Omo sanza numeri
Le conoscenze matematiche di Leonardo da Vinci, tra mito e realtà
Per noi europei, e non solo, non c’è un’altra figura come quella di Leonardo da Vinci in grado incarnare altrettanto efficacemente le potenzialità umane dell’intelletto e della sensibilità, capace di suscitare gli stessi sentimenti di stupore e ammirazione per le innumerevoli ed eterogenee conquiste di un’anima inquieta e affascinante. Un’ammirazione, quella per il genio toscano, che sconfina sovente in mitologia, alimentata sia da aspetti curiosi, come la sua caratteristica scrittura da destra a sinistra, che dalle caratteristiche della sua personalità di studioso affamato di conoscenza, dotato di un’audace e originale immaginazione, in grado di spaziare in ogni campo del sapere, affascinando, con le sue indubbie doti di affabulatore, potenti come Ludovico il Moro e Francesco I re di Francia. Un intellettuale sostanzialmente ai margini delle scuole di pensiero a lui contemporanee, altro motivo di popolarità odierna, che sviluppò le sue idee in un isolamento che Sigmund Freud sintetizza descrivendolo come «un uomo che si svegliò troppo presto nelle tenebre mentre gli altri uomini dormivano ancora». Un giudizio che contribuisce, insieme a tanti altri, a dipingere Leonardo come privo di interlocutori, contribuendo a farne una figura mitica, dimenticando che tra gli uomini ancora addormentati si annoverano personaggi come Regiomontano, Leon Battista Alberti, Piero della Francesca, Luca Pacioli, Nicolò Copernico, solo per citarne alcuni.
Questa mitizzazione che a partire dai suoi contemporanei è giunta fino a noi attraverso i commentatori e i biografi successivi, ha trovato, però, anche robuste ragioni nella straordinarietà della sua opera artistica e, soprattutto, nella visionarietà della sua produzione scientifica. Ma se Leonardo occupa un posto di rilievo nella storia del pensiero scientifico non è tanto per aver fantasticato su macchine volanti, paracaduti o sommergibili, quanto per la modalità della sua riflessione scientifica che è essenzialmente visiva, un fare scienza che non solamente si nutre di suggestioni che provengono dalle immagini ma si realizza anche attraverso di esse. Immagini che in Leonardo diventano arte realizzando, come ricorda lo storico Domenico Laurenza, la «trasfigurazione di una teoria scientifica in opera d’arte. Le figure che dipinge sono concepite a partire “dall’interno”: la Cecilia Gallerani o la Gioconda sarebbero incomprensibili senza la contemporanea ricerca anatomica».
Un percorso di ricerca, quello leonardesco, che passa anche per la rielaborazione di teorie scientifiche del passato come quando, sempre nella creazione di quel capolavoro universale che è la Gioconda, fa leva sui concetti di anima e spirito, mutuati dalla filosofia naturale scolastica, sfumando i contorni della figura e compiendo un passo fondamentale per tutta l’arte cinquecentesca. Un contatto così stretto, quello tra arte e scienza nell’opera di Leonardo, che non troverà uguali in tutta la storia della scienza successiva.
Nelle cinquemila pagine di appunti che ci sono pervenute, raccolte in dieci codici, troviamo veramente di tutto. Nel progetto leonardesco di ricomposizione del sapere, secondo lo spirito dell’epoca, trovano spazio tanto scritti di pittura, scultura e architettura (sia militare che religiosa), quanto studi di botanica, zoologia, anatomia o appunti di astronomia, fisica (in particolare ottica), chimica, non trascurando quelli dedicati all’idraulica, alla meccanica e persino, come nel Codice Atlantico, allo studio degli automi. Poteva mancare la matematica? Certamente no.
Leonardo nasce nel 1452, solo un anno prima della caduta di Costantinopoli ad opera dei turchi, evento che segna il crollo dell’Impero d’oriente e che alcuni storici prendono come comodo punto di riferimento per segnare il passaggio dal Medioevo all’Età moderna. Dal punto di vista della storia della matematica, però, non è così univoco il giudizio sull’importanza di questa data. Non tutti gli storici, infatti, concordano sull’idea che il crollo dell’impero bizantino possa aver contribuito positivamente alla diffusione del sapere matematico in Europa, consentendo l’arrivo delle antiche opere greche a seguito della diaspora degli studiosi in fuga da Costantinopoli, e preferiscono pensare che, al contrario, proprio il collasso dell’impero d’oriente interruppe il flusso di manoscritti che costituivano la principale fonte di conoscenza delle opere classiche.
Indipendentemente da questa controversia storica, proprio dalla metà del XV secolo la matematica europea segna una nuova ripresa. Sono gli anni in cui l’Europa comincia a riprendersi dalla terribile peste nera di un secolo prima e sono gli anni dell’invenzione della stampa a caratteri mobili che consentirà la rapida diffusione del sapere in tutto il continente. Sebbene siano ancora poche le opere di matematica realizzate con questa tecnologia innovativa esse sono sufficienti, unite ai manoscritti disponibili, a dare un grande impulso agli sviluppi successivi. E vengono date alle stampe soprattutto traduzioni latine di trattati arabi di algebra e aritmetica, la cui comprensione è di gran lunga superiore a quella degli scritti dei grandi geometri greci, ad eccezione delle parti più elementari dell’opera di Euclide. Al contrario di quanto, nello stesso periodo, avviene tra gli umanisti che scoprono le opere letterarie, artistiche e scientifiche della Grecia classica, in campo matematico pochi studiosi riescono a trarre beneficio dalle opere di Apollonio o Archimede, considerate troppo difficili, e l’attenzione viene rivolta principalmente verso la teoria delle proporzioni, risultato della speculazione medievale, e i metodi algebrici di origine araba.
Leonardo, che visse in questo ambiente sociale e culturale di profondo rinnovamento e ne incarnò lo spirito potendo esprimere la propria personalità eccezionale, conosceva questi libri e manoscritti? A giudicare da quanto riporta Vasari nella sua Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architetti sicuramente sì, se è vero che che «[…] nelle cose d’ numeri faceva movere i monti […]» e non aveva pari nell’esecuzione di calcoli complicati:
Ecco nell’abaco egli in pochi mesi che è v’attese, fece tanto acquisto, che movendo di continuo dubbi e difficultà al maestro che gli insegnava, bene spesso lo confondeva.
Ma come Leonardo stesso scriverà durante il suo soggiorno milanese alla corte di Ludovico il Moro, per controbattere alle critiche mosse alle sue qualità di scienziato,
So bene che per non esser io litterato, che alcuno presuntuoso gli parrà ragionevolmente potermi biasimare coll’allegare io essere omo sanza lettere. Gente stolta! […] Or non sanno questi che le mie cose son più da esser tratte dalla esperienza che d’altrui parola…
Nonostante ribadisse l’aspetto empirico, pratico delle sue opere, l’essere “omo sanza lettere” sarà per Leonardo un cruccio che lo accompagnerà tutta la vita e nei codici troviamo pagine intere di parole latine che imparava a memoria per servirsene nelle discussioni. Leonardo era, infatti, una persona estremamente affascinante, un bell’uomo che vestiva in modo elegante ed eccentrico ma, soprattutto, capace di conversare efficacemente e convincere delle proprie argomentazioni, sia facendo leva sulle proprie conoscenze enciclopediche che su qualche stratagemma.
Proprio questo è uno dei motivi che spingono gli storici a ritenere il resoconto di Vasari, a proposito di Leonardo matematico, eccessivamente elogiativo. Cresciuto nella bottega del Verrocchio, la sua formazione scientifica fu sostanzialmente da autodidatta, il che non gli consentì di acquisire padronanza del latino e del greco, le due lingue in cui erano redatti i manoscritti disponibili e stampati i nuovi libri. Questo fatto esclude che potesse essere, come molti commentatori successivi a Vasari hanno sostenuto, lettore competente e accanito delle opere matematiche di Archimede ed Euclide: l’edizione in italiano degli Elementi curata da Tartaglia fu disponibile solo dopo la morte di Leonardo. È ben vero che gli sviluppi della matematica del XV secolo furono sostanzialmente mossi da necessità pratiche e che Leonardo in più occasioni ribadì l’importanza di non trascurarne la presenza nelle realizzazioni ingegneristiche, affermando che «la meccanica è il paradiso delle scienze matematiche».
Nei codici, però, non c’è traccia di questo paradiso: la matematica utilizzata negli studi leonardeschi di ingegneria non è molto diversa da quella usata da altri tecnici del tempo ed è ridotta a poche nozioni di base. Ingegneri, architetti, agrimensori, contabili ponevano agli scienziati problemi che non sapevano risolvere, anche e soprattutto in campo matematico, e anche opere come l’Aritmetica di Treviso, pubblicata nel 1478 e primo esempio di libro di matematica stampato, il De triangulis di Regiomontano o finanche la Summa de Arithmetica di Luca Pacioli, accanto a risultati matematici di prim’ordine dedicavano parecchio spazio alle applicazioni, denunciando il loro carattere concreto di tipo ingegneristico o commerciale. Ma furono scienziati e tecnici in grado di raccogliere la sfida di problemi pratici a svolgere un ruolo propulsivo nella matematica di quel periodo, non Leonardo.
L’impossibilità di studiare a fondo le traduzioni e i commenti delle opere di autori classici come Euclide e Archimede, scritte in greco o in latino, non impedì comunque a Leonardo di venire in contatto con la cultura matematica del suo tempo. I suoi appunti sono ricchi di annotazioni, commenti e trascrizioni di parti di trattati, anche in campo matematico. Grazie a questi scritti, sempre in volgare e mai in latino, risultato dello studio dei testi che riusciva a capire, abbiamo oggi la possibilità di renderci conto delle sue conoscenze matematiche. Alcune pagine del Codice Atlantico, del Codice Arundel nonché quelle dedicate alla geometria raccolte nei Codici di Madrid, nei Codici Forster o in quelli dell’Istituto di Francia, ci restituiscono un’immagine di matematico piuttosto diversa da quella normalmente attribuita a Leonardo scienziato.
Leonardo non sembra, ad esempio, muoversi bene nel mondo delle frazioni. Nel foglio 191 del Codice Atlantico troviamo scritto «[…] sarà 12⁄12 cioè 1⁄0 » o ancora cercando di sommare le frazioni 13⁄12 , 7⁄6 e 3⁄2 invece di riconoscere il 12 come denominatore comune, ottenere 45⁄12 e semplificando 15⁄4, calcola uno strano valore per il denominatore giungendo al risultato errato di 216⁄78.
Se con la somma di frazioni non si trova a proprio agio non sembra fare di meglio con il prodotto. Al foglio 665 dello stesso codice Leonardo cerca di calcolare la moltiplicazione di 2⁄2 per sé stesso. Il risultato, sorprendentemente, è
2⁄2 × 2⁄2 = 4⁄2 =2
da cui deduce ovviamente che √2 =2⁄2 . A questo punto la generalizzazione è presto ottenuta
√3 =3⁄3 , √4 =4⁄4 …
risultati che sono ripresi anche altrove, nell’opera leonardesca, come nel foglio 200 del Codice Arundel dove si trova un’ulteriore generalizzazione alle radici cubiche.
Nel foglio 10 del Codice L dell’Istituto di Francia troviamo Leonardo alle prese con la divisione tra frazioni
2⁄3 : 3⁄4
Secondo le regole sa e calcola correttamente il valore 8⁄9 , ma contesta aspramente il risultato aggiungendo poco sotto che
«Quest’è falso imperò ch’egli è più 8⁄9 che non è 2⁄3 »
Qui Leonardo vuole dire che se si divide un primo numero per un secondo, il risultato deve essere inferiore al primo, altrimenti che divisione è? Naturalmente qui l’abbaglio è notevole. La considerazione leonardesca è valida se si opera con numeri naturali ma non certo con le frazioni. Non pago mette in moto la sua fantasia per rendere giustizia al mondo dei numeri ed elabora un metodo alternativo per calcolare le divisioni tra frazioni, metodo che però non è corretto.
Questi pochi esempi, tra i molti a disposizione, ci fanno apparire un Leonardo a disagio con gli strumenti algebrici elementari e molto lontano dall’immagine che molti commentatori ne hanno dato nel corso dei secoli.
E la geometria? Sicuramente è uno dei grandi interessi di Leonardo, legata com’è al suo lavoro artistico tanto quanto a quello ingegneristico. È affascinato dalla costruzione con riga e compasso dei poligoni regolari. In molte pagine troviamo tracciati poligoni con 3,4,5,6… fino alla figura con 48 lati del foglio 11 del Codice A di Madrid. Spesso però queste costruzioni geometriche non hanno il rigore matematico necessario. Sono approssimative e anche quando Leonardo scrive di volerne dare una dimostrazione, quello che fornisce sono solo semplici spiegazioni operative. Molte considerazioni si trovano sparse nei suoi appunti e riguardano questioni elementari come, ad esempio, quelle relative agli angoli interni ed esterni di un triangolo, alla disuguaglianza triangolare o alla definizione di linea retta, frutto di studio che stava compiendo in quegli anni.
E poi naturalmente la prospettiva che riveste molta importanza nell’opera di Leonardo. Il Rinascimento costituisce un punto di svolta negli studi sulla rappresentazione della realtà e un progressivo allontanamento da un approccio empirico, da una ricerca di regole pratiche che ha origini antiche. È proprio a partire dall’epoca in cui vive Leonardo che si farà quel salto che porterà nei tre secoli successivi alla sistemazione di questo campo di studi nella creazione della geometria proiettiva ad opera di matematici come Desargues, Pascal, Monge e Poncelet.
I protagonisti di questa svolta sono pittori e architetti: da Leon Battista Alberti, che codifica e amplia nel trattato Della Pittura le idee di Filippo Brunelleschi a Piero della Francesca con il suo De prospectiva pingendi, il più importante trattato rinascimentale sulla prospettiva. Soprattutto quest’ultimo, autore anche di opere specificatamente matematiche come De quinque corporibus regolaribus, ripresa tempo dopo anche da Luca Pacioli nella sua Divina proportione, e il Trattato d’abaco che dimostra la preparazione matematica di Piero della Francesca, appare quanto mai consapevole dell’importanza di poter collegare la rappresentazione pittorica a regole matematiche precise. Molto più di Alberti ancora legato ad un approccio empirico antico.
Leonardo, che conosceva bene l’opera di Leon Battista Alberti e Piero della Francesca, pochi anni dopo il De prospectiva pingendi scrisse un trattato sulla pittura che, nella versione originale, è andato perduto. L’approccio leonardesco alla prospettiva, però, è totalmente diverso rispetto a quello di Piero della Francesca. Non si dimostra favorevole alla matematizzazione della rappresentazione tridimensionale e appare più attento al risultato artistico che a un insieme coerente di regole matematiche applicate a oggetti geometrici. Accanto a una prospettiva lineare o matematica, Leonardo insiste su una “prospettiva dei perdimenti”, che tiene conto delle caratteristiche atmosferiche che influenzano la visione, e una “prospettiva di spedizione” che riguarda la modifica delle caratteristiche cromatiche, delle sfumature di colore. Una scienza della visione più che una teoria matematica come quella di Piero della Francesca, studi finalizzati alla rappresentazione artistica come quelli di anatomia e non fini a sé stessi.
«Havendo, Signor mio Illustrissimo, visto e considerato horamai ad sufficientia le prove di tutti quelli che si reputono maestri e compositori de istrumenti bellici […] mi exforzerò […] farmi intender da Vostra Excellentia aprendo a quella li secreti miei […] Et se alcuna de le sopradicte cose a alchuno paressino impossibile e infactibile, me offerò paratissimo ad farne experimento in el parco vostro». La lettera, risalente ai primi anni ottanta del XV secolo, è scritta da Leonardo con l’aiuto di un letterato e inviata a Ludovico il Moro, duca di Milano. Per la prima volta affida alle parole e non a splendidi disegni, come aveva fatto a Firenze, la presentazione delle proprie capacità, sottolineando l’aspetto di invenzioni inaudite, mirabolanti e segrete. Il clima a Milano è di preparazione alla ripresa della guerra contro Ferrara e Leonardo ritiene che sia il momento migliore per presentare “ponti leggerissimi e forti” e “carri coperti, securi e inoffensibili”.
La lettera, dal punto di vista che stiamo affrontando, è molto più di un tentativo di ottenere incarichi dal duca. Testimonia un momento di svolta nella vita culturale di Leonardo che comincia esplicitamente a prendere le distanze dal “sapere pratico” affermando l’importanza di un sistema teorico fatto di regole generali e basato su fonti scritte. Un approccio che ha come conseguenza la realizzazione di un vero e proprio tirocinio per sé stesso e il confronto con quel mondo della cultura alta che aveva a che fare soprattutto con la parola, più che con l’immagine. E con il latino. All’età di trentacinque anni inizia un intenso lavoro di emancipazione culturale che porterà avanti in modo particolarmente ossessivo dal 1483 al 1489. La cultura orale non è più sufficiente a Leonardo che stila elenchi di volumi da reperire e comincia a costruirsi una biblioteca fornita.
Con grande interesse, quindi, Leonardo apprende che, nel 1493 a Urbino e nel 1494 a Venezia, era stato dato alle stampe in volgare l’opera enciclopedica Summa de aritmetica, geometria, proporzioni et proporzionalità. L’autore è uno dei più grandi matematici dell’epoca, il frate Luca Pacioli anch’egli toscano, che tanta parte avrà nella vita di Leonardo negli anni milanesi. Acquista prontamente l’opera che studia con avidità, dedicandosi in particolare alla geometria contenuta nell’opera di Pacioli, al problema della quadratura del cerchio e alla teoria delle lunule e riassumendo alcune parti dedicate alle proporzioni in alcune pagine oggi raccolte nel Codice di Madrid.
Nel 1496 Luca Pacioli arriva a Milano, chiamato dal duca per insegnare matematica nelle scuole palatine e tra i due nasce subito un’amicizia molto forte che contribuisce in modo decisivo alla crescita culturale di Leonardo in campo matematico che apprende, ad esempio, cosa significhi costruire una dimostrazione. Si dedica alla risoluzione di proporzioni con un termine incognito utilizzando un metodo molto in voga nel Rinascimento, quello della regula falsi (falsa posizione), che risale addirittura agli antichi egizi e ne troviamo testimonianza nel famoso papiro di Rhind.
Senza entrare nei dettagli, il metodo consente di determinare il valore incognito partendo da un’attribuzione che sappiamo non essere quella giusta. Leonardo si dedica con impegno all’applicazione di questo metodo che, attraverso ragionamenti successivi giunge a determinare il valore corretto dell’incognita, ma quando ha a che fare con le frazioni spesso, come gli succedeva una volta, cade in errore.
La matematica diventa un interesse primario tanto da voler costruire altre sue produzioni con uno stile matematico. Così è per il Trattato sulla pittura, per il Primo libro delle acque e per il Trattato di anatomia nel cui preludio troviamo scritto «Non mi legga chi non è matematico nei miei principi», anche se occorre precisare che per Leonardo il termine matematico ha un significato un po’ diverso da quello che intendiamo noi oggi, essendo riservato a chi ricerca la verità attraverso il ragionamento, le prove, non accetta dogmi e condanna i ciarlatani, quello che oggi si potrebbe chiamare con il termine razionale o scettico.
Ma è nella geometria che Leonardo riversa gran parte della sua attenzione e gli insegnamenti del Pacioli fanno crescere notevolmente il suo interesse nei confronti di questo campo di studi. In particolare Leonardo rimane affascinato dalla sezione aurea, quella particolare costruzione geometrica che consente di suddividere, sezionare appunto, un segmento AB in due parti, AE e EB tali che
AB : AE = AE : EB
Questo modo di dividere un segmento, così importante da meritarsi l’appellativo di aureo, ha una lunga storia che parte dalla scuola pitagorica (o forse anche prima come alcuni reperti egizi sembrano indicare) per arrivare fino ai nostri giorni e rappresenta il tentativo di trovare il “segreto matematico” della bellezza. Così a partire dal VI secolo a.C. le proporzioni tra gli elementi fondamentali delle opere d’arte, dalle sculture di Policleto e di Fidia ai templi greci, seguono i rapporti individuati dalla sezione aurea. Rapporti aurei il cui valore è un numero irrazionale:
AB : AE = AE : EB = 0,618…
Leonardo riflette molto sulla sezione aurea, quella che Pacioli definirà divina proportione, stimolato anche dal De architectura di Vitruvio alla cui dottrina aveva dedicato qualche anno prima quella che si può ben dire sia diventata un’icona del Rinascimento: l’Uomo vitruviano. Qui, ad esempio, la distanza tra l’ombelico e il terreno e l’intera altezza dell’uomo stanno in un rapporto aureo. E molti sono i disegni che ritroviamo negli appunti raccolti nei codici, anche se non sempre i calcoli a corredo sono molto precisi.
Anche i fondamenti della geometria euclidea sembrano avere per Leonardo un altro significato. Troviamo in molti fogli definizioni di punto, di retta e di superficie, come nel piccolo trattato intitolato Del punto inserito nel Codice Atlantico in cui si trova scritto «il punto è in sito senza occupazione di sito», una definizione molto elegante e moderna di questo elemento geometrico. Un atteggiamento rinnovato che lo porta ad avvicinarsi alle posizioni di Alberti e soprattutto di Piero della Francesca che non aveva condiviso a proposito della prospettiva.
Ai problemi classici come la quadratura del cerchio, la trisezione di un angolo e la duplicazione del cubo Leonardo riversa molte delle sue energie. Sono problemi che gli antichi ritenevano risolvibili con riga e compasso, non noti ma conoscibili, e che si è dimostrato solo molti secoli dopo non essere solubili in quel modo. In particolare il cosiddetto “problema di Delo”, cioè di costruzione di un cubo di volume doppio di uno dato, viene affrontato in una pagina del Codice Atlantico partendo da un cubo di lato 4 (e volume 64) e affermando che il cubo di volume doppio dovrà avere lato 5. La radice quadrata di 128 è approssimativamente uguale a 5,039, un valore molto vicino a 5 ma non coincidente con esso. Questo ci presenta un Leonardo molto interessato ad ottenere un risultato approssimato ma utile piuttosto che uno matematicamente preciso, forse trascurando la differenza tra numero e sua approssimazione che a volte sembra sfuggirgli. Un’attenzione per i calcoli approssimati, compiuti a volte con eccessiva disinvoltura, che ritroviamo spesso nell’opera di Leonardo, come nelle costruzioni geometriche delle radici da 1 a 15 che si trovano nel foglio 596 del Codice Atlantico o nelle approssimazioni un po’ sbrigative che usa nell’applicazione della sezione aurea.
E ancora grande spazio nei suoi studi occupa il problema di quadratura delle figure curvilinee, la costruzione di un quadrato avente la stessa area di una figura qualunque, non solo il cerchio quindi, una passione che non abbandonerà mai per tutta la vita. In particolare si dedica alle lunule, figure costruite a partire da un semicerchio circoscritto a un triangolo rettangolo e isoscele sul diametro, anch’esso un problema ereditato dalla geometria Greca, in particolare da Ippocrate di Chio che dimostrò l’uguaglianza tra l’area della lunula e quella del triangolo suddetto. Una vera e propria quadratura di una figura curvilinea con riga e compasso che entusiasmò Leonardo fino a fargli progettare un trattato dedicato a questi problemi a cui dà il titolo di Libro d’equazione. Problemi che Leonardo aveva conosciuto già dalla lettura delle opere di Leon Battista Alberti, in particolare del De lunularum quadratura, opera probabilmente all’origine dell’interesse spasmodico di Leonardo per il problema della quadratura del cerchio, alla cui soluzione dedica molte parti dei suoi appunti in cui troviamo ripetutamente annunciate dimostrazioni, che però risultano sempre e solo ancora soluzioni approssimate.
Ma quando si parla di Leonardo matematico spesso si fa riferimento a contributi dati da genio di Vinci al problema delle tassellature del piano, e cioè il riempimento di una superficie piana con figure geometriche affiancate l’una all’altra. Nel caso di poligoni regolari la questione è facilmente risolvibile, come sa qualunque buon piastrellista. Ma se le figure non sono regolari? Il problema, che ritroviamo frequentemente nell’arte dagli arabi ai disegni di Escher, si fa più complicato e matematicamente molto più interessante. In più fogli dei codici leonardeschi troviamo affrontate le difficoltà di tassellare utilizzando figure irregolari, ma si tratta sempre di disegni, corredati da commenti ma non affrontati in modo matematico. Le ricerche sulle possibili simmetrie nelle tassellature hanno sempre in Leonardo uno scopo estetico, sono mosse da necessità architettoniche e pittoriche. Nonostante grandi matematici, presentando i risultati in questo campo di studi, hanno citato contributi leonardeschi, addirittura “teoremi di Leonardo”, non ci sono prove a sostegno di un’elaborazione teorica. I codici testimoniano un grande interesse e molti disegni dedicati a questi problemi che però da un punto di vista matematico non hanno il valore che viene loro attribuito da una consolidata tradizione.
La forte amicizia tra Luca Pacioli e Leonardo sarà destinata a concretizzarsi con la pubblicazione del De divina proportione, un trattato dedicato alla sezione aurea ma che affronta anche di questioni matematiche relative ai solidi platonici e le loro implicazioni cosmologiche, di architettura e di prospettiva: per l’edizione manoscritta donata a Giangaleazzo Sanseverino, Leonardo realizza splendide tavole rappresentanti i solidi platonici.
I due amici fuggiranno da Milano nel 1499 poco prima dell’invasione francese, peregrinando da Mantova a Venezia e infine a Firenze dove, secondo alcuni storici, continueranno la collaborazione iniziata a Milano, le cui testimonianze si possono rintracciare negli appunti di quel periodo su questioni euclidee e in riassunti delle opere di Pacioli. Dopo il 1514, anno in cui probabilmente sono a Roma alla corte papale di Leone X, i due non si incontreranno più. La lontananza dell’amico influirà fortemente sugli studi matematici di Leonardo che sembra non affrontare più con il vigore di un tempo.
Il rapporto di Leonardo con la matematica contribuisce a restituire un’immagine meno mitica e più umana, ma non per questo ridimensionante. Le difficoltà che incontrerà in tutta la sua vita in questo campo di studi, frutto della mancanza di un’educazione regolare che gli impedì di apprendere per tempo gli strumenti linguistici necessari, hanno anche un’altra ragione. Una delle caratteristiche importanti della personalità di Leonardo fu la sua incostanza. Accanto all’energia profusa per imparare ogni cosa troviamo moltissimi progetti di studio poi abbandonati per seguirne altri. Innumerevoli sono i trattati che pensa di realizzare ma che non porterà mai a termine: da quello sull’anatomia, di cui scriverà solo il proemio o quello sulla pittura che solo la pazienza e la dedizione del suo discepolo Francesco Melzi vedrà la luce postumo. E in campo matematico, oltre al già citato Libro d’equazione, pensa a un trattato di geometria, di cui rimangono solo appunti sparsi e frammentari. Un’incostanza confermata anche dal Vasari che, accanto a elogi di ogni genere, deve ammettere che «nella erudizione e nei principi delle lettere avrebbe fatto profitto grande, se non fosse stato tanto vario e instabile». Una peculiarità del suo carattere che male si sposava con la continuità di studio necessaria, allora come oggi, per ottenere una formazione matematica solida.
Ma il riconoscere le difficoltà, i difetti, i limiti di Leonardo non significa sminuire la portata del suo genio. Anzi, al contrario, significa farne di lui un genio umano che con fatica costruisce il suo sapere e non un depositario di perfezione divina, come vuole l’immagine di Vasari che scrive «Ciascuna sua azione è tanto divina, che lasciandosi dietro tutti quanti gli altri uomini, manifestamente si fa conoscere per cosa largita da Dio». E vuol dire comprendere, per confronto con le nostre umane debolezze e capacità, il vero significato della parola genio.