Una nuova classificazione per i pianeti solari ed extrasolari

Michele Diodati
Through the optic glass
8 min readNov 23, 2016
Credit: NASA/Ames/JPL-Caltech

Fino agli anni ’90 del secolo scorso il sistema solare era l’unico modello esistente di sistema planetario. Non sapevamo per certo neppure se esistevano pianeti in orbita intorno ad altre stelle. Meno che mai, dunque, potevamo sapere in quali combinazioni di masse e dimensioni quei pianeti che non conoscevamo fossero disposti intorno alle loro stelle.

Ma a partire dalla seconda metà degli anni ’90 tutto cambiò. Furono messe a punto tecnologie in grado di identificare con certezza la presenza di pianeti extrasolari — o esopianeti — in orbita intorno a stelle diverse dal Sole. In poco più di due decenni abbiamo accumulato prove certe dell’esistenza di migliaia di esopianeti, grazie soprattutto a tre metodi:

  • la misurazione della velocità radiale delle stelle;
  • la misurazione delle microvariazioni di luminosità che indicano il transito di pianeti davanti al disco stellare;
  • i fenomeni di microlente gravitazionale.

Si è venuto così a creare un grande database di oggetti planetari, una sorta di zoo astronomico popolato da vari tipi differenti di pianeti, di alcuni dei quali non esiste traccia nel sistema solare, come le super-Terre e i gioviani caldi.

Sono classificati come super-Terre gli esopianeti che hanno da 2 a 10 masse terrestri: sono più grandi e massicci della Terra e presumibilmente rocciosi come il nostro pianeta. I gioviani caldi sono invece giganti gassosi, ipoteticamente simili a Giove, che orbitano però a pochissima distanza dalle loro stelle, in una danza infernale che non si pensava possibile, perché le teorie di formazione planetaria suggeriscono che i pianeti della taglia di Giove possano formarsi soltanto lontano dalle loro stelle, al di là della cosiddetta linea del ghiaccio (cioè dove la temperatura è così bassa che l’acqua può esistere solo in forma ghiacciata).

C’è qualcosa di anomalo nel nostro sistema solare? O forse conosciamo ancora troppo poco i pianeti extrasolari per sperare di riuscire a classificarli correttamente? Forse entrambe le cose, ma la seconda è di sicuro più probabile. Vediamo perché.

Per capire la natura di un esopianeta, cioè innanzitutto se è roccioso o gassoso, sono necessarie due informazioni essenziali: la massa e il raggio. Da esse è possibile derivare la densità, che ci dice a quale categoria il pianeta appartiene: la Terra, per esempio, che è un pianeta roccioso, ha una densità di 5,51 g/cm³; Saturno, che invece è un pianeta gassoso senza una superficie solida, ha una densità di appena 0,69 g/cm³. Tra questi due estremi si situano tutti i corpi del sistema solare — lune, pianeti e pianetini — sufficientemente massicci da aver assunto forma (quasi) sferica sotto l’azione della propria stessa gravità. Conosciamo con esattezza la densità di ognuno di essi proprio perché conosciamo di ognuno, con altrettanta precisione, il raggio e la massa.

Purtroppo non abbiamo le stesse informazioni sulla grande maggioranza dei pianeti extrasolari. Di questi conosciamo o il raggio o la massa, ma non entrambi. Il metodo della velocità radiale permette di calcolare la massa di un pianeta (con approssimazioni dovute al grado di conoscenza dell’inclinazione dell’orbita rispetto al nostro punto di vista), la microlente gravitazionale permette di determinare la massa, il metodo del transito fornisce invece il raggio di un pianeta. Solo in rari casi è possibile usare due metodi insieme (cioè il transito e la velocità radiale) e ottenere quindi una conoscenza precisa sia del raggio sia della massa. In tutti gli altri casi, cioè quando si conosce solo uno dei due elementi, la determinazione del tipo di pianeta è puramente speculativa, anche se basata su ragionevoli assunzioni.

Per colmare almeno parzialmente la lacuna, Jingjing Chen e David Kipping del Dipartimento di astronomia della Columbia University hanno creato un software chiamato Forecaster (disponibile gratuitamente sul noto sito di condivisione GitHub), che, come dice il nome, fa previsioni: dato il raggio di un corpo celeste, il software è in grado di fornire una previsione sulla sua massa; data la massa, fornisce invece una previsione sul raggio.

I due autori spiegano in uno studio, pubblicato in prestampa il 4 novembre 2016, il metodo adoperato per sviluppare il loro software. Chen e Kipping hanno battuto a tappeto tutta la letteratura scientifica esistente, fino a mettere insieme una tabella contenente 316 oggetti sia del sistema solare sia esterni al sistema solare, comprendenti lune, pianeti e stelle per i quali esiste una solida determinazione scientifica di entrambi i valori richiesti: raggio e massa.

I corpi prescelti sono tutti in equilibrio idrostatico, cioè di forma pressoché sferica, e coprono un range di masse che va da 2 × 10²¹ kg (cioè 0,000335 masse terrestri) al limite inferiore fino a 0,87 masse solari al limite superiore: limite che corrisponde alla massa massima di una stella che, in un tempo corrispondente grosso modo all’età dell’universo, si trovi ancora sulla sequenza principale. I raggi variano invece tra 0,119 raggi terrestri e 1,063 raggi solari.

Usando una serie di criteri statistici e di simulazioni, i due autori hanno sviluppato una generalizzazione probabilistica del rapporto massa/raggio dei 316 corpi presenti nella loro tabella di riferimento. Grazie ad essa, il software è in grado di fornire le previsioni più probabili sul parametro mancante, per tutti i corpi celesti di cui si conosca soltanto il raggio o la massa.

Questa sorta di gioco probabilistico ha un’utilità economica e scientifica potenziale non indifferente. L’uso di Forecaster potrebbe consentire infatti di selezionare con maggiore cognizione di causa su quali oggetti investire il prezioso tempo di osservazione dei futuri grandi osservatori terrestri e spaziali: disponendo, infatti, di una previsione attendibile sul rapporto massa/raggio, è possibile sapere in anticipo quante probabilità vi sono che un esopianeta in zona abitabile della sua stella abbia una superficie solida oppure no (se si tratti cioè di un pianeta di tipo terrestre oppure no).

Ma il lavoro di sistemazione svolto da Chen e Kipping ha prodotto un risultato collaterale ancora più interessante del software di previsione. Collocando i 316 oggetti di partenza su un grafico che mette in relazione i raggi con le masse (riprodotto di seguito), è risultato che tutti i pianeti, le lune, le stelle e le nane brune presi in considerazione si dispongono naturalmente in quattro categorie, separate da punti di discontinuità nell’evoluzione della curva del rapporto raggio/massa.

Credit: Jingjing Chen e David Kipping

Al limite inferiore della scala si situano i mondi di tipo terrestre (Terran Worlds). Vi appartengono la Terra, Venere, la Luna, Plutone, Marte, Mercurio e molti altri corpi che contengono silicati e acqua in proporzioni variabili, ma che non possiedono un involucro esteso di elementi volatili: possono avere un’atmosfera, ma è relativamente sottile, e c’è sempre una superficie solida sottostante. Fanno parte di questa categoria i pianeti rocciosi propriamente detti. La divisione tra questa categoria e la successiva avviene intorno al valore di 2,0 ± 0,7 masse terrestri, associato a un raggio pari a 1,23 raggi terrestri (con un margine di errore di 0,44 in più e 0,22 in meno).

La categoria successiva è quella dei mondi nettuniani o Neptunian Worlds, secondo la denominazione scelta dagli autori. Si estende a partire da 2 masse terrestri fino a 130 ± 22 masse terrestri (pari a 0,41 ± 0,07 masse gioviane). I pianeti solari ed extrasolari che appartengono a questa categoria si distinguono dai pianeti di tipo terrestre perché il raggio cresce più velocemente della massa. Ciò indica che questi pianeti, grazie alla maggiore gravità, trattengono involucri via via più estesi di elementi volatili, cioè ampie atmosfere di elio e di idrogeno. Se anche dovessero avere una superficie solida, l’ampio strato gassoso che la ricopre, esteso per migliaia di chilometri, creerebbe una pressione insopportabile per qualsiasi forma di vita. Con le sue 95 masse terrestri e la bassissima densità, Saturno si pone presso il limite superiore della categoria dei mondi nettuniani.

La terza categoria è quella dei mondi gioviani (Jovian Worlds). Vi appartengono tutti i corpi celesti che hanno masse comprese tra 0,41 masse gioviane e 0,08 masse solari. Qusti mondi, di cui Giove è l’esemplare eponimo, si differenziano da quelli nettuniani perché si instaura con essi un’inversione di tendenza: a causa dell’autocompressione, al crescere della massa il raggio diminuisce progressivamente, sia pure di poco (Giove ha un raggio maggiore di Saturno del 20%, ma la sua massa è più che tripla rispetto a quella di Saturno).

Le nane brune, considerate tecnicamente come stelle fallite, si comportano dal punto di vista della relazione raggio/massa né più né meno che come mondi gioviani: sono rappresentate nel grafico dai simboli quadrati e, come si può notare, si situano verso il limite superiore delle masse dei mondi gioviani.

L’ultima categoria è quella dei mondi stellari (Stellar Worlds), cioè le stelle propriamente dette. Il limite di massa minimo appare essere 0,08 masse solari, corrispondente a 83,8 masse gioviane. Oltre quella soglia la massa è sufficiente per garantire, attraverso la pressione esercitata dalla gravità sul nucleo, l’innescarsi delle reazioni di fusione dell’idrogeno che forniscono energia alle stelle durante la cosiddetta sequenza principale. La relazione raggio/massa dalle 0,08 masse solari in su cambia radicalmente rispetto alla categoria dei mondi gioviani, con un rapidissimo aumento del raggio, dovuto alla pressione verso l’esterno generata dalle reazioni termonucleari.

La grande novità che emerge dallo studio di Chen e Kipping è che la categoria delle cosiddette super-Terre sostanzialmente non esiste. È molto probabilmente nulla più che un abbaglio teorico, frutto di criteri di classificazione sommari. I corpi con masse tra 2 e 10 masse terrestri, cioè quelli classificati finora come super-Terre (molti dei quali ritenuti potenzialmente abitabili), appartengono tutti alla categoria dei mondi nettuniani. È quindi molto probabile che abbiano atmosfere molto estese di idrogeno e di elio, sotto le quali, anche in presenza di una superficie solida, nessuna forma di vita umanamente immaginabile potrebbe sopravvivere. Con lo studio di Chen e Kipping sembrano insomma crollare le speranze di abitabilità per molte presunte super-Terre, anche quando situate a distanze dalle loro stelle giudicate favorevoli per la vita.

Il lavoro dei due autori risolve infine l’enigma dell’apparente stranezza del sistema solare, privo di una super-Terra, a dispetto delle tante finora scoperte in altri sistemi planetari. Il limite superiore delle 2 masse terrestri per i pianeti rocciosi (Terran worlds) ci dice, infatti, che la Terra è, per così dire, la Super-Terra del sistema solare, con la sua massa vicina al limite superiore della sua categoria.

I futuri grandi osservatori terrestri e spaziali (JWST, GMT e E-ELT), insieme ad altre missioni progettate specificamente per la ricerca e la caratterizzazione di esopianeti, permetteranno certamente di migliorare l’attendibilità e il potere previsionale della relazione raggio/massa così come è stata definita da Chen e Kipping. Di sicuro, comunque, nella classificazione dei pianeti extrasolari si dovrà tenere conto da ora in poi dei risultati raggiunti da questo studio.

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Michele Diodati
Through the optic glass

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.