Il genio di Clifford

Un matematico e poeta vittoriano

Marco Fulvio Barozzi
Through the optic glass
4 min readFeb 24, 2017

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Matematico, filosofo, scrittore di fiabe, poeta William Kingdon Clifford (1845–1879), morto giovane di tubercolosi, è oggi ricordato soprattutto per la sua eponima algebra di Clifford, un’algebra associativa che generalizza i numeri complessi e i quaternioni di Hamilton. La sua teoria lo condusse, in seguito, agli ottonioni (o biquaternioni), oggetti matematici che impiegò per studiare il movimento negli spazi non-euclidei e sulle superfici ora conosciute come spazi di Klein-Clifford. La sua teoria dei grafi fu anticipatoria di molte acquisizioni successive. Inoltre sviluppò profondo interesse anche per la topologia, l’algebra universale e le funzioni ellittiche.

Uomo di singolare acutezza e originalità, Clifford era dotato di uno stile lucido, di profondità e immaginazione poetica e di un grande calore umano. Razionalista e osteggiato dalle gerarchie ecclesiastiche, sosteneva che fosse immorale credere alle cose per cui non vi è una prova: nel suo saggio The Ethics of Belief (1879) compare il famoso principio: “è sbagliato sempre, comunque e per chiunque, credere a qualsiasi cosa basandosi su prove insufficienti.” Scrisse una fiaba per bambini, The Little People, e diverse poesie, con stile leggero e personale. Ecco ad esempio i bellissimi versi che inviò a George Eliot come accompagnamento a una copia della sua fiaba:

Baby drew a little house,
Drew it all askew;
Mother saw the crooked door
And the window too.

Mother heart, whose wide embrace
Holds the hearts of men,
Grows with all our growing hopes,
Gives them birth again,

Listen to this baby-talk:
‘Tisn’t wise or clear;
But what baby-sense it has
Is for you to hear.

Il piccolo disegnò una casetta,
la disegnò tutta storta;
la mamma vide la porta sbilenca
e pure la finestra.

Il cuore della mamma, il cui largo abbraccio
cinge i cuori degli uomini,
cresce con tutte le nostre crescenti speranze,
dà loro nascita di nuovo.

Ascoltate questo discorso di bimbo:
non è saggio né chiaro;
ma per il senso bambino che ha
lo dovete ascoltare.

In un discorso dal titolo “Alcune delle condizioni dello sviluppo mentale”, che pronunciò alla Royal Institution nel 1868, quando aveva 23 anni, egli affrontò il tema del rapporto tra scienza e arte con queste parole, che possono essere descrittive del clima culturale di un’epoca, ma conservano tuttora un valore universale:

“Men of science have to deal with extremely abstract and general conceptions. By constant use and familiarity, these, and the relations between them, become just as real and external as the ordinary objects of experience, and the perception of new relations among them is so rapid, the correspondence of the mind to external circumstances so great, that a real scientific sense is developed, by which things are perceived as immediately and truly as I see you now. Poets and painters and musicians also are so accustomed to put outside of them the idea of beauty, that it becomes a real external existence, a thing which they see with spiritual eyes and then describe to you, but by no means create, any more than we seem to create the ideas of table and forms and light, which we put together long ago. There is no scientific discoverer, no poet, no painter, no musician, who will not tell you that he found ready made his discovery or poem or picture — that it came to him from outside, and that he did not consciously create it from within”.

“Gli uomini di scienza hanno a che fare con concetti estremamente astratti e generali. Con il costante e uso e la familiarità, questi, e le relazioni tra di essi, diventano reali ed esterni proprio come i comuni oggetti dell’esperienza, e la percezione di nuove relazioni tra di essi è così rapida, la corrispondenza della mente alle circostanze esterne così grande, che si sviluppa un senso scientifico reale, con il quale le cose sono percepite così immediatamente e veramente così come io vi vedo ora. Anche i poeti e i pittori e i musicisti sono così abituati a proiettare fuori di sé l’idea di bellezza, che diventa una reale esistenza esterna, una cosa che essi vedono con occhi spirituali e in seguito vi descrivono, ma che assolutamente non creano, non più di quando ci sembra di creare le idee di tavolo, di forme e di luce, che mettemmo insieme tanto tempo fa. Non esiste scopritore scientifico, poeta, pittore o musicista che non vi dirà di aver trovato già fatta la sua scoperta, la sua poesia o la sua pittura, che essa giunse a lui dall’esterno, e che non la creò consciamente dal proprio interno”.

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