Queneau, Resnais, Calvino e lo stirene

Chimica, industria, cinema, poesia

Marco Fulvio Barozzi
Through the optic glass
8 min readApr 18, 2016

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Nel 1957 il gruppo industriale Pechiney commissionò al regista Alain Resnais un filmato pubblicitario sull’utilità della plastica. Dalla collaborazione con Raymond Queneau, che scrisse il commento fuori campo in versi alessandrini impeccabili, nacque un oggetto di straordinaria perfezione estetica e, a suo modo, paradossale. Il filmato, intitolato Le Chant du Styrène è infatti il prodotto di una serie di restrizioni: a quella esterna (la commissione della Pequinay), Queneau ne aggiunse altre, con un procedimento che preannuncia gli sviluppi oulipiani, come la scelta del commento in versi e la narrazione rovescia, che procede dall’oggetto finito (una ciotola di plastica) per rimontare, attraverso il processo industriale di fabbricazione del polistirene a partire dallo stirene, alle origini delle materie prime, il petrolio e il carbone.

Dal canto suo, Resnais assecondò la narrazione con grande tecnica nel montaggio e con la scelta del colore. Il commento musicale fu affidato a Pierre Barbaud, creatore della musica algoritmica e pioniere della programmazione musicale con l’ausilio del computer. Il testo fu affidato alla voce narrante di Pierre Dux. Il cortometraggio, che dura 14 minuti e si apre con una citazione di Victor Hugo, uscì l’anno successivo.

Le Chant du Styrène

O temps, suspends ton bol, ô matière plastique

D’où viens-tu? Qui es-tu? et qu’est-ce qui explique

Tes rares qualités? De quoi donc es-tu fait?

D’où donc es-tu parti? Remontons de l’objet

À ses aïeux lointains! Qu’à l’envers se déroule

Son histoire exemplaire. Eu premier lieu, le moule.

Incluant la matrice, être mystérieux,

Il engendre le bol ou bien tout ce qu’on veut.

Mais le moule est lui-même inclus dans une presse

Qui injecte la pâte et conforme la pièce,

Ce qu présente donc le très grand avantage

D’avoir l’objet fini sans autre façonnage.

Le moule coûte cher; c’est un inconvénient.

On le loue il est vrai, même à ses concurrents.

Le formage sous vide est une autre façon

D’obtenir des objets : par simple aspiration.

À l’étape antérieure, soigneusement rangé,

Le matériau tiédi est en plaque extrudé.

Pour entrer dans la buse il fallait un piston

Et le manchon chauffant – ou le chauffant manchon

Auquel on fournissait – Quoi? Le polystyrène

Vivace et turbulent qui se hâte et s’égrène.

Et l’essaim granulé sur le tamis vibrant

Fourmillait tout heureux d’un si beau colorant.

Avant d’être granule on avait été jonc,

Joncs de toutes couleurs, teintes, nuances, tons.

Ces joncs avaient été, suivant une filière,

Un boudin que sans fin une vis agglomère.

Et ce qui donnait lieu à l’agglutination?

Des perles colorées de toutes les façons.

Et colorées comment? Là, devint homogène

Le pigment qu’on mélange à du polystyrène.

Mais avant il fallut que le produit séchât

Et, rotativement, le produit trébucha.

À peine était-il né, notre polystyrène.

Polymère produit du plus simple styrène.

Polymérisation: ce mot, chacun le sait,

Désigne l’obtention d’un complexe élevé

De poids moléculaire. Et dans un réacteur,

Machine élémentaire oeuvre d’un ingénieur,

Les molécules donc s’accrochant et se liant

En perles se formaient. Oui, mais – auparavant?

Le styrène n’était qu’un liquide incolore

Quelque peu explosif, et non pas inodore.

Et regardez-le bien; c’est la seule occasion

Pour vous d’apercevoir ce qui est en question.

Le styrène est produit en grande quantité

À partir de l’éthyl-benzène surchauffé,

Le styrène autrefois s’extrayait du benjoin,

Provenant du styrax, arbuste indonésien.

De tuyau en tuyau ainsi nous remontons,

À travers le désert des canalisations,

Vers les produits premiers, vers la matière abstraite

Qui circulait sans fin, effective et secrète.

On lave et on distille et puis on redistille

Et ce ne sont pu là exercices de style:

L’éthylbenzène peut – et doit même éclater

Si la température atteint certain degré.

Quant à l’éthylbenzène, il provient, c’est limpide,

De la combinaison du benzène liquide

Avecque l’éthylène, une simple vapeur.

Ethylène et benzène ont pour générateurs

Soit charbon, soit pétrole, ou pétrole ou charbon.

Pour faire l’autre et l’un l’un et l’autre sont bons.

On pourrait repartir sur ces nouvelles pistes

Et rechercher pourquoi et l’autre et l’un existent.

Le pétrole vient-il de masses de poissons?

On ne le sait pas trop ni d’où vient le charbon.

Le pétrole vient-il du plancton en gésine?

Question controversée… obscures origines…

Et pétrole et charbon s’en allaient en fumée

Quand le chimiste vint qui eut l’heureuse idée

De rendre ces nuées solides et d’en faire

D’innombrables objets au but utilitaire.

En matériaux nouveaux ces obscurs résidus

Sont ainsi transformés. Il en est d’inconnus

Qui attendent encor la mutation chimique

Pour mériter enfin la vente à prix unique.

Oggi, che conosciamo la tossicità dello stirene (e la sua sospetta cancerogenicità: dato IARC), che piangiamo gli operai morti nei petrolchimici per effetto della sua manipolazione, un tale testo può sorprendere, ma erano tempi diversi e del composto chimico ci si lamentava solo per la puzza. La plastica prometteva di cambiare la vita quotidiana degli uomini e lo avrebbe fatto, rendendola più comoda. Non passarono che pochi anni e Gino Bramieri, dai teleschermi di Carosello, avrebbe invaso le case degli italiani con il suo tormentone del Moplen.

Nel giugno 1985 Vanni Scheiwiller ricevette l’incarico dalla Montedison di realizzare una strenna natalizia per i suoi principali clienti e fornitori. L’editore, che conosceva il lavoro di Queneau per Resnais, contattò Italo Calvino per la traduzione di Le Chant du Styrène, contando sulla lunga amicizia tra i due scrittori e sulla loro comune appartenenza all’Oulipo. Calvino accettò, anche se il lavoro propostogli non era affatto facile, in particolar modo per le sue scarse conoscenze chimiche. Scrisse allora a Primo Levi, chimico di formazione, per avere chiarimenti sulla traduzione di alcune parole. Dalla lettera, del 10 agosto 1985, si possono avere informazioni sul metodo di lavoro assai scrupoloso dello scrittore ligure:

«Questo che ti mando è un primo tentativo per farmi la mano a trovare delle rime (senza le quali poco rimarrebbe dello spirito di Q.) seguendo il significato con qualche libertà. Ho tentato di mantenere la metrica dell’Alessandrino italiano di 14 sillabe (settenario doppio) che lascia abbastanza libertà di movimento, per cui spero di poter riaggiustare versi e rime dopo le tue osservazioni. Ti sarò dunque grato se potrai dirmi dove ho preso fischi per fiaschi e dove non ho usato i termini giusti (…) Ho usato qualche volta polistirolo anziché polistirene fidandomi dei dizionari che li danno come sinonimi».

Tredici giorni dopo, non contento, Calvino scriveva anche a Scheiwiller:

«Potresti chiedere alla Montedison del materiale che possa essermi utile? Non dico un manuale ma qualche opuscolo o prontuario elementare. Ti accludo una lista di termini tecnici che non so se si possono tradurre letteralmente in italiano. L’ideale sarebbe trovare un ingegnere della plastica capace di entrare nello spirito di Queneau e di spiegarmi i punti oscuri; ma non so se si trovi. Naturalmente ho pensato a Primo Levi e gli ho subito mandato testo e traduzione; mi ha telefonato subito molto divertito e non ha trovato niente da ridire dal punto di vista chimico, ma per la parte meccanica e relativa terminologia ha potuto risolvere solo alcuni dei miei dubbi perché questo non è il suo ramo».

La traduzione fu comunque completata nei tempi concordati e il colosso chimico poté far dono a circa tremila privilegiati di un elegante volumetto illustrato da un’acquaforte di Fausto Melotti contenente la poesia di Queneau con a fronte la traduzione di Italo Calvino.

Il canto dello stirene

Tempo ferma la forma! Canta il tuo carme, plastica!

Chi sei? Di te rivelami lari, penati, fasti!

Di che sei fatta? Spiegami le rare tue virtù.

Dal prodotto finito risaliamo su su

ai primordi remoti, rivivendo in un lampo

le tue gesta gloriose! In principio, lo stampo.

Vi sta racchiusa l’anima; del lor grembo in balia

nascerà il recipiente, o altro oggetto che sia.

Ma lo stampo a sua volta lo racchiude una pressa

da cui viene la pasta iniettata e compressa,

metodo che su ogn’altro ha il vantaggio innegabile

di produrre l’oggetto finito e commerciabile.

Lo stampo costa caro; questo è un inconveniente,

ma lo si può affittare, anche da un concorrente.

altro sistema in uso permette di formare

oggetti sotto vuoto, per cui basta aspirare.

Già prima il materiale, tiepido, pronto all’uso

viene compresso contro una filiera:

ossia spinto all’ugello per forza di pistone;

lo scalderà il cilindro al punto di fusione.

E lì che fa il suo ingresso nel bollente crogiolo

il rapido, il vivace, il bel polistirolo.

Lo sciame granuloso sul setaccio si spinge,

formicola felice del color che lo tinge.

Prima di farsi granulo, somigliava a un vibrante

spaghetto variopinto: chiaro, scuro, cangiante.

Una filiera trae, dall’estruso finito,

gli spaghi che una vite senza fine aggomitola.

E l’agglutinazione come si fa ad averla?

Con perle varipinte: un colore ogni perla.

Ma colorate come? Diventerà uno solo

il pigmento omogeneo dentro il polistirolo.

Prima certo bisogna asciugarlo per bene

il rotante prodotto, dico il polistirene,

il nostro neonato, il giovane polimero.

Del semplice stirene, ma nient’affatto effimero.

Designa, già lo sai,

il modo di ottenere più elevati che mai

pesi molecolari; non hai che a far girare

un reattore idoneo: mi sembra elementare.

Come perle in collana, legate l’una in cima

All’altra, tu incateni le molecole … E prima?

Lo stirene non era che un liquido incolore

coi suoi scatti esplosivi e un sensibile odore.

Osservatelo bene: non perdete le rare

occasioni che s’offrono di vedere e imparare.

E’ dall’etilbenzene, se lo surriscaldate,

che stirene otterrete, anche in più tonnellate.

Lo si estraeva un tempo dal benzoino, strano

figlio dello storace, arbusto indonesiano.

Così, di arte in arte, pian piano si risale

dai canali dell’arido deserto inospitale

verso i prodotti primi, la materia assoluta

che scorreva infinita, segreta, sconosciuta.

Lavando e distillando quella materia prima,

Esercizi di stile meglio che in prosa o in rima –

l’etilbenzene il quale, com’è noto, proviene

dall’incontro d’un liquido che sarebbe il benzene

mischiato all’etilene che è un semplice vapore.

Etilene e benzene hanno per genitore

o carbone o petrolio oppure entrambi insieme.

Per fare l’uno e l’altro, l’altro e l’uno van bene.

Potremmo ripartire su questa nuova pista

cercando come e quando e l’uno e l’altro esistano.

Dimmi, petrolio, è vero che provieni dai pesci?

E’ da buie foreste, carbone, che tu esci?

Fu il plancton la matrice dei nostri idrocarburi?

Questioni controverse … Natali arcani e oscuri …

Comunque è sempre in fumo che la storia finisce.

Finché non viene il chimico, ci pensa su e capisce

il metodo per rendere solide e malleabili

le nubi e farne oggetti resistenti e lavabili.

In materiali nuovi quegli oscuri residui

eccoli trasformati. Non v’è chi non li invidii

tra le ignote risorse che attendono un destino

di riciclaggio, impiego e prezzi di listino.

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