Le malattie professionali degli intellettuali

Dal primo trattato sulle malattie professionali

Marco Fulvio Barozzi
Through the optic glass
3 min readApr 2, 2017

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«I Letterati, adunque, i quali, come dice il Ficino (de Stud.val.tu, c.3) quantum mente & cerebro negotiosi sunt, tantum corpore otiosi sunt, quasi tutti n’incontrano le malattie della vita sedentaria, se eccettueremo quei Medici, che si portano alle case per visitare l’infermi. Si sa comunemente, che l’uomo divien scienziato con istar a sedere; sedendo adunque giorno, e notte fra’ diletti letterari, non risentono i danni del corpo fin’a che quelle cagioni non conosciute delle loro malattie, avanzatesi ben bello, non gli abbiano confinati nel letto. Già n’accennammo di sopra quai nocumenti arrechi la vita sedentaria onde su di ciò non mi tratterrò più a lungo. (…)

Infatti, generalmente parlando, tutt’i Letterati sogliono patire di debolezza di stomaco. At imbecilles stomacho, quo in numero magna pars urbanorum est, omnesque pene literarum cupidi & c. diceva Celso. Attesoche quasi niuno ritrovasi che seriamente attende alle lettere, il quale non abbia motivo di lamentarsi della languidezza di stomaco; perché mentre il cervello digerisce quelle cose che l’ardor di sapere, e l’appetito delle scienze gli suggerisce, malamente lo stomaco può digerire que’ cibi che messi dentro vi sono, val a dire per essere distratti gli spiriti animali, ed occupati circa il lavoro dell’intelletto, oppur non influendo pienamente gli spiriti medesimi come ricercherebbe il bisogno verso lo stomaco, a motivo di una gagliarda contrazione delle fibre nervose, e di tutto il sistema de’ nervi impiegati negli studj sublimi»

(…)

«I Mattematici, poi, che sono forzati a tener l’animo separato da’ sensi, e quali dal commercio del corpo, per contemplare, e dimostrare, cose astrusissime, e lontane da materialità, quasi tutti sono sbalorditi, pigri, sonnolenti, e come forestieri delle cose del mondo. Perciò bisogna forzatamente che le parti tutte, è tutto il corpo illanguidisca da un certo torpore, non alteramente, che un condannato a perpetua oscurità. Atteso che mentre la mente sta attenta a tali studi, tutta la luce animale n’è rinchiusa nel centro, e si espande per illuminare le parti esterne. Ne’ Professori di tal sorta ha luogo di fatto quell’Oracolo d’Ippocrate (1, de dieta, n. 5) Lux orco, tenebrae Iovi: perché mentre il lume degli spiriti si va rivolgendo nelle pari più recondite del cervello, è forza che le parti esterne siano in tenebre, e torpidezza»

(…)

«I letterati dunque applichino bensì agli studj, ma con moderatezza, né con tanta applicazione siano occupati nella coltura dell’animo, da trascurare la cura del corpo, ma tenghino la via di mezzo, in guisa che l’anima e il corpo convivendo fedelmente insieme quali ospite, e albergatore, l’uno soccorra l’altro non già scambievolmente si logorino».

Bernardino Ramazzini, De Morbis Artificum Diatriba, 1700.

Bernardino Ramazzini (Carpi, 1633 – Padova, 1714) è considerato il creatore della medicina del lavoro e della difesa sociale del lavoratore. La sua fama si deve al De morbis artificum diatriba (Modena, 1700), opera di grande e duraturo successo, citata anche da Adam Smith e Karl Marx, rimasta insuperata per un secolo e mezzo e ancora operativamente consultata negli ultimi decenni del secolo scorso. Tra le varie categorie di lavoratori prese in esame, dai minatori ai chimici, dai calzolai ai fabbri, dalle balie ai domatori di cavalli, ha colpito la mia curiosità la lunga Dissertazione delle malattie de’ Letterati, dove il termine indica, in una accezione molto vasta, tutti coloro che sono impegnati in attività intellettuali e liberali. Mi avvalgo della traduzione dal latino che fece l’abate Chiari di Pisa per l’edizione italiana pubblicata a Venezia nel 1745. Sulla figura e l’opera del Ramazzini consiglio a chi voglia approfondire il bell’articolo pubblicato su Scienza in rete da Franco Carnevale.

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