Tolstoj, la storia, la matematica

Il Calculus delle aspirazioni

Marco Fulvio Barozzi
Through the optic glass
3 min readMay 12, 2016

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Generalmente sono piuttosto dubbioso sull’utilizzo della matematica per spiegare concetti che sembrano toccarla solo di sfuggita. Ma, sono d’accordo con Coleridge, essa è per lo scrittore una fonte inesauribile di metafore. Lev Tolstoj ha talvolta utilizzato concetti presi dalla matematica per illustrare le sue idee. In un famosissimo brano di Guerra e Pace (III, III, I), egli espone la sua concezione della storia come continuum di fatti e “volontà” impercettibili e collettivi, che anticipa in qualche modo la lezione degli storici francesi della Scuola delle Annales, che spostarono l’attenzione dallo studio della storia degli «eventi», delle res gestae, a favore dello studio delle strutture che emergono nei “tempi lunghi”. Per far ciò Tolstoj utilizza un’immagine efficace che deriva dalla cinematica e dal calcolo differenziale e integrale, dagli infinitesimi di Newton e Leibniz:

“L’intelligenza umana non può comprendere la continuità assoluta del movimento. Le leggi di qualunque movimento non diventano comprensibili per l’uomo che al patto di esaminarne separatamente le unità di cui è composto. Ma al tempo stesso, dal fatto che si isolano arbitrariamente e si esaminano a parte le unità inseparabili del movimento continuo, derivano la maggior parte degli errori umani. Una branca moderna della matematica, avendo raggiunto l’arte di trattare con l’infinitamente piccolo, può ora fornire soluzioni in altri problemi di moto più complessi, che sembravano essere insolubili. Questa branca moderna della matematica, ignota agli antichi, trattando i problemi di moto ammette il concetto dell’infinitamente piccolo, e si conforma così alla condizione principale del moto (continuità assoluta) e in questo modo corregge l’inevitabile errore che la mente umana non può evitare quando tratta con elementi separati del moto invece che esaminare il moto continuo. Nell’esame delle leggi del movimento storico avviene assolutamente la stessa cosa. Il movimento dell’umanità, prodotto da una quantità innumerevole di volontà umane, si compie senza interruzione. La comprensione di queste leggi è lo scopo della storia. Ma per capire le leggi del movimento continuo, la ragione umana ammette unità arbitrarie separate. Il primo procedimento storico consiste nel prendere arbitrariamente una serie degli avvenimenti ininterrotti ed esaminarla separatamente dagli altri, quando non c’è e non può esserci inizio di alcun avvenimento. Il secondo procedimento consiste nell’esaminare gli atti di un uomo, imperatore o condottiero, come la risultante delle volizioni degli uomini, mentre questa risultante non si esprime mai nell’attività di un personaggio storico preso isolatamente. La scienza storica, evolvendosi, accetta sempre unità via via più piccole per le sue ricerche e, con questo, cerca di avvicinarsi alla verità. Ma per quanto piccole siano le unità di cui la storia si serve, il fatto di separare l’unità, di ammettere il cominciamento di un fenomeno qualunque, di vedere espresse dell’attività di un solo personaggio le volizioni di tutti gli uomini, questo fatto stesso, dico, lo contamina d’errore. Sotto il minimo sforzo della critica, ogni conclusione della storia cade in polvere e non lascia niente dietro di Sé, e ciò per il solo fatto che la critica sceglie per misura di osservazione un’unità più grande o più piccola – ciò che è suo diritto, poiché l’unità storica è sempre arbitraria. Soltanto prendendo per nostra osservazione l’unità infinitamente piccola – le differenziali della storia, vale a dire le aspirazioni uniformi degli uomini – e acquistando l’arte di integrare (unire le somme di questi infinitamente piccoli) possiamo sperare di comprendere le leggi della storia”.

Lev Tolstoj, Guerra e pace, traduzione di A. S. Gladkov e A. M. Osimo, U. Mursia & C., Milano, 1956

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