche minuto, che quello si è mosso da solo di qualche centimetro. Qualcosa di simile è in grado di fare — così dicono le prove di laboratorio — uno strano contenitore vuoto a forma di tronco di cono (visibile nelle immagini) chiamato EmDrive.

Il nome sta per ElectroMagnetic Drive, cioè motore elettromagnetico. Un prototipo del dispositivo è stato presentato per la prima volta nel 2001 dal suo inventore, il britannico Roger Shawyer. Secondo Shawyer, una volta collegato l’oggetto a un magnetron (una sorgente di microonde), si crea nella cavità un fenomeno di risonanza. A causa della forma asimmetrica della cavità, i fotoni intrappolati al suo interno verrebbero riflessi con più intensità sulla base maggiore, generando una spinta netta, in cui il momento guadagnato dalla cavità risonante sarebbe bilanciato dal momento perduto dalle onde elettromagnetiche che l’attraversano. Il motore in sostanza funzionerebbe grazie alla pressione di radiazione esercitata dalle microonde.

Fin dal suo primo apparire, l’EmDrive è stato bollato dalla comunità scientifica come una delle tante strambe invenzioni al confine tra scienza e pseudoscienza, con un piede più nella seconda che nella prima. Il motivo principale di ciò è che la spinta prodotta nel dispositivo sembra avvenire in aperta violazione della terza legge del moto di Newton. Questo principio, che stabilisce che non c’è azione senza una reazione uguale e contraria, ha superato indenne le rivoluzioni scientifiche del ‘900 — relatività e meccanica quantistica — ed è tuttora un caposaldo della fisica, la cui validità non solo è attestata da migliaia di esperimenti, ma anche dalla comune esperienza quotidiana di ogni persona.

Provate a sparare un colpo di pistola. Il rinculo può farvi cadere a terra: azione e reazione. L’aria e il propellente espulsi ad alta velocità dalle turbine di un aviogetto permettono all’aereo di avanzare velocemente in direzione contraria: azione e reazione. L’esempio più suggestivo del principio è forse l’immagine di un lancio spaziale: il razzo vettore che si solleva oltre i limiti dell’atmosfera vince la gravità terrestre grazie alla spinta diretta verso terra dei suoi potenti motori. Anche qui, azione e reazione.

Ma la (piccolissima) spinta prodotta dall’EmDrive avviene in assenza di un propellente e, soprattutto, senza che alcun prodotto di scarto abbandoni la cavità del dispositivo in direzione opposta, a bilanciare la spinta. Per usare una metafora che si deve al fisico John Baez, è come se una persona seduta al posto di guida della sua auto cercasse di farla avanzare a motore spento, spingendo con tutta la sua forza sul volante. Potete provare per ore, ma la macchina non si muoverà.

Secondo Shawyer non ci sarebbe però alcuna violazione della terza legge del moto. L’inventore dell’EmDrive sostiene che la spinta osservata si può spiegare considerando la cavità chiusa risonante come parte di un sistema aperto sottoposto agli effetti della relatività speciale (la traduzione dall’inglese è mia):

L’inevitabile obiezione sollevata è che il sistema apparentemente chiuso prodotto da questo dispositivo non può risultare in alcuna forza diretta verso l’esterno, ma produrrà semplicemente una tensione all’interno delle pareti del contenitore. Tuttavia, essa ignora la legge della relatività speciale di Einstein, secondo la quale devono essere applicati sistemi di riferimento differenti per velocità che si avvicinano alla velocità della luce. Pertanto, il sistema costituito dall’onda elettromagnetica e dal suo contenitore può essere considerato come un sistema aperto, nel quale l’onda elettromagnetica e il contenitore dell’onda hanno sistemi di riferimento separati.

La spiegazione non ha convinto nessuno dei numerosi critici, che continuano a vedere l’EmDrive come un dispositivo che funzionerebbe violando la terza legge del moto.

Tuttavia la questione principale è stabilire appunto se l’EmDrive funziona. A tal proposito, nei quindici anni trascorsi dalla presentazione dell’idea sono state svolte diverse prove, in laboratori differenti e da gruppi di ricerca di diversi Paesi, con risultati ambigui: la piccola spinta prevista è stata in effetti registrata, ma con valori prossimi all’incertezza di misurazione e in set di laboratorio che non escludevano altre possibili cause del fenomeno osservato, prima fra tutte la spinta provocata dalla dilatazione dell’aria, generata dal riscaldamento del dispositivo.

Credit: Harold White et al.

La prova sperimentale

Serviva insomma un test di laboratorio eseguito con tutti i crismi dell’obiettività scientifica. E il test alla fine è stato fatto. I risultati sono stati pubblicati il 17 novembre 2016 sul Journal of Propulsion and Power, una rivista peer review, in cui cioè gli articoli sono sottoposti al vaglio preliminare di esperti della materia: il loro contributo serve per garantire che il metodo di ricerca adoperato dagli autori sia scientificamente valido.

Il team di ricercatori, guidato da Harold White della Eagleworks Laboratories, ha svolto il test in un laboratorio attrezzato presso il Johnson Space Center della NASA a Houston, in Texas. È stato usato come cavità risonante per l’esperimento un oggetto di rame a forma di tronco di cono, rispondente alle specifiche dell’inventore Shawyer. Le misure riportate nello studio sono 22,9 cm per la lunghezza, 27,9 cm per il diametro della base maggiore e 15,9 cm per il diametro della base minore. Quest’ultima è stata sigillata con un disco di polietilene spesso 5,4 cm, con un diametro esterno di 15,6 cm. Sul tronco di cono è stata poi montata un’antenna, usata per inviare all’oggetto onde elettromagnetiche alla frequenza di 1937 MHz, che generavano un particolare tipo di campo magnetico trasversale rispetto all’asse della cavità, denominato TM212.

Il dispositivo è stato quindi montato su una bilancia di torsione: uno strumento di misura estremamente sensibile, in grado di rilevare spinte anche di un solo micronewton, cioè un milionesimo di newton (1 newton è la forza necessaria per imprimere a un chilogrammo di massa un’accelerazione di un metro al secondo per secondo).

A completare il set sperimentale, l’EmDrive è stato inserito in una camera a vuoto, da cui è stata evacuata l’aria fino a raggiungere una pressione inferiore a 8×10⁻⁶ torr, cioè meno di 8 milionesimi di torr (il torr, dal nome dell’italiano Evangelista Torricelli, è un’unità di misura della pressione. Occorrono 760 torr per raggiungere la pressione di 1 atmosfera).

L’EmDrive è stato così testato inviando impulsi a 40, 60 e 80 W, eseguendo prove con vuoto e senza vuoto, in cui il dispositivo è stato montato prima in un senso, poi in quello opposto e, infine, in posizione nulla (cioè con la lunghezza giacente sull’asse del braccio della bilancia di torsione, in modo che nessuna spinta diretta verso le due basi della cavità potesse essere registrata).

Il risultato finale di tutta la complessa procedura sperimentale, della quale ho taciuto le numerose misure di controllo su tutti gli elementi del sistema, è stato che l’EmDrive produce realmente una spinta. La sua intensità è pari a 1,2 ± 0,1 mN/kW, cioè 1,2 millesimi di newton per ogni kilowatt di potenza applicata. È una forza che corrisponde al peso di 7 grani di riso sul palmo della mano, a fronte di una potenza assorbita pari a quella di un buon aspirapolvere domestico. La cosa curiosa è che questa piccola spinta è stata registrata dal gruppo di White come diretta sempre verso la base minore della cavità risonante, mai verso la base maggiore come pretendeva invece la spiegazione teorica di Shawyer.

In ogni caso, quale che sia la ragione del fenomeno, l’esperimento eseguito presso il Johnson Space Center conferma non solo che la spinta esiste, ma che essa è in relazione diretta con la potenza erogata attraverso l’antenna, come se le microonde ne fossero effettivamente la causa.

Il grafico che riassume i risultati dell’esperimento, tratto dall’articolo pubblicato sul Journal of Propulsion and Power. Credit: Harold White et al.

Dopo la descrizione dell’esperimento e dei suoi risultati, lo studio pubblicato da White e colleghi analizza 9 possibili fonti di errore. Le interferenze prese in considerazione comprendono l’elettricità statica, le vibrazioni, la fuga di gas caldo dall’interno della cavità, la pressione di radiazione di eventuali fotoni sfuggiti dalla cavità medesima, possibili campi magnetici interferenti, le modalità di dissipazione del calore, il tipo di camera a vuoto e di bilancia di torsione utilizzate.

Di tutti questi elementi, i due che il gruppo di White considera importanti per ulteriori test sono:

  • la predisposizione di una camera a vuoto più grande, in grado di incorporare non solo la cavità risonante ma anche la bilancia di torsione, e
  • una bilancia di torsione in grado di misurare angoli più ampi insieme con una diversa collocazione del dissipatore di calore sul dispositivo, in modo da eliminare completamente la possibilità che l’espansione termica della cavità influenzi in qualche misura il livello di spinta registrato.

Per via di queste residue incertezze, i risultati dell’esperimento vanno presi con cautela. Poiché l’EmDrive ha una pretesa straordinaria, quella di creare una forza senza un propellente, necessita di prove di funzionamento altrettanto straordinarie. Quelle ottenute dal team di White sono da considerare, pertanto, indicazioni chiare e importanti, ma non prove definitive.

Tutto ciò premesso, se l’EmDrive è in grado di produrre effettivamente la spinta di 1,2 mN/kW registrata nel laboratorio di Houston, potrebbe essere lo strumento per una vera rivoluzione nel volo spaziale. Per quanto, infatti, l’entità della spinta generata sia minuscola, un velivolo spaziale che si muovesse nel vuoto per lungo tempo potrebbe essere accelerato ininterrottamente da un EmDrive, costruendo una spinta finale poderosa con l’aggiunta continua di piccolissimi incrementi.

Quello dei piccoli incrementi è del resto un meccanismo già utilizzato con successo in più di una missione spaziale. La propulsione a ioni di xeno ha permesso, per esempio, alla sonda Dawn della NASA di raggiungere in pochi anni gli asteroidi Vesta e Cerere e di portare a compimento un’esplorazione di grandissima importanza scientifica. La forza esercitata con costanza dal suo motore a ioni è paragonabile alla pressione di un foglio di carta A4: è nettamente maggiore di quella prodotta dall’EmDrive, ma il motore allo xeno è un propulsore “tradizionale”, nel senso che usa un propellente, lo xeno appunto, che deve dunque essere stipato a bordo, aumentando la massa e il volume del velivolo e creando allo stesso tempo un limite di autonomia invalicabile (dato dalla durata del propellente).

Il test svolto dal team di White sembra indicare che l’EmDrive è in grado di produrre una spinta tre ordini di grandezza maggiore di quella di altri dispositivi senza propellente, come le vele solari, le sonde spinte da impulsi laser o i razzi fotonici, la cui potenza è compresa tra 3,33 e 6,67 micronewton per kilowatt. Ciò significherebbe che un’astronave dotata di una sorgente elettrica durevole in grado di alimentare un EmDrive potrebbe raggiungere, per esempio, il sistema di Alfa Centauri, a 4,37 anni luce dalla Terra, in poco meno di un secolo.

Immagini termiche dell’EmDrive durante il test. Come si può notare, gli elementi che si sono riscaldati maggiormente sono il dissipatore di calore e l’amplificatore di radiofrequenza. Credit: Harold White et al.

Ipotesi sul principio di funzionamento: l’onda pilota e le fluttuazioni del vuoto

Ma, se l’EmDrive funziona davvero, qual è il suo principio di funzionamento? Mistero assoluto, per il momento.

Lo studio pubblicato da White e colleghi, pur di non sposare la tesi della violazione della terza legge del moto, ha proposto una spiegazione molto ipotetica e alquanto astrusa, che ha a che fare con il vuoto (che non è vuoto) e con la fisica quantistica.

Gli autori dello studio si sono rifatti a un’interpretazione dei fenomeni quantistici basata sulla teoria della cosiddetta onda pilota, una visione della realtà fisica antagonista rispetto all’interpretazione di Copenaghen, attualmente dominante.

Una chiara esposizione della differenza tra le due interpretazioni è fornita da Brian Koberlein, professore di fisica presso il Rochester Institute of Technology, in un post sul suo blog “One Universe at a time” (la traduzione dall’inglese è mia):

Una delle caratteristiche centrali della teoria quantistica è il suo comportamento controintuitivo spesso chiamato dualismo onda-particella. A seconda della situazione, gli oggetti quantistici possono presentare le caratteristiche di un’onda o quelle di una particella. Ciò è dovuto alle intrinseche limitazioni di ciò che possiamo conoscere sui quanti. Nell’usuale interpretazione di Copenaghen della teoria quantistica, un oggetto è definito dalla sua funzione d’onda. La funzione d’onda descrive la probabilità di trovare una particella in un particolare luogo. L’oggetto si trova in uno stato indefinito, probabilistico, descritto dalla sua funzione d’onda, finché non è osservato. Quando viene osservato, la funzione d’onda collassa e l’oggetto diviene una particella definita con una posizione definita.

Sebbene l’interpretazione di Copenaghen non sia il modo migliore di visualizzare gli oggetti quantistici, essa cattura l’idea fondamentale che i quanti sono locali, ma possono trovarsi in uno stato indefinito. […]

Il modello dell’onda pilota tratta l’indeterminazione quantistica in modo differente. Piuttosto che di una singola funzione d’onda, i quanti consistono di una particella che è guidata da un’onda corrispondente (l’onda pilota). Poiché la posizione della particella è determinata dall’onda pilota, essa può esibire il comportamento ondulatorio che osserviamo sperimentalmente. Nella teoria dell’onda pilota, gli oggetti sono definiti, ma non locali. Poiché il modello dell’onda pilota dà le stesse predizioni dell’approccio di Copenaghen, si potrebbe pensare che si tratta solo di una questione di preferenze personali: o mantenere la località a costo della determinatezza o mantenere le cose determinate ma consentendo la non località. Tuttavia c’è un problema. Benché i due approcci sembrino uguali, fanno assunzioni molto differenti circa la natura della realtà. La meccanica quantistica tradizionale ritiene che i limiti della teoria quantistica siano limiti fisici. In altre parole, la teoria quantistica ci dice tutto ciò che può essere conosciuto riguardo un sistema quantistico. La teoria dell’onda pilota ritiene invece che la teoria quantistica non ci dica tutto. Pertanto, esistono delle “variabili nascoste” all’interno del sistema che gli esperimenti quantistici non sono in grado di rivelare.

In passato la teoria delle variabili nascoste sembrava essere stata confutata, ma in anni recenti gli argomenti contro di essa si sono dimostrati meno solidi di quanto prima creduto. Ciò, unito al fatto che un esperimento fatto con piccole gocce di olio siliconico sembra compatibile con le previsioni della teoria dell’onda pilota, ha rivitalizzato i sostenitori di quest’ultima: una possibilità che il team di Harold White ha colto al volo, nel tentativo di dare un fondamento teorico più o meno plausibile alla spinta senza propellente esibita dall’EmDrive.

Ma come si lega la teoria dell’onda pilota al funzionamento dell’EmDrive? Seguiamo anche in questo caso la spiegazione di Brian Koberlein:

In un disperato tentativo di dimostrare che l’EmDrive dopo tutto non viola le leggi della fisica, gli autori spendono una notevole quantità di tempo argomentando che l’effetto potrebbe essere spiegato per mezzo di onde pilota. In sostanza, essi affermano non solo che la teoria dell’onda pilota è valida per la teoria quantistica, ma che le onde pilota sono il risultato di fluttuazioni quantistiche di fondo, note come energia di punto zero. Attraverso le onde pilota il motore può connettersi all’energia del vuoto dell’universo, salvando in questo modo la fisica!

Secondo Koberlein si tratta di una spiegazione piuttosto debole e contorta, che ha poco valore senza adeguati dati sperimentali a supporto.

Quale che sia il suo valore, l’idea proposta da White e colleghi è che il principio di azione e reazione e, con esso, la legge di conservazione dell’energia vengono salvati dall’interazione tra la cavità risonante riempita di microonde e il vuoto quantistico (cioè un vuoto che non è realmente vuoto). Secondo gli autori, l’EmDrive eserciterebbe la sua spinta contro le fluttuazioni del vuoto quantistico, sicché, mentre l’oggetto cavo in rame si sposta in una direzione, si crea nel contempo una scia di particelle virtuali fluttuanti che si muove nella direzione opposta: azione e reazione.

Schema del dispositivo montato nel laboratorio di Houston. Credit: Harold White et al.

La violazione della terza legge del moto

A volte le cose sono più semplici di come si crede. È probabile che la spinta osservata nel test scientifico sull’EmDrive non abbia nulla a che fare né con la spiegazione fornita dall’inventore Shawyer né con la teoria dell’onda pilota e le fluttuazioni del vuoto quantistico proposte dal team di White.

È ancora più probabile che non ci sia stata alcuna violazione della terza legge del moto. Forse c’è uno scarico di qualche tipo prodotto dal dispositivo, ma finora è sfuggito alla misurazione. Oppure c’è un campo elettromagnetico generato nel corso dell’esperimento, anch’esso sfuggito alla rilevazione, che bilancia con il suo cambiamento di momento il cambiamento di momento mostrato dall’EmDrive. Insomma, la reazione all’azione forse c’è, solo che non è stata ancora trovata. Oppure, ancora, c’è qualcosa di errato nell’impostazione del test che fa apparire una spinta dove in realtà non c’è.

Ma, se tutte queste ipotesi fossero sbagliate, se il test fosse stato eseguito correttamente e l’EmDrive fosse in grado di generare effettivamente una spinta non controbilanciata da alcuna reazione, allora ci troveremmo di fronte a una vera rivoluzione della fisica. D’improvviso la meccanica classica, la relatività e la fisica quantistica si troverebbero prive di un fondamento confermato finora da migliaia di esperimenti di ogni tipo.

È interessante leggere in proposito le considerazioni dell’astrofisico Ethan Siegel pubblicate sul blog “Starts with a Bang!” (anche qui la traduzione è mia):

Ma se l’EmDrive è davvero senza reazione, allora Newton si è sbagliato. Anche Einstein si è sbagliato, Maxwell si è sbagliato e tutta la fisica quantistica è sbagliata. Esiste una simmetria fondamentale che è all’origine della conservazione del momento: la simmetria traslazionale. Vuol dire che, se il mio sistema si trova qui, in un certo punto dello spazio, deve obbedire alle stesse leggi che se si trovasse lì, in un punto differente dello spazio. Ma, se la conservazione del momento non è veramente fondamentale, allora la simmetria traslazionale non può essere una buona simmetria dell’universo. In altre parole, deve esistere una locazione preferenziale, in cui le leggi della fisica sono differenti da un posto all’altro. Tutto d’un tratto le leggi della fisica dipendono dalla posizione.

Ciò vuol dire che il principio fondamentale della relatività è sbagliato. Significa che, se vi trovate in un sistema di riferimento inerziale, potete vedere il momento di un intero sistema cambiare nel corso del tempo. Come se non bastasse, significa che osservatori posti in differenti sistemi di riferimento osserveranno violazioni della conservazione del momento di diversa entità. Se viene violata la conservazione del momento in differenti quantità, viene violata anche la conservazione dell’energia: non solo l’energia non è conservata, ma non è conservata in quantità che variano a seconda del sistema di riferimento. Le leggi più sacre della fisica delle particelle — quelle che sono state osservate applicarsi a tutti i sistemi e a tutte le interazioni poste in essere nella storia — verrebbero spazzate via.

Tutto ciò considerato, mentre è più che auspicabile che l’EmDrive funzioni davvero e che un giorno possa essere usato per spingere sonde spaziali verso lontanissime e ignote destinazioni, forse è ancora più auspicabile — per il bene della fisica — che si trovi al più presto una spiegazione all’insolito comportamento di questo strano dispositivo.

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Michele Diodati
Through the optic glass

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.