Rocce marziane che raccontano un’antichissima storia di crepe e di acque scomparse

Michele Diodati
Through the optic glass
4 min readJan 24, 2017
La roccia chiamata Old Soaker. Credit: NASA/JPL-Caltech/MSSS

Marte è un mondo deserto, suggestivo ma deserto. Le immagini che sonde orbitanti, lander e rover ci rimandano da anni sono un campionario senza fine di sabbia e di rocce. Eppure questo mondo deserto, a saper leggere tra le righe, è una miniera di informazioni sul passato remoto, anzi remotissimo, del pianeta, che ha vissuto stagioni molto meno aride e monotone di quella attuale.

Il rover Curiosity, per esempio, che percorre ormai da quasi quattro anni e mezzo le pendici di Mount Sharp (Aeolis Mons), ha già trovato molte prove dell’esistenza di antichi laghi marziani. La più recente testimonianza della presenza di acque di superficie risale a solo pochi giorni fa. La fornisce l’analisi di alcune rocce fotografate da Curiosity il 20 dicembre scorso, Sol, o giorno marziano, numero 1555 dal suo arrivo su Marte.

Si tratta di due rocce battezzate informalmente con nomi piuttosto esotici: Old Soaker e Squid Cove, cioè Vecchia Spugna e Baia dei Calamari (i nomi sono presi dalla toponomastica terrestre: Old Soaker è un’isola al largo della costa del Maine, mentre Squid Cove è una località costiera del Canada).

Sulla destra, la roccia chiamata Squid Cove. Credit: NASA/JPL-Caltech/MSSS

Le due rocce marziane, visibili nelle due immagini precedenti, misurano poco più di un metro di lunghezza e presentano tracce abbastanza inconfondibili di crepe da essiccazione, cioè quelle crepe che si formano su un terreno fangoso in seguito a un periodo di siccità, dopo che tutta l’acqua è evaporata.

La superficie delle due rocce è attraversata da una fitta trama di poligoni di 1–2 centimetri di lato, delimitati da bordi a rilievo. Nei terreni disseccati visibili sulla Terra non ci sono solitamente bordi a rilievo ma crepe, perché sono di origine recente. Ma le due rocce fotografate da Curiosity su Marte testimoniano di acqua scomparsa oltre tre miliardi di anni fa. I rilievi che delimitano i poligoni — secondo l’ipotesi avanzata dagli scienziati — sono pertanto il risultato di un lunghissimo processo, compiutosi in vari passaggi.

Un terreno sulla Terra coperto da crepe da essiccazione

Le crepe, create originariamente dal disseccamento di un terreno che prima era umido, furono riempite nel corso del tempo da polvere e sabbia trasportate dal vento. In un secondo momento, il terreno essiccato fu coperto da altri detriti. La pressione esercitata dagli strati soprastanti trasformò il terreno in roccia. In una terza fase, l’erosione del vento demolì gli strati accumulatisi sopra, lasciando scoperta la roccia. Riportata alla luce, la roccia subisce di nuovo l’azione del vento, ma i solchi riempiti di sedimenti resistono all’erosione meglio di quello che una volta era terreno fangoso, sicché ora, invece di crepe, osserviamo dei rilievi.

Ma la storia che raccontano queste rocce non è solo una storia di acqua scomparsa una volta per sempre, bensì quella di un’alternarsi di periodi umidi e di periodi secchi. La prova di ciò sta nelle lunghe vene di materiale biancastro che attraversano le due rocce e che sono state osservate da Curiosity in molti altri luoghi, durante la sua pluriennale “escursione” lungo le pendici di Mount Sharp.

Quelle vene sono formate da solfato di calcio, un sale che, secondo gli studiosi, si trovava un tempo disciolto in acque sotterranee. L’acqua scorreva all’interno delle lunghe fratture formatesi nelle rocce, spaccate a causa della pressione, durante il periodo in cui si trovarono sepolte sotto il peso di strati di detriti sovrastanti. Poi, nel corso di milioni di anni, anche quelle acque sotterranee si seccarono e i sali di calcio rimasti nelle fratture della roccia si consolidarono, formando le vene brillanti fotografate da Curiosity.

Una ruota bucata di Curiosity sopra una roccia coperta da probabili crepe da essiccazione. Credit: NASA/JPL-Caltech/MSSS

Riassumendo: quello che una volta era un terreno fangoso viene investito dalla siccità e si trasforma in un terreno arido ricoperto da crepe da essiccazione. Poi quelle crepe si riempiono di sedimenti portati dal vento. Il tutto finisce sepolto sotto strati di sabbia e di polvere, che, con il loro peso inducono la trasformazione dell’ex terreno fangoso in roccia. Per il peso sovrastante quella roccia si spacca e le fratture si riempiono di acque sotterranee che trasportano sali di calcio. Col tempo anche le acque sotterranee si seccano, i sali si consolidano e si formano le vene di colore biancastro.

Infine, l’erosione del vento rimuove i sedimenti che ricoprivano le rocce ed ecco che — miliardi di anni dopo — uno strano oggetto robotico con le ruote bucate, proveniente da un altro pianeta, fotografa quelle rocce. E così dei geologi, qui sulla Terra, possono finalmente ricostruire — con un po’ di immaginazione ma con il supporto della scienza — questa storia antichissima di acqua che va e che viene, ma che alla fine, purtroppo, scompare per sempre.

Dettagli delle rocce fotografate da Curiosity. Credit: NASA/JPL-Caltech/MSSS

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Michele Diodati
Through the optic glass

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.