Le fonti della mappa dell’Impero

Storia di un paradosso matematico e letterario

Marco Fulvio Barozzi
Through the optic glass
6 min readNov 25, 2015

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Il notissimo paradosso di Jorge Luis Borges relativo alla «Mappa dell’Impero» in scala 1:1 è contenuto nel frammento «Del rigore della scienza», l’ultimo di Storia universale dell’infamia (Il Saggiatore, 1961), pubblicato per la prima volta nel 1935 e poi riveduto e corretto nel 1954. Come sua abitudine, l’autore argentino attribuisce la citazione a un libro che in realtà non esiste:

«…In quell’Impero, l’Arte della Cartografia giunse a una tal Perfezione che la Mappa di una sola Provincia occupava tutta una Città, e la mappa dell’impero tutta una Provincia. Col tempo, queste Mappe smisurate non bastarono più. I Collegi dei Cartografi fecero una Mappa dell’Impero che aveva l’Immensità dell’Impero e coincideva perfettamente con esso. Ma le Generazioni Seguenti, meno portate allo Studio della cartografia, pensarono che questa Mappa enorme era inutile e non senza Empietà la abbandonarono all’Inclemenze del Sole e degl’Inverni. Nei deserti dell’Ovest rimangono lacerate Rovine della Mappa, abitate da Animali e Mendichi; in tutto il Paese non c’è altra reliquia delle Discipline Geografiche». (Suárez Miranda, Viajes de varones prudentes, libro IV, cap. XIV, Lérida, 1658)

In molti si sono occupati di questo frammento, tra i quali Umberto Eco, che gli ha dedicato un godibilissimo capitoletto del Secondo diario minimo (Bompiani, 1992), Dell’impossibilità di costruire la carta dell’impero 1 a 1, nel quale esamina con finta serietà la possibilità teorica di tale mappa e, attraverso speculazioni sulla sua possibile natura (mappa opaca stesa sul territorio, mappa sospesa, mappa trasparente, permeabile, stesa e orientabile), sul suo ripiegamento e dispiegamento, giunge a concludere, sulla base del paradosso di Russell, che tale mappa non potrebbe rappresentare l’insieme territorio + mappa. Eco conclude la sua “dimostrazione” con i seguenti corollari:

1. Ogni mappa uno a uno riproduce il territorio sempre infedelmente.

2. Nel momento in cui realizza la mappa, l’impero diventa irrappresentabile. Si potrebbe osservare che con il corollario secondo l’impero corona i propri sogni più segreti, rendendosi impercepibile agli imperi nemici, ma in forza del corollario primo esso diverrebbe impercepibile anche a se stesso. Occorrerebbe postulare un impero che acquista coscienza di sé in una sorta di appercezione trascendentale del proprio apparato categoriale in azione: ma ciò impone l’esistenza di una mappa dotata di autocoscienza la quale (se mai fosse concepibile) diverrebbe a quel punto l’impero stesso, così che l’impero cederebbe il proprio potere alla mappa.

3. Corollario terzo: ogni mappa uno a uno dell’impero sancisce la fine dell’impero in quanto tale e quindi è mappa di un territorio che non è un impero.

Piergiorgio Odifreddi, amante di Borges e suo studioso e divulgatore, in uno dei saggi reperibili in rete (Un matematico legge Borges), sostiene che

«(…) il regresso infinito che deriva dall’ipotesi di una mappa perfetta di un territorio disegnata su una sua parte produce non una contraddizione, ma l’esistenza di un punto del territorio che coincide con la sua immagine sulla mappa (per il teorema del punto fisso di Banach)».

In effetti, ragionando su spazi metrici (insiemi X dotati di una distanza d), una contrazione dello spazio metrico è una funzione T : X → X. tale da mandare coppie di punti x, y. appartenenti a X , in coppie di punti T(x); T(y) con una distanza minore tra loro. Il teorema delle contrazioni, o del punto fisso di Banach-Caccioppoli, garantisce che una qualsiasi contrazione definita su uno spazio metrico ammette almeno un punto fisso, così detto perché «la funzione non lo muove», ossia l’immagine mediante T coincide con il punto stesso.

Sempre a proposito della mappa dell’Impero, Odifreddi afferma che “Una delle ossessioni di Borges, apparentata all’autoriferimento e apparentemente paradossale, è la cosiddetta mappa di Royce, che egli ha citato almeno tre volte”. In effetti Borges cita esplicitamente il paradosso del filosofo idealista americano Josiah Royce in un passo del saggio Magie parziali del “Don Chisciotte”, contenuto in Altre inquisizioni (Feltrinelli, 1963, ma l’originale è del 1960):

«Le invenzioni della filosofia non sono meno fantastiche di quelle dell’arte: Josiah Royce, nel primo volume dell’opera The world and the individual (1899), ha formulato la seguente: ‘Immaginiamo che una porzione del suolo d’Inghilterra sia stata livellata perfettamente, e che in essa un cartografo tracci una mappa d’Inghilterra. L’opera è perfetta. Non c’è particolare del suolo d’Inghilterra, per minimo che sia, che non sia registrato nella mappa; tutto ha lì la sua corrispondenza. La mappa, in tal caso, deve contenere una mappa della mappa, che deve contenere una mappa della mappa della mappa, e così all’infinito’.»

Un altro riferimento alla mappa dell’Impero compare nelle Cronache di Bustos Domecq (Einaudi, 1975), scritto assieme a Adolfo Bioy Casares, nel capitolo «Naturalismo d’oggi», in cui si dice che il critico Hilario Lambin Formento voleva stilare una mappa della Divina Commedia e fini per ripubblicare le tre cantiche esattamente come le aveva scritte Dante. Tale impresa “descrittivista” sarebbe stata ispirata proprio dalla lettura del passo di Viaggi di uomini prudenti di Suárez Miranda in cui si parla della mappa dell’impero:

«Dapprima, si accontentò di pubblicare, in piccoli e manchevoli clichés, gli schemi dei gironi infernali, della torre del Purgatorio e dei cieli concentrici, che adornano la pregiata edizione di Dino Provenzal. La sua natura esigente non si considerò, tuttavia, soddisfatta. Il poema dantesco gli sfuggiva! Una seconda illuminazione, alla quale presto sarebbe seguita una laboriosa e lunga pazienza, lo sottrasse a quella passeggera stasi. Il 23 febbraio del 1931 intuì che la descrizione del poema, per essere perfetta, doveva coincidere parola per parola con il poema, come la famosa mappa coincideva punto per punto con l’Impero. Eliminò, dopo mature riflessioni, la prefazione, le note, l’indice e il nome e recapito dell’editore, e dette alle stampe l’opera di Dante».

Odifreddi nota il fatto che lo stesso Borges sembra indicare in Royce la fonte dei suoi riferimenti alla mappa in scala 1:1. C’è tuttavia un precedente ancora più antico, che mi sembra strano sia sfuggito sia a Borges, sia a Odifreddi. È contenuto nel secondo volume di Sylvie e Bruno (Garzanti, 1978), l’ultimo romanzo di Lewis Carroll, pubblicato per la prima volta nel 1893, qualche anno prima della stampa del libro di Royce, nel capitolo in cui il protagonista incontra l’eccentrico tedesco fatato Mein Herr, che lo intrattiene con un discorso pieno di considerazioni matematiche:

«Mein Herr sembrava così meravigliato che pensai bene di cambiare discorso. “Che cosa utile, una mappa tascabile!” Osservai.

“È un’altra delle cose che abbiamo imparato dal vostro paese,” disse Mein Herr; “stendere le mappe; ma noi siamo andati oltre. “Secondo lei quale sarebbe la massima scala utile per le mappe?”

“Cento su mille, un centimetro per chilometro.”

“Solo un centimetro!” Esclamò Mein Herr. “L’abbiamo fatto subito, poi siamo arrivati a dieci metri per chilometro. Poi abbiamo provato cento metri per chilometro. E finalmente abbiamo avuto l’idea grandiosa! Abbiamo realizzato una mappa del paese alla scala di un chilometro per un chilometro!”

“L’avete utilizzata?”

“Non è stata ancora dispiegata,” disse Mein Herr. “I contadini hanno fatto obiezione. Hanno detto che avrebbe coperto tutta la campagna e offuscato la luce del sole. Così adesso usiamo la campagna vera e propria come mappa di se stessa e vi assicuro che funziona ottimamente».

Sarebbe utile, a mio parere, investigare sul fatto che Royce possa aver conosciuto l’opera finale dell’autore di Alice. Di sicuro sarebbe di notevole interesse anche conoscere come mai Borges, che conosceva bene i libri di Lewis Carroll, non ne faccia menzione.

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