Sputnik Planitia, un enigma nel cuore ghiacciato di Plutone

Michele Diodati
Through the optic glass
7 min readJan 27, 2017
Una suggestiva rappresentazione artistica del confine settentrionale di Sputnik Planitia, opera di John E. Kaufmann. L’opera contiene due errori, forse voluti: Caronte è troppo grande nel cielo e, soprattutto, è visibile. Dalla posizione di Sputnik Planitia Caronte sarebbe infatti del tutto invisibile. Credit: John E. Kaufmann

Non appena giunsero a Terra le prime immagini inviate dalla sonda New Horizons dopo lo storico sorvolo del 14 luglio 2015, apparve subito evidente che Plutone era un mondo incredibilmente vario ed interessante. La superficie del pianeta nano mostrava una straordinaria diversità di caratteristiche geografiche e di colori. La ricchezza e la varietà dei paesaggi ripresi da New Horizons era assolutamente sorprendente. Ma c’era un elemento che più degli altri si imponeva all’attenzione di tutti, scienziati e semplici appassionati: l’enorme territorio a forma di cuore, esteso per circa 1.590 km, che fu subito battezzato informalmente Tombaugh Regio, in onore di Clyde Tombaugh, l’astronomo che il 18 febbraio 1930 aveva scoperto Plutone.

I due lobi che formano il cuore sono leggermente diversi per colore e per struttura geografica. La metà occidentale, chiamata Sputnik Planitia, è più regolare e di colore più chiaro. Questa grande pianura, che misura circa 1.050 per 800 km, è completamente priva di crateri, il che significa che è geologicamente giovane. Probabilmente ha meno di dieci milioni di anni, forse addirittura solo un milione: un fatto del tutto inatteso, che indica che Plutone è un mondo ancora inspiegabilmente attivo, in grado di modificare le sue caratteristiche superficiali.

Una bellissima vista su Sputnik Planitia catturata dalla sonda New Horizons. Crediti: NASA/JHUAPL/SwRI

Sputnik Planitia è in sostanza un enorme accumulo di ghiacci, di cui però il ghiaccio d’acqua costituisce solo una minima parte. Il componente principale è di gran lunga il ghiaccio d’azoto (N₂), seguito da frazioni di monossido di carbonio (CO) e di metano (CH₄), anch’essi ghiacciati. Alla temperatura media di 38 K (−235,2 °C), l’azoto e il monossido di carbonio sono più densi e molto meno rigidi del ghiaccio d’acqua, il che rende la superficie di Sputnik Planitia fluida e “modellabile”, molto più di come sarebbe se fosse ricoperta di ghiaccio d’acqua.

Le immagini ad alta risoluzione di New Horizons hanno mostrato con incredibile chiarezza che la grande pianura nel cuore di Plutone è formata da una serie di poligoni irregolari, ognuno del diametro di circa 20–30 km. I poligoni sono più elevati al centro di alcune decine di metri e sono separati gli uni dagli altri da “canali”, al punto di confluenza dei quali si trovano spesso incastonate montagne di ghiaccio d’acqua, trasportate lì come iceberg dai flussi che rimodellano la superficie della grande pianura.

Poligoni al confine nordoccidentale di Sputnik Planitia. Crediti: NASA/JHUAPL/SwRI

L’interpretazione più probabile di questa struttura reticolata è che i poligoni siano celle di convezione: il calore proveniente dall’interno di Plutone riscalda e fa risalire lentamente alla superficie il ghiaccio che si accumula al centro dei poligoni. Secondo i modelli matematici sviluppati dai ricercatori, il manto di ghiaccio d’azoto che ricopre Sputnik Planitia è spesso fino a 10 km e il flusso generato dalla convezione avanza di circa 1,5 cm all’anno, spostando il ghiaccio più vecchio verso i canali che delimitano i poligoni, dove la temperatura è inferiore. Qui il materiale più freddo affonda verso l’interno, dove sarà nuovamente riscaldato, ripetendo così il ciclo indefinitamente.

Si tratta di una dinamica analoga a quella che avviene nelle celle di convezione visibili alla superficie del Sole, con la differenza che la convezione che ha luogo nel deserto ghiacciato di Sputnik Planitia avviene a temperature migliaia di gradi più basse di quelle che interessano la fotosfera solare.

Ma come è nata questa grande pianura ghiacciata? Le teorie proposte sono attualmente due. In base alla prima, Sputnik Planitia sarebbe un enorme cratere da impatto, successivamente riempito da ghiacci volatili composti di azoto, monossido di carbonio e metano. In base alla seconda teoria, invece, non ci sarebbe stato alcun impatto. La depressione in cui si trova la pianura — più bassa di 3–4 km rispetto alle alture circostanti — sarebbe in questo caso il risultato della sola pressione esercitata sulla litosfera di Plutone dall’enorme massa di ghiaccio depositatasi nel corso del tempo.

Il ghiaccio d’azoto è molto volatile. La griglia di buchi in questa zona di Sputnik Planitia è un effetto della sublimazione del ghiaccio. Crediti: NASA/JHUAPL/SwRI

Se tale teoria è corretta, allora la ragione per cui tutto quel ghiaccio si è depositato proprio lì è da ricercarsi in un fattore geografico: Sputnik Planitia si trova infatti nei pressi dell’equatore di Plutone, non lontano dalla latitudine di minore insolazione. A differenza della Terra, il cui asse è inclinato di soli 23,4 gradi, quello di Plutone è inclinato di ben 122,5 gradi. Ciò significa che sono i poli, non l’equatore, a ricevere durante il lunghissimo anno plutoniano la maggiore quantità di radiazione solare. È possibile, dunque, che l’azoto atmosferico abbia cominciato a condensarsi in ghiaccio in qualche punto dell’attuale pianura, innescando, con la sua elevata albedo, un ulteriore abbassamento delle temperature medie regionali e favorendo così un accumulo sempre maggiore di ghiaccio.

Ma Sputnik Planitia richiede sforzi di comprensione non solo per capire la sua origine, ma anche per spiegare la sua posizione, molto particolare. La piana ghiacciata si trova infatti quasi al centro dell’emisfero di Plutone opposto a quello che guarda verso la grande luna Caronte (i due corpi sono bloccati in rotazione sincrona, per cui si fronteggiano sempre dallo stesso lato).

C’è solo un 5% di probabilità che Sputnik Planitia si trovi lì solo per caso. Secondo una delle teorie proposte, la sua posizione tradisce una migrazione avvenuta nel corso del tempo a causa di un fenomeno noto come true polar wander, che potremmo rendere in italiano con peregrinazione reale dei poli. Esso consiste nel riorientamento, cioè nella migrazione da una posizione a un’altra, degli strati più esterni di un corpo celeste rispetto all’asse di rotazione.

Tale migrazione avviene quando c’è un’anomalia gravitazionale, cioè una concentrazione di massa in un punto della superficie maggiore (o minore) che altrove. Un corpo che ruota, come appunto un pianeta, tende a disporsi nella configurazione di minore energia, quella cioè in cui le forze di torsione che ostacolano la rotazione sono ridotte al minimo possibile, data la geometria del corpo. Se un’anomalia gravitazionale positiva, cioè una concentrazione di massa maggiore della media, si trova per esempio a una latitudine intermedia tra un polo e l’equatore di un pianeta, la tendenza a ridurre l’eccesso di spesa energetica farà migrare l’anomalia gravitazionale verso l’equatore, dove l’eccesso di massa non cercherà di rallentare la rotazione.

Due diversi studi, pubblicati su Nature a dicembre 2016, spiegano la posizione attuale di Sputnik Planitia come l’effetto di un riorientamento della superficie di Plutone rispetto all’asse di rotazione e all’asse mareale (quello che passa attraverso Caronte), cioè come un caso di true polar wander. Perché la teoria sia sostenibile, Sputnik Planitia deve essere però un’anomalia gravitazionale positiva, cioè un luogo in cui c’è una forte concentrazione di massa, tale da aver indotto Plutone a riconfigurare i suoi strati esterni, spostando gradualmente l’anomalia verso l’equatore.

Ed in effetti ci sono prove osservative che una simile peregrinazione sia realmente avvenuta. Le immagini di New Horizons mostrano infatti una serie di fratture sulla superficie di Plutone il cui disegno complessivo corrisponde molto bene alla disposizione che le fratture dovrebbero avere, in base ai modelli elaborati al computer, se Sputnik Planitia fosse migrata da una posizione iniziale molto più settentrionale — calcolata in uno dei due studi a una latitudine di 60° nord — alla posizione equatoriale che possiamo osservare oggi.

La configurazione reale (in alto) e quella prevista dai modelli (in basso) delle caratteristiche tettoniche della superficie di Plutone a supporto della migrazione di Sputnik Planitia per true polar wander. Credit: Nature / J. Keane et al.

Tuttavia Sputnik Planitia appare geograficamente come una depressione, dunque potenzialmente come il luogo di un’anomalia gravitazionale negativa, non positiva. Il fatto che sia riempita per diversi chilometri da ghiaccio d’azoto, che ha una densità maggiore del ghiaccio d’acqua (1,027 g/cm³ contro 0,934 g/cm³), non basta a creare un’anomalia positiva sufficiente a giustificare la lunghissima migrazione proposta dagli autori dello studio, a meno che lo strato di ghiaccio d’azoto non abbia uno spessore di ben 40 km. Ma uno spessore così enorme sarebbe fisicamente inspiegabile.

C’è però un’ipotesi alternativa che sembra in grado di conciliare teoria e dati osservativi. L’ipotesi è che sotto Sputnik Planitia vi sia un oceano sotterraneo che ha prodotto una “gobba” verso l’alto per riequilibrare la spinta verso il basso generata dalla massa di ghiacci deposti all’interno della depressione.

L’ipotesi chiama in causa un fenomeno geologico noto come isostasia: se alla superficie si accumula per qualsiasi ragione una massa maggiore, si generano negli strati più profondi del terreno dei moti di compensazione, che tendono a far sì che, per ogni determinata area di superficie, la colonna di materiale sottostante abbia una massa corrispondente.

Una massa d’acqua rifluita verso l’alto dall’ipotizzato oceano sotterraneo di Plutone compenserebbe dunque perfettamente l’accumulo di ghiacci che riempie Sputnik Planitia, creando al contempo un’anomalia gravitazionale positiva sufficientemente potente da giustificare la migrazione della pianura da nord verso sud, teorizzata dai ricercatori.

C’è però un ultimo problema teorico da risolvere: l’acqua rifluita verso l’alto per isostasia non deve essere completamente ghiacciata, altrimenti non c’è più la densità sufficiente a creare la necessaria anomalia positiva (l’acqua liquida è notevolmente più densa dell’acqua ghiacciata). L’ipotesi avanzata dagli autori è dunque che il bacino d’acqua sotto Sputnik Planitia contenga anche un anticongelante, il più probabile dei quali, data le circostanze ambientali, è l’ammoniaca.

In conclusione, l’ipotesi secondo la quale Sputnik Planitia si sia formata a 60° di latitudine nord e sia poi migrata verso l’equatore di Plutone per un fenomeno di true polar wander è sostenibile se la grande pianura sorge su un’altrettanto grande concentrazione di massa. Tale concentrazione di massa potrebbe essersi prodotta per una naturale compensazione del peso dei ghiacci accumulatisi nella depressione di Sputnik Planitia, per mezzo del rifluire verso l’alto dell’acqua di un oceano sotterraneo, mantenuta liquida o semiliquida, nonostante le temperature glaciali di Plutone, da un composto con proprietà anticongelanti come l’ammoniaca.

Forse non sapremo mai se questa teoria è vera, ma è certamente affascinante l’idea che vi sia sotto quella distesa di ghiacci un grande bacino sotterraneo di acqua non ghiacciata: un mondo nascosto che resterà tale probabilmente per sempre.

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Michele Diodati
Through the optic glass

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.