La storia della scoperta di Sgr A*

Michele Diodati
Through the optic glass
14 min readSep 13, 2016

Alla fine degli anni ’60 del secolo scorso, i progressi tecnologici compiuti nell’esplorazione del cielo nelle frequenze dell’infrarosso consentirono di bucare per la prima volta in modo efficace la nera cortina di polveri che rende invisibile il centro galattico ai telescopi ottici.

Nel 1968 Eric E. Becklin e Gerald Neugebauer, due astronomi del Caltech, riuscirono a scandagliare i parsec centrali della Via Lattea in quattro diverse lunghezze d’onda dell’infrarosso, ottenendo i risultati migliori a 2,2 µm. Superando 25 magnitudini di oscuramento dovuto alle polveri nei bracci a spirale interposti, scoprirono sciami di stelle addossate l’una all’altra con una densità inverosimile, a paragone delle enormi distanze che, nella periferia galattica, separano il Sole dalle sue vicine. Un articolo pubblicato su Le Scienze nel 1974 (R.H. Sanders e G.T. Wrixon, “Il centro della Galassia”) riassumeva in modo suggestivo ciò che Becklin e Neugebauer avevano osservato:

Le misure infrarosse indicano che il nucleo galattico contiene circa un milione di stelle per parsec cubo, una densità stellare circa un milione di volte superiore a quella dei dintorni del Sole. Ciò implica che un essere vivente su un pianeta orbitante intorno a una stella del nucleo galattico vedrebbe un milione di stelle brillanti come Sirio, la stella più brillante del nostro cielo. L’intensità integrata di tutte le stelle del cielo notturno di un tale pianeta sarebbe pari a circa 200 lune piene. In queste condizioni gli astronomi ottici si dovrebbero limitare allo studio degli oggetti vicini più brillanti; sarebbe offuscata persino la luce delle galassie più brillanti. (È però dubbio che possa esistere una qualche forma di vita su pianeti del nucleo galattico, dato che con densità stellari tanto alte i passaggi ravvicinati tra le stelle sarebbero cosí frequenti che i pianeti verrebbero strappati dalle loro orbite ogni poche centinaia di milioni di anni.)

Potenti onde radio dal centro galattico

Ma in quei parsec centrali della Via Lattea non c’erano solo miriadi di stelle. Fin dagli anni ’50, i radiotelescopi avevano rivelato che in direzione del centro galattico esisteva una sorgente radio estremamente potente. La sorgente fu rilevata per la prima volta con chiarezza da due scienziati australiani, Jack Hobart Piddington e Harry Clive Minnett, che si servirono di due piccole antenne, una parabola mobile da 3 m di diametro e un paraboloide da 4,8 per 5,5 m, situati a Potts Hill, una località a pochi chilometri da Sidney. Piddington e Minnett pubblicarono i risultati della loro scansione del cielo nelle onde radio, eseguita a 1210 e 3000 Mhz, in un articolo apparso nel 1951 su una rivista scientifica australiana, pressoché sconosciuta in Occidente. Nel sommario dell’articolo, si può leggere:

Una nuova “sorgente discreta” dallo spettro peculiare è stata scoperta molto vicino al centro della Galassia. Le prove indicano che la potenza emessa da questa e da alcune altre sorgenti nello spettro radio può essere superiore alla potenza totale emessa dal Sole.

La parola ‘total’ appariva in corsivo nell’originale inglese, a voler sottolineare la grandezza del fenomeno in cui i due studiosi si erano imbattuti. Tuttavia, la limitata risoluzione della strumentazione adoperata aveva permesso loro di stabilire solo un limite superiore alle dimensioni della sorgente, che risultò non poter avere un diametro maggiore di 1,5 gradi. Anche la localizzazione risentiva di una certa imprecisione: il picco del segnale registrato proveniva da un luogo posto al confine tra le costellazioni del Sagittario e dello Scorpione, con un margine di incertezza di circa 2 minuti per l’ascensione retta e di circa 1 grado per la declinazione.

Il picco di emissione proveniente dal centro della Via Lattea, registrato a 1210 Mhz da Piddington e Minnett nel 1951. Credit: J.H. Piddington, H. C. Minnett, Australian Journal of Scientific Research A, vol. 4, p.459 (12/1951)

Nella maggior parte degli articoli apparsi nella prima metà degli anni ’50 ci si riferiva a quella potente emissione radio chiamandola la “sorgente del centro galattico” (“the Galactic center source”). Pare che i primi a indicarla con il nome Sagittarius A e l’abbreviazione Sgr A siano stati John D. Kraus, Hsien-Ching Ko e Sean Matt nel 1954, in un report in cui elencavano le sorgenti radio da loro identificate in una scansione del cielo a 250 Mhz. A partire dal 1958–59 il nome e l’abbreviazione divennero di uso comune, soppiantando con il tempo qualsiasi denominazione alternativa.

Tuttavia, in quegli anni la risoluzione dei radiotelescopi non era ancora sufficiente per distinguere la struttura interna della sorgente né per comprendere esattamente cosa fosse. Il lavoro di ricerca puntava principalmente a determinare con la maggior precisione possibile l’estensione di Sgr A e la sua posizione in relazione al centro galattico. In uno studio pubblicato nel 1954 sullo Australian Journal of Physics, i quattro autori — Bolton, Westfold, Stanley e Slee — elencarono undici sorgenti radio, tutte con estensione maggiore di 1 grado, indicate con le lettere maiuscole dalla A alla L. Tra queste, la più brillante era la sorgente L, corrispondente a Sagittarius A:

Le osservazioni indicano che questa sorgente fornisce la maggiore densità di flusso e la distribuzione di luminosità con il picco più elevato sia in longitudine sia in latitudine tra tutte le sorgenti estese. La posizione del suo centro è vicina alla posizione riconosciuta del centro galattico.

È difficile credere che questa alta densità di flusso sia dovuta alla fortuita sovrapposizione di radiazione da più oggetti giacenti sulla linea di vista. Restiamo con l’impressione che vi sia al centro della galassia un oggetto fisico esteso, che è una sorgente insolitamente intensa di rumore radio.

Sagittarius A è il centro galattico

La conferma circostanziale che Sagittarius A era proprio al centro della Via Lattea giunge con gli anni ’60. In un articolo datato 16 marzo 1960, pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society (“The position of the galactic centre”), gli autori Jan Hendrik Oort, uno dei pionieri della radioastronomia, e il suo allievo Gerrit Willem Rougoor spiegavano che «la direzione della sorgente radio Sagittarius A si trova entro 0,03 gradi dalla direzione del centro galattico, così come determinato da una quantità di accurate osservazioni ottiche e radio (…). Tale posizione concorda così precisamente con la direzione del centro galattico (…) che questo fatto da solo rende pressoché certo che Sgr A sia situata nel centro della nostra galassia».

Se la direzione era esattamente quella del centro galattico, quali prove c’erano, però, che la potente sorgente radio fosse localizzata davvero nel centro galattico e non, per esempio, nei dintorni del Sole? La prova regina indicata da Oort e Rougoor era una forte riga di assorbimento, corrispondente alla posizione di Sgr A, che appariva associata al cosiddetto braccio a 3 chiloparsec, una vasta nube di idrogeno in espansione, situata a 5–6 kpc dal Sole, frapposta tra noi e il centro galattico. La presenza di quella riga provava che Sgr A si trovava al di là del braccio a 3 chilioparsec rispetto al sistema solare, cioè dalla parte del centro galattico.

«In base alle prove fornite», concludevano Oort e Rougoor, «sembra ragionevolmente certo assumere che Sagittarius A può essere identificato con il centro galattico».

A sinistra, una mappa a colori della velocità radiale delle nubi di gas nel centro galattico, realizzata nell’era pionieristica dei computer, sulla base delle osservazioni compiute con il radiotelescopio da 43 metri del National Radio Astronomy Observatory a Green Bank, in Virginia. A destra, lo schema illustrativo di ciò che si vede nella mappa a colori. Il buco nero al centro dell’immagine corrisponde all’assorbimento della radiazione a 21 centimetri proveniente da Sagittarius A da parte dell’idrogeno neutro interposto tra la sorgente e la Terra. Credit: R. H. Sanders e G. T. Wrixon, Le Scienze, 1974

Nel corso degli anni ’60, la risoluzione delle osservazioni nelle onde radio e nell’infrarosso andò progressivamente migliorando. Nel 1966 Barry G. Clark e David E. Hogg, usando l’interferometro a due elementi di Green Bank, appena completato, eseguirono una ricerca su 146 sorgenti radio alla frequenza di 2695 Mhz (11 cm), raggiungendo una risoluzione intorno ai 10 secondi d’arco. Non ancora sufficiente per osservare la struttura fine di Sagittarius A, ma abbastanza per rilevare la presenza di una sorgente di flusso compatta.

Nel 1968, Eric E. Becklin e Gerry Neugebauer osservarono Sagittarius A nell’infrarosso, a 1,65, 2,2 e 3,4 µm, con una risoluzione angolare da 0,08 a 1,8 minuti d’arco. Trovarono che la struttura consisteva di quattro elementi distinti: a) una sorgente principale con un diametro di 5 primi; b) una sorgente puntiforme centrata sulla sorgente principale; c) una sfondo esteso; d) alcune altre sorgenti aggiuntive estese. Un aspetto importante sottolineato da Becklin e Neugebauer era che la grandezza e la posizione della sorgente infrarossa coincidevano con quelle della sorgente radio, definite da studi precedenti:

Consideriamo l’ulteriore accordo tra la posizione e l’estensione della sorgente infrarossa e della sorgente radio Sagittarius A come la prova conclusiva che anche Sagittarius A si trova nel centro dinamico della galassia.

Quasar, nuclei galattici attivi, buchi neri

Quanto all’origine della sorgente infrarossa, i due autori non avevano elementi certi per decidere se si trattava, in tutto o in parte, di una sorgente termica, dovuta al calore emesso da un ammasso di stelle brillanti, assorbito e re-irradiato a maggiori lunghezze d’onda da polveri interposte, oppure di una sorgente non termica, come una radiazione di sincrotrone, generata da un oggetto in grado di accelerare particelle cariche a velocità relativistiche all’interno di campi magnetici.

Benché propendessero per l’origine stellare della radiazione infrarossa, Becklin e Neugebauer non mancarono di annotare un indizio interessante: la distribuzione dell’energia della sorgente infrarossa al centro della Via Lattea, una volta corretta tenendo conto dell’estinzione causata dalle polveri interposte, mostrava sorprendenti analogie con quella proveniente da NGC 1068, una galassia di Seyfert, e da 3C 273, il primo quasar identificato e il più luminoso conosciuto: due sorgenti, cioè, non termiche.

Mappa del centro galattico a 2,2 µm, tratta dallo studio del 1968 di Becklin e Neugebauer. Cortesia: Astrophysical Journal, vol. 151, p.145 (01/1968) DOI: 10.1086/149425

Galassie di Seyfert, quasar: gli astronomi stavano cominciando a domandarsi se la sorgente radio e infrarossa al centro della Via Lattea non avesse a che fare con un oggetto superdenso, alimentato da gas attratto gravitazionalmente verso il centro dinamico della galassia.

L’astrofisico inglese Donald Lynden-Bell, in un articolo pubblicato nel 1969 su Nature, propose l’idea che i quasar, lontanissime e potentissime sorgenti radio dell’universo primordiale, fossero una manifestazione per così dire giovanile di oggetti supermassicci, tuttora esistenti al centro delle galassie, anche di quelle che popolano l’universo contemporaneo. Terminata nel volgere di qualche milione di anni la fase di attività parossistica, nella quale il quasar, alimentato da enormi quantità di idrogeno, produce un’energia, visibile per noi nelle onde radio, nell’ordine dei 10⁶¹ erg, resta poi l’oggetto morto, un nucleo di materia superdensa, contenente tra un milione e un miliardo di masse solari, racchiuso in un volume non superiore a quello del sistema solare.

Nel ’69 Lynden-Bell non parlava ancora di buchi neri (John Wheeler aveva coniato il termine solo pochi anni prima). Chiamava “gola di Schwarzschild” (“Schwarzschild throat”) l’orizzonte degli eventi, cioè il luogo da cui nulla, né materia né luce, può sfuggire all’attrazione gravitazionale dell’ex quasar, e proponeva la sua idea di dove trovare questi “cadaveri” superdensi:

Nulla può mai passare all’esterno attraverso la sfera di Schwarzschild di raggio r = 2GM/c². Sbaglieremmo tuttavia a concludere che tali oggetti massicci sarebbero inosservabili nello spaziotempo. La mia tesi è che li stiamo osservando indirettamente da molti anni.

Poiché le gole di Schwarzschild sono considerevoli centri di gravitazione, ci aspettiamo di trovare materia concentrata verso di essi. Ci aspettiamo perciò di trovare le gole al centro di massicci aggregati di stelle, e i centri dei nuclei galattici sono la scelta ovvia.

Nel 1971, in un articolo pubblicato insieme a Martin Rees, Lynden-Bell, riprendendo la teoria dei nuclei galattici come sedi di corpi supermassicci derivati dai quasar, parlava ormai esplicitamente di un buco nero al centro della Via Lattea, come ciò che meglio avrebbe potuto spiegare la concentrazione di materiale ionizzato nei parsec centrali della galassia. Per quanto riguarda la massa, «sembra che qualsiasi valore al di sotto di circa cento milioni di masse solari sia compatibile con le conoscenze attuali».

Ma l’ipotesi del buco nero restava appunto solo un’ipotesi, in mancanza di conferme sperimentali. Lynden-Bell lo sapeva bene e sapeva che occorreva raggiungere risoluzioni maggiori nella scansione del centro galattico, se si voleva sperare di trovare quella sorgente radio compatta, di piccolo diametro, associata con la regione ionizzata nel centro galattico, che avrebbe confermato osservativamente la congettura del buco nero.

Lynden-Bell, insieme con Ronald D. Ekers, eseguì pertanto delle osservazioni interferometriche a 5 Ghz, nelle quali fu raggiunta la risoluzione di 6 secondi d’arco in direzione est-ovest e di 18 secondi in direzione nord-sud. Ma non era ancora sufficiente. La ricerca evidenziò due componenti principali nella regione di Sagittarius A, che potevano essere spiegate entrambe senza ricorrere a un buco nero. In un articolo pubblicato sempre nel 1971, Lynden-Bell ed Ekers ammisero con obiettività che il loro tentativo non aveva avuto successo:

Benché stimolati dall’idea del buco nero, le nostre osservazioni sono molto più semplicemente spiegate in termini di stelle giovani e regioni H II giganti. A parte la duplicità della sorgente centrale, non c’è nulla in queste osservazioni che suggerisca eventi violenti connessi a buchi neri.

Nel 1973 George H. Rieke e Frank J. Low mapparono il nucleo galattico nell’infrarosso, a 3,5, 5, 10,5 e 21 µm, raggiungendo una risoluzione ancora maggiore, di 5,5 secondi d’arco in ogni direzione, corrispondenti a un diametro lineare di 0,3 parsec (in base alla distanza di 10 kpc a cui si riteneva allora che fosse il centro galattico). Alle diverse lunghezze d’onda investigate, comparvero almeno cinque sorgenti discrete, risolte rispetto allo sfondo, che a sua volta appariva distinto in tre componenti. Tuttavia gli spettri e le luminosità favorivano una spiegazione termica per tutte le sorgenti: cioè semplice radiazione stellare, ancora nessuna evidenza di buchi neri.

Mappa del nucleo galattico a 10,5 µm, dallo studio di Rieke e Low del 1973. Cortesia: G. H. Rieke, F. J. Low, Astrophysical Journal, Vol. 184, p. 415–425 (09/1973) DOI: 10.1086/152340

Sgr A*, finalmente!

Che nel parsec centrale della Via Lattea vi fosse qualcosa di più di ciò che finora era emerso era ormai più di un sospetto. La corsa a chi arrivava prima a scoprire il segnale invisibile la vinsero, alla fine, Bruce Balick e Robert Brown. In un articolo pubblicato a dicembre 1974 su The Astrophysical Journal (“Intense sub-arcsecond structure in the galactic center”), i due annunciarono al mondo scientifico «il rilevamento di una forte emissione radio nella direzione del parsec più interno del nucleo galattico».

La differenza tra questa ricerca e le precedenti stava nella risoluzione, nettamente superiore, e nella chiarezza del segnale rilevato. Balick e Brown avevano osservato Sagittarius A il 13 e il 15 febbraio 1974, usando il nuovo interferometro del National Radio Astronomy Observatory a Green Bank, in Virginia, dotato di una linea di base di 35 km. L’interferometro era costituito da tre antenne da 26 m, distanziabili tra loro fino a 2,7 km, e da una quarta antenna da 14 m, situata 35 km a sud-est sulla vetta di una montagna. Il sistema operava a 2,7 e 8,1 Ghz, raggiungendo una risoluzione di circa 0,7 e 0,3 secondi d’arco rispettivamente. Date le giuste condizioni atmosferiche, con una simile attrezzatura era possibile captare il centro esatto della sorgente radio galattica molto più distintamente di quanto fosse mai stato possibile fare nelle osservazioni precedenti. Il segnale si rivelò subito chiaro e potente: «Per Sgr A Ovest, le frange [d’interferenza] erano così forti da essere rilevabili oltre la soglia del rumore in solo pochi secondi».

Ciò che Balick e Brown avevano scoperto era una sorgente radio potente e compatta, contenuta in una regione di 1 ⨯ 3 secondi d’arco, la cui struttura interna consisteva, a seconda del modello di interpretazione dei dati, di uno o due elementi, il cui diametro angolare non superava 0,1 secondi d’arco. Alla distanza stimata del centro galattico, ciò significava che il diametro dell’oggetto emittente era minore o uguale a un giorno luce e si trovava all’interno di una regione non più grande di mille unità astronomiche (meno di 1/63 di un anno luce). La sorgente era leggermente spostata a ovest rispetto al punto indicato con il numero 1 nella mappa del centro galattico di Rieke e Low, riprodotta nell’immagine precedente.

La struttura e la posizione della sorgente radio rinforzavano l’ipotesi che il nucleo della Via Lattea fosse una versione attualmente quiescente di un nucleo galattico attivo. Secondo Balick e Brown, il centro galattico poteva un tempo essere stato la sede di processi altamente violenti, simili a quelli osservati nel quasar BL Lacertae.

Rappresentazione artistica dei getti di particelle relativistiche che si originano dal disco di accrescimento intorno al buco nero supermassiccio di BL Lacertae. Cortesia: Cosmovision

Nel 1975, l’astrofisico ucraino Iosef Samuilovich Shklovskii pubblicò su un giornale sovietico (Pis’ma v Astronomicheskii Zhurnal) un articolo tradotto in Occidente col titolo “Is the galactic nucleus a black hole?”: il nucleo galattico è un buco nero? Basandosi su precedenti lavori di Downes, Rieke, Low ed altri, ma non citando l’articolo di Balick e Brown dell’anno precedente, Shklovskii interpretò le differenze, osservate nel flusso di radiazione proveniente da Sgr A Ovest nell’infrarosso e nelle onde radio, come una prova della natura non termica dell’oggetto emittente.

Se la sorgente non termica emetteva radiazione di sincrotrone, allora i calcoli indicavano che non poteva trattarsi di un oggetto con dimensioni maggiori di un millesimo di secondo d’arco, pari a una grandezza lineare di circa 6 unità astronomiche. L’ipotesi di Shklovskii era che quella sorgente non termica fosse prodotta dall’accelerazione relativistica di particelle in caduta sul disco di accrescimento di un buco nero da circa 30.000 masse solari, piazzato al centro della Via Lattea.

Dall’altra parte della Cortina di ferro, uno studio pubblicato nel 1977 su The Astrophysical Journal ragguagliava la comunità scientifica sui risultati di osservazioni del centro galattico, eseguite il 6 marzo 1976 con l’interferometro VLBI, usando tre radiotelescopi da 64, 40 e 36,5 m. I quattro autori — Lo, Cohen, Schilizzi e Ross — riportarono che le osservazioni a 3,7 cm indicavano che la sorgente compatta di onde radio al centro della Via Lattea aveva una dimensione lineare di circa 140 unità astronomiche, ma un nucleo molto più piccolo, di dimensioni non lontane da quelle previste da Shklovskii:

Benché la sua struttura sia lungi dall’essere ben determinata osservativamente, la sorgente compatta nel centro galattico appare avere una grandezza di circa 140 au al massimo, un nucleo intorno a 10 au, che può essere temporalmente variabile, una temperatura di corpo nero maggiore di circa 108 K e una luminosità nelle onde radio maggiore di circa 10^33 erg al secondo. In ogni caso, la fonte interna deve fornire un tasso di energia notevolmente più alto della luminosità radio osservata, da un volume spaziale estremamente ridotto, al centro della galassia. Se la sorgente stessa è una pulsar (…) la luminosità radio osservata e lo spettro della sorgente radio (benché ancora non adeguatamente determinato) renderebbe questa pulsar davvero unica.

Ma no, non era una pulsar. E neppure un buco nero da 30.000 masse solari, come ipotizzava Shklovskii. Oggi sappiamo che quella sorgente radio potente e compatta è un buco nero supermassiccio da oltre 4 milioni di masse solari. Lo sappiamo per l’inequivocabile traccia lasciata sulle orbite delle stelle più vicine dall’attrazione gravitazionale esercitata dall’oggetto, la cui posizione corrisponde alla sorgente radio Sgr A*. E sappiamo che l’orizzonte degli eventi del buco nero annidato nel centro galattico ha un raggio di appena 10 µas (microarcosecondi, cioè milionesimi di secondo d’arco): non tanto poco, tuttavia, da essere fuori della portata dei moderni interferometri.

Concludiamo questa storia con il racconto di come quella sorgente radio, che, a partire dagli anni ’80 divenne per tutti Sagittarius (o Sgr) A*, con l’asterisco, per distinguerla dalla complessa ed estesa sorgente radio circostante, che era Sagittarius A senza asterisco, acquisì quello strano segno distintivo.

L’inventore dell’asterisco fu Bob (Robert) Brown, uno dei due scopritori di Sgr A*. Non si trattava in verità del primo nome suggerito per la sorgente radio scoperta nel 1974. Nel 1980, Reynolds e McKee avevano proposto di chiamarla GCCRS, una specie di codice fiscale che stava per “galactic center compact radio source”. Il tentativo fortunatamente non ebbe emuli. Nel 1982 Backer e Sramek proposero il nome Sgr A(cn), dove ‘cn’ stava per “compact non-thermal”, cioè sorgente compatta non termica. Neppure questa proposta ebbe seguito. Si diffuse invece ben presto la formula con l’asterisco, introdotta da Brown proprio nel 1982.

Come nacque l’idea lo spiegò il suo stesso inventore, in un articolo del 2003:

Una mattina stavo scarabocchiando su un taccuino giallo, provando una quantità di possibili nomi. Quando cominciai a pensare alla sorgente radio come alla “sorgente eccitante” per l’assembramento di regioni H II visibili nelle mappe del VLA, il nome Sgr A* mi venne alla mente per analogia con la mia dissertazione di dottorato, che è in fisica atomica e nella quale la nomenclatura per gli stati atomici eccitati è He*, o Fe* ecc.

Il centro galattico, osservato nel vicino infrarosso con il VLT dell’ESO, in un’immagine pubblicata nel 2008 e usata, insieme ad altre simili, per determinare le orbite delle stelle che fanno la barba al buco nero. Lì in mezzo c’è anche Sgr A*. Cortesia: ESO/S. Gillessen et al.

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Michele Diodati
Through the optic glass

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.