L’incredibile Hulk. Credit: Marvel Comics

Una ULX in NGC 5907

La pulsar più lontana e più luminosa mai osservata

Michele Diodati
Through the optic glass
12 min readMar 13, 2017

--

Una sorgente di raggi X ultraluminosa

Uno degli innumerevoli acronimi usati in astrofisica è ULX, una parola che fa venire in mente per assonanza Hulk, il mostro verde dei fumetti Marvel. Non c’è alcun collegamento diretto tra ULX e Hulk, ma — a ben vedere — qualcosa in comune ce l’hanno: sia il forzuto dalla pelle verde sia le ULX hanno a che fare con potentissime emissioni di radiazioni, Hulk con i raggi gamma (nel fumetto), le ULX con i raggi X (nella realtà). ULX sta infatti per UltraLuminous X-ray source, cioè “sorgente di raggi X ultraluminosa”.

L’emissione di raggi X è associata a particelle cariche che vengono accelerate ad altissima velocità, a campi magnetici superpotenti, a collisioni di qualche tipo. Deve esistere, insomma, nelle ULX qualche forza che comprime, trascina e accelera la materia, fino a produrre raggi X. E deve trattarsi di una forza davvero enorme, per generare emissioni ultraluminose, in grado di essere osservate — come accade — a molti milioni di anni luce di distanza.

Le ULX sono interpretate in generale come l’effetto, all’interno di un sistema binario, del processo di accrescimento di buchi neri di massa stellare (cioè al di sotto delle 100 masse solari) o intermedia (cioè con masse comprese tra 1.000 e 100.000 masse solari). L’idea è che i raggi X siano prodotti sul disco di accrescimento che circonda il buco nero, per l’eccitazione della materia che vi si accumula ruotando ad altissima velocità, dopo essere stata strappata a una compagna binaria che subisce l’irresistibile attrazione gravitazionale del buco nero.

Tuttavia, uno studio pubblicato a febbraio su Science cambia almeno in parte questa visione dei fatti. Lo studio, a cui hanno partecipato diversi ricercatori italiani e che ha come primo autore GianLuca Israel dell’INAF, riporta una dettagliata analisi di una ULX che si trova in NGC 5907, una galassia a spirale nella costellazione del Dragone.

I dati presentati da Israel e colleghi indicano che la ULX in NGC 5907 non è un buco nero, ma una pulsar, cioè una stella di neutroni che emette fasci di radiazioni mentre ruota. L’evidenza a sostegno di questa tesi è l’inconfondibile pulsazione della sorgente, rilevata nei raggi X da due diversi telescopi spaziali: XMM-Newton dell’ESA e NuSTAR della NASA. A luglio del 2014, entrambi i telescopi avevano rilevato un periodo di 1,137 secondi. Scavando poi nei dati d’archivio dello strumento EPIC (European Photon Imaging Camera) di XMM-Newton, i ricercatori si resero conto che la sorgente era già stata osservata a febbraio 2003, ma con un periodo che all’epoca era intorno a 1,428 secondi, cioè notevolmente più lungo.

La posizione della ULX in NGC 5907. Nel riquadro è riportato il periodo di pulsazione. Credit: ESA/XMM-Newton; NASA/Chandra e SDSS

Il quadro emergente dai dati è quello di un sistema binario, in cui una stella di neutroni brilla nei raggi X per l’eccitazione di un flusso continuo di materia in caduta verso la sua superficie, proveniente dalla compagna binaria.

La potenza della radiazione emessa dalla ULX in NGC 5907 è però tale da rendere evidente che si tratta di un oggetto dalle caratteristiche estreme. A una distanza dalla Terra di 17,1 megaparsec (55,77 milioni di anni luce), la sua luminosità ha raggiunto un picco massimo di 2,2×10⁴¹ erg/s: oltre 57 milioni di volte l’energia emessa dal Sole in un secondo (3,8×10³³ erg). È insomma la pulsar di gran lunga più lontana e più luminosa mai osservata. Così luminosa da rendere difficile spiegare quale meccanismo fisico possa alimentare la sua emissione di energia.

Le incredibili proprietà di una stella di neutroni

Per capire i problemi teorici suscitati da una simile luminosità, bisogna innanzitutto comprendere con che tipo di oggetto abbiamo a che fare.

Una stella di neutroni è il residuo compattissimo di una stella massiccia esplosa come supernova. È in sostanza il nucleo stellare sopravvissuto all’esplosione di una supernova, il quale, non più sostenuto dalla fusione nucleare, collassa sotto la propria stessa gravità, contraendosi fino a dimensioni minuscole. Il collasso gravitazionale si arresta quando i nuclei atomici si frantumano e il nucleo collassato si trasforma in una densissima “pasta” di neutroni, che resiste ad ogni ulteriore contrazione grazie alla pressione di degenerazione, un fenomeno quantistico legato al principio di esclusione di Pauli.

Per la verità, in stelle dalle 30 masse solari in su, il collasso gravitazionale del nucleo dopo l’esplosione di supernova è inarrestabile: neppure la pressione di degenerazione dei neutroni è in grado di bloccare la spinta centripeta della gravità, sicché si ha la formazione di un buco nero. Ma nel caso della ULX in NGC 5907, la massa iniziale della stella doveva essere evidentemente inferiore al limite teorico, visto che le pulsazioni registrate da NuSTAR e XMM-Newton indicano inequivocabilmente che si tratta di una stella di neutroni e non di un buco nero.

Modello della struttura interna di una stella di neutroni con l’indicazione delle variazioni di densità in base alla profondità

Le stelle di neutroni sono in ogni caso gli oggetti materialmente osservabili (non nascosti, cioè, come i buchi neri dietro un orizzonte degli eventi), dotati delle caratteristiche più estreme che si conoscano. Con masse tipiche pari a 1,5 volte quella del Sole, il loro diametro è di appena 20 km. Ciò rende la materia di cui sono formate inconcepibilmente densa, persino più densa di un nucleo atomico. Si calcola che al centro di una stella di neutroni si arrivi a densità di oltre 600.000 miliardi di tonnellate per metro cubo. Per avere un’idea di cosa ciò voglia dire, può aiutare un paragone: una comune scatola di fiammiferi riempita con la materia di una stella di neutroni avrebbe una massa intorno ai 13 milioni di tonnellate, l’equivalente di 2,5 milioni di metri cubi di materiale con la densità media della Terra, che occuperebbe invece un cubo di ben 135 metri di lato!

Una massa maggiore di quella del Sole racchiusa in una sfera di soli 20 km di diametro genera ovviamente una gravità spaventosa. L’accelerazione di gravità alla superficie di una stella di neutroni da 1,4 masse solari è pari a 1,854×10¹² m/s²: più o meno 190 miliardi di volte quella che sperimentiamo sulla Terra. Mentre un corpo in caduta verso la superficie terrestre aumenta di velocità al ritmo di meno di 10 metri al secondo per secondo, un corpo lasciato cadere nei pressi della superficie di una stella di neutroni passerebbe in un solo metro da 0 a oltre 6,9 milioni di km/h!

Come se non bastasse la gravità, questi oggetti super-compatti possiedono anche i campi magnetici più potenti che si conoscano, con intensità comprese tra 10⁸ e 10¹⁵ gauss. Per confronto, il campo magnetico alla superficie terrestre varia tra 0,25 e 0,6 gauss: milioni di miliardi di volte meno intenso di quello delle magnetar, le stelle di neutroni con i campi magnetici più potenti in assoluto.

Un oggetto sorprendente e contraddittorio

Nonostante tali caratteristiche estreme, una stella di neutroni alla distanza di NGC 5907 non sarebbe in alcun modo visibile dalla Terra. Per scorgerla a oltre 50 milioni di anni luce di distanza, occorrono condizioni particolari, quali appunto quelle osservate per la ULX in NGC 5907: una fortissima luminosità nei raggi X, prodotta — presumibilmente — da un costante flusso di materia in caduta verso la stella di neutroni, proveniente da una compagna binaria appartenente alla sequenza principale o al ramo delle giganti.

C’è però un problema con questa ULX: la sua luminosità è troppo intensa. Ma “troppo” in relazione a che? In relazione al cosiddetto limite di Eddington (dal nome del famoso astronomo e fisico inglese Arthur Eddington). Per una stella di neutroni, il limite di Eddington esprime la luminosità massima che essa può raggiungere senza che la pressione di radiazione — cioè la forza diretta verso l’esterno generata dai fotoni emessi — blocchi il processo di accrescimento, impedendo al materiale strappato alla compagna binaria di arrivare a destinazione.

Rappresentazione artistica del meccanismo fisico che alimenta la luminosità della ULX in NGC 5907: una stella di neutroni risucchia materia da una compagna binaria attraverso un disco di accrescimento ed emette fasci di radiazione dai suoi poli magnetici. Credit: NASA

Il limite di Eddington, per una stella di neutroni da 1,4 masse solari, corrisponde a circa 2×10³⁸ erg/s (52.000 volte la luminosità del Sole). Ora, i dati osservativi mostrano che la luminosità bolometrica, cioè totale, della ULX in NGC 5907 varia tra un picco massimo nell’ordine dei 10⁴¹ erg/s e un valore minimo intorno a 2,6×10⁴⁰ erg/s. Sia il minimo che il massimo sono dunque ampiamente al di sopra del limite di Eddington, addirittura di un fattore 1.000 — tre ordini di grandezza — nel caso del valore massimo.

La domanda che sorge a questo punto è: se la luminosità della ULX deriva proprio dall’accumulazione del materiale strappato alla compagna, come fa questo processo a continuare a sostenere la luminosità della stella di neutroni, pur essendo stato superato — e di molto — il limite di Eddington, oltre il quale l’accrescimento si sarebbe invece dovuto arrestare?

È una domanda che ne fa sorgere un’altra: siamo sicuri che la luminosità di questa ULX dipenda proprio dal processo di accrescimento? La risposta è . Se la causa fosse un’altra, bisognerebbe spiegare, allora, come ha fatto la pulsar in NGC 5907 a diminuire il suo periodo di rotazione di quasi 300 millisecondi in appena 11 anni.

Dal 2003 al 2014 il periodo è infatti passato da 1,428 a 1,137 secondi, il che corrisponde a una variazione secolare di −8,1 decimiliardesimi di secondo per secondo. Sembra poco, ma si tratta in realtà di un cambiamento enorme. È come se la durata del giorno terrestre fosse diminuita di circa 5 ore su 24 in undici anni! L’unica spiegazione possibile è che la stella di neutroni abbia continuato ad accumulare materia strappata alla compagna binaria nel corso di questi undici anni, a un ritmo di almeno 10.000 miliardi di tonnellate al secondo: le forze di torsione generate sulla superficie della stella di neutroni dalla caduta di un simile flusso di materia possono indurre un aumento della velocità di rotazione in grado di spiegare la diminuzione del periodo.

E così, dunque, abbiamo una stella di neutroni in piena fase di accrescimento, che brilla però nei raggi X fino a 1.000 volte più di quanto il limite di Eddington consentirebbe. Come mai, con una simile luminosità, la pressione di radiazione non blocca il flusso di materia proveniente dalla compagna?

Vincoli, ipotesi e requisiti

Una possibilità è che la materia in caduta sia canalizzata verso la stella di neutroni dalla forza soverchiante di un potentissimo campo magnetico, d’intensità pari ad almeno 5×10¹⁵ G, cioè nell’ordine dei milioni di miliardi di gauss. Ma anche questa ipotesi non è esente da problemi. Con una velocità di rotazione della pulsar intorno a 1 secondo e con il ritmo di accrescimento necessario a sostenere la luminosità osservata, un campo magnetico di tale intensità indurrebbe al confine della magnetosfera della stella di neutroni una forza di trascinamento tale sulla materia in caduta da far sì che la forza centrifuga abbia il sopravvento sulla forza di gravità. È il cosiddetto “propeller mechanism”: la magnetosfera della pulsar si comporterebbe come un’elica, in grado di spazzare la materia in caduta in tutte le direzioni, con il risultato di bloccare del tutto, o di ridurre al minimo possibile, il processo di accrescimento.

Evidentemente, nella ULX di NGC 5907, questo meccanismo non si è instaurato: deve esserci qualcosa, quindi, che rende possibile che il flusso di materia proveniente dalla compagna binaria raggiunga la superficie della stella di neutroni, consentendole di generare in qualche modo una luminosità “super-Eddington”.

Un primo elemento da prendere in considerazione per avvicinarsi alla soluzione del mistero è il fatto che la sorgente osservata è una pulsar, cioè una sorta di faro spaziale: non emette radiazione verso la Terra in modo continuo, ma attraverso un ciclo di pulsazioni associato alla rotazione. La spiegazione più ovvia del fenomeno è che l’asse del campo magnetico della stella di neutroni non è allineato con l’asse di rotazione: l’emissione nei raggi X è canalizzata dalle linee del campo magnetico e può essere osservata dalla Terra solo quando la stella di neutroni, ruotando, rivolge nella nostra direzione uno dei poli magnetici da cui emette la sua potentissima radiazione.

Schema di rotazione di una pulsar: l’asse magnetico non è allineato con l’asse di rotazione. Dalla Terra è possibile osservare una pulsazione solo quando uno dei poli magnetici della pulsar è rivolto nella nostra direzione

Ciò, però, implica che la luminosità della ULX non sia diffusa isotropicamente, ovvero allo stesso modo in tutte le direzioni. Se, dunque, la stella di neutroni emette la luminosità osservata solo su una frazione dell’intera volta celeste, allora la sua luminosità totale va ricalcolata, sottraendo la frazione di cielo non coperta. E, se le cose stanno così, allora anche al picco massimo di luminosità la ULX in NGC 5907 ha superato il limite di Eddington sicuramente meno delle circa 1.000 volte calcolate sulla base di una radiazione diffusa isotropicamente. Quanto di meno, dipende da quale è la frazione di cielo coperta dal “faro” della pulsar.

Se, per esempio, questa frazione fosse 1/100 di superficie sferica, allora basterebbe un campo magnetico alla superficie della stella di neutroni di “solo” 9.000 miliardi di gauss (∼9×10¹² G) per generare la luminosità osservata dalla Terra, senza che si produca nella magnetosfera della stella il meccanismo a elica che bloccherebbe il processo di accrescimento. Purtroppo, però, in tal caso le forze di torsione esercitate dalla materia in caduta verso la superficie della stella di neutroni non sarebbero più sufficienti a spiegare la notevolissima diminuzione del periodo osservata tra il 2003 e il 2014.

Insomma, la strada sembra promettente, ma il modello va rifinito, tenendo conto dei vincoli che i dati osservativi disponibili impongono. Si tratta di trovare la miglior soluzione che permetta ai diversi elementi in gioco di non entrare in conflitto gli uni con gli altri. Occorre cioè definire un modello teorico che spieghi, da un lato, la luminosità osservata e, dall’altro, la diminuzione secolare del periodo di rotazione della pulsar, senza, allo stesso tempo, incorrere in condizioni che bloccherebbero l’afflusso sulla stella di neutroni della materia risucchiata alla compagna (come ad esempio il dominio della forza centrifuga sulla gravità al livello del confine della magnetosfera). E tali condizioni devono essere evitate sia quando la luminosità della ULX è al massimo sia quando è al minimo, cioè per un’escursione di valori pari a un rapporto di circa 8:1.

Come si può immaginare, l’insieme di tutti questi vincoli riduce di molto le soluzioni teoriche possibili. Lo studio di Israel e colleghi propone una gamma di valori, relativi alla frazione di cielo coperta dall’emissione della pulsar e all’intensità del campo magnetico, che rispetta i vincoli dati, ma richiede anche che il sistema binario della ULX di NGC 5907 possieda una serie di requisiti, della cui esistenza, dal nostro lontanissimo punto di osservazione terrestre, non possiamo purtroppo avere alcuna conferma diretta.

Il primo requisito è che la pulsar, pur senza essere una magnetar, possieda un potentissimo campo magnetico: è il campo magnetico, infatti, che rende possibile dissipare una luminosità “super-Eddington” senza che si blocchi il flusso di accrescimento proveniente dalla compagna.

Il secondo requisito è che il flusso di materia sia mediato da un disco di accrescimento intorno alla stella di neutroni, sufficientemente sottile da non ingolfare alle alte latitudini il confine della magnetosfera, cioè il raggio a partire dal quale la materia che si accumula sul disco viene instradata lungo le linee del campo magnetico.

Ciò richiede un terzo requisito, cioè che l’energia rilasciata nel disco di accrescimento sia inferiore al limite di Eddington.

Il quarto requisito è che la velocità angolare del disco di accrescimento all’altezza del raggio magnetosferico (che misura circa 1.000 km, cioè 100 raggi stellari in una tipica stella di neutroni da 10 km di raggio) sia maggiore della velocità angolare della stella di neutroni. Ciò fa sì che la forza centrifuga esercitata dalle linee del campo magnetico sulla materia che affluisce all’interno della magnetosfera sia più debole della forza di gravità: una condizione indispensabile per evitare l’”effetto elica” (propeller mechanism) e garantire che la materia in caduta possa raggiungere la superficie della stella di neutroni.

Il quinto requisito è che il campo magnetico, almeno alla superficie della stella di neutroni, non sia puramente dipolare, ma abbia invece anche una componente multipolare. Quest’ultimo requisito serve per rendere meno gravosi i vincoli necessari a impedire l’insorgere dell’effetto elica a livello del raggio magnetosferico e, allo stesso, tempo, per consentire il rilascio di una luminosità superiore al limite di Eddington al livello della superficie della stella di neutroni.

Posta questa serie di condizioni, tutti i vincoli derivanti dai dati osservativi risultano soddisfatti da una pulsar che emette la sua radiazione su una frazione di cielo compresa tra 1/7 e 1/25 di superficie sferica e che abbia un campo magnetico suddiviso in una componente dipolare d’intensità compresa tra circa 0,2 e 3×10¹³ G e una componente multipolare maggiore di (0,7–3)×10¹⁴ G. L’insieme delle soluzioni ammesse sono racchiuse nel parallelogramma con sfondo grigio, visibile sul lato sinistro del grafico seguente, tratto dallo studio pubblicato su Science.

Il grafico illustra il complesso intreccio di vincoli che gravano sulla soluzione del problema posto dalla luminosità della pulsar in NGC 5907. Le soluzioni ammissibili sono quelle comprese nel parallelogramma con sfondo grigio riportato sul lato sinistro del grafico. Credit: G.L. Israel et al.

--

--

Michele Diodati
Through the optic glass

Science writer with a lifelong passion for astronomy and comparisons between different scales of magnitude.