Malati Immaginari — Donne

Di quando facevamo l’elettroshock alle donne “stravaganti” e di quando, ancora oggi, cerchiamo di ingabbiarle tra stereotipi e frustrazioni.

flora ciccarelli
TockTock
7 min readApr 1, 2020

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collage di Elisa Lenci Botticella. Foto vintage di una ragazza che si ripete. Alcuni soggetti hanno la testa in fiamme
illustrazione di Elisa Lenci Botticella

È il 9 Agosto 1892. Ti precipiti in casa dei vicini urlando, sei fuori di te, piangi e gridi di aver finalmente ucciso il “baghino”, il maiale. Poco dopo i vicini e tutti i compaesani di Sassocorvaro scopriranno che tu, Maria Ferri in Magagnini, giovane contadina data in moglie ad appena vent’anni e contro la tua volontà, hai ammazzato a colpi di mattarello tuo suocero, molto probabilmente perché non ne potevi più delle sue continue violenze. Ritenuta insana di mente, non verrai condannata al carcere bensì rinchiusa nel manicomio di San Benedetto, dove trascorrerai la tua vita fino all’11 marzo 1921, giorno in cui morirai di enterite tubercolare. Di te, il dottor Piazzi che ti farà internare, dirà che sei una “donnina con ossa minute” la cui fisionomia “non esprime nulla”. Dirà che sei priva di senso morale e incapace di “dare lettura del desiderio” di tuo suocero. Insomma, non volevi essere stuprata da uno di famiglia, ingrata.

Come te, Maria, la storia della psichiatria e della reclusione manicomiale affastella casi su casi di donne internate per i più svariati motivi che poco avevano a che fare con la malattia mentale. Donne come Margherita, internata per essersi ribellata ai maltrattamenti del marito; o come Rosa, che si era sempre dimostrata “stravagante” e, sappiamo dalla sua cartella clinica, andava girando continuamente per il paese senza badare alla sua famiglia e non curando punto i rimproveri dei parenti.

foto di 6 donne rinchiuse in manicomio nei primi anni del 1900. Indossano larghe camicie da notte bianche o grigie.
Foto dalla mostra “I fiori del male. Donne in manicomio nel regime fascista” — Casa della Memoria e della Storia a Roma, settembre 2016

Le motivazioni per rinchiuderti sono potenzialmente infinite: hai impulsi sessuali eccessivi o non ne hai abbastanza da soddisfare tuo marito o il maschio a te più prossimo? Mostri assenza di pudore o sei sorda agli ordini e alle correzioni?

Sei mancina? Parli troppo? Non vuoi diventare madre? Provi a difenderti quando vieni picchiata? Degenerata, strega, puttana, pazza.

Sei un pericolo sociale o un pubblico scandalo: anche se non ti riveli fisicamente pericolosa, l’unico posto in cui potrai essere custodita e curata è il manicomio. Spesso basta la denuncia di tuo marito, insoddisfatto dalle tue doti di massaia e nutrice, o magari non vai giù ai suoi parenti perché dopo quattordici gravidanze non dai il massimo durante il lavoro nei campi e sei sull’orlo di un esaurimento nervoso.

A differenza della popolazione omosessuale, si sa che una donna è più docile e quindi il tuo internamento in manicomio non si limiterà ad essere un modo per tenerti lontana dalla società: purtroppo per te, proveranno a curarti con lobotomia, bagni ghiacciati, terapia del riposo (si chiama così quando ti tengono per giorni immobilizzata al letto) oppure malarioterapia (questa invece è quando ti iniettano il virus della malaria per provocarti una forte febbre). Senza dimenticare il sempre presente elettroshock. Per essere dimessa dovrai dimostrare di essere “tornata in te”, ovvero nuovamente piegata a quel ruolo di madre, badante, nutrice, angelo del focolare e schiava silenziosa che ti è stato riservato dalla natura stessa, o almeno così dicono.

foto di ragazza internata in manicomio. Sorride. Affianco alla foto un foglio stampato con lista dei trattamenti da farle.
Foto dal reportage sulla mostra fotografica di Gin Angri “Donne Cancellate” — Como, Ottobre 2018

La psichiatria ottocentesca era piuttosto chiara riguardo alla configurazione del patologico nel mondo femminile: nel compendio di Cesare Lombroso e di Guglielmo Ferrero “La donna delinquente, la prostituta e la donna normale” si converte in scienza quello che da sempre è un pregiudizio su di te: considerata incapace di manifestare una volontà personale, quando lo fai questa volontà viene subito decodificata e letta come un fenomeno anormale, patologico. Per la società è più facile identificarti come una pazza piuttosto che ammettere che non volevi più sottostare a una violenza. Così come, con Paolina T., era più facile darle della pazza che della lesbica.

Una donna che non fa ciò che le si impone di fare dev’essere necessariamente insana di mente.

Una donna che esce dal ruolo impostole di moglie e madre, remissiva e accogliente ad ogni costo, dev’essere necessariamente una semimbecille. Rinchiuderti in manicomio, che sia reale o simbolico, ogni volta che esuli dal tuo essere “donna”, quindi moglie obbediente e madre operosa, da sempre è la prassi.

Da sempre: Non era solo Lombroso, non era Freud con le sue teorie sull’isterismo né il fascismo col suo ideale di maternità patriottica. Ti succede anche oggi. Non ci credi? Cerca su Google: solo a marzo del 2019, la ministra della Pubblica Amministrazione ha dichiarato che bisogna distinguere tra le denunce di violenza domestica “sincere” e quelle fatte dalle “isteriche”. Poi accendi la televisione e guarda: Serena Williams, Bebe Vio e una ventina di altre atlete furiose, aggressive, emotive, che perdono il controllo. Se nessuno avesse dei problemi con la tua libertà, questo spot non sarebbe diventato virale su Facebook. Sei ancora qui, ancora materia per spot virali e tweet qualunquisti. La tua volontà è ancora messa in discussione, la tua affidabilità pure. È ancora troppo facile, quasi ovvio, stigmatizzarti perché sei aggressiva o sensibile, isterica, bugiarda, dolcemente complicata e irrimediabilmente “pazza”.

Ti ci riconosci? Avevi tredici anni, quando sei diventata “pazza”: ti eri convinta che tutte le donne della tua famiglia lo fossero, come in una sorta di maledizione matrilineare. Tutte isteriche, tutte pronte a scattare per nulla, sempre frustrate chissà per quale oscuro e frivolo motivo. Eri stata una bambina solare e carismatica, sempre al centro dell’attenzione e dell’ammirazione dei tuoi coetanei. Poi, ad un tratto, ti eri ritrovata ad essere una teenager sola, introversa, tendente al pianto. Un’adolescente normale, forse. Ma tu non ne eri così sicura e un giorno, dopo l’ennesima sfuriata contro i tuoi avevi espresso il bisogno di andare da uno psicologo. Ti sembrava evidente che avresti potuto averne bisogno, credevi ingenuamente che sembrasse evidente anche a loro. La risposta di tuo padre (che eliminava automaticamente la necessità di una risposta anche da parte di tua madre, ça va sans dire) era stata che lo psicologo potevi anche scordartelo e che era meglio per te se non ti mettevi “a fare la pazza”.

Smettila di fare la pazza, diceva tuo padre, un imperativo che non ammetteva repliche e che celava una richiesta disperata: ridammi indietro la mia bambina, quella forte e brillante che somiglia al papà, non quella femmina volubile e piagnona come la mamma.

Arch of Hysterie, scultura in bronzo di Louise Bourgeois. Raffigura corpo maschile curvo a forma di cerchio sospeso in aria.
Arch of Hysteria di Louise Bourgeois — MoMA 1993

Tuo padre rivoleva indietro la figlia perfetta, sostituita come in uno scambio di persona da una “povera pazza”. La vorresti indietro anche tu, ma le certezze della bambina sono ormai evaporate per lasciare il posto a peli, mestruazioni, strani depositi di grasso e un deserto di bassa autostima e di insicurezza. Ti senti sola, ma a ben vedere sei in ottima compagnia: guarda le altre donne intorno a te. Osserva come sgomitano sul lavoro, per accaparrarsi un briciolo di credibilità che ai colleghi maschi viene data di default. Guardale nelle famiglie attorno a te, donne inacidite e rese passivo-aggressive da una divisione ingrata dei compiti che le vede sguattere senza diritto di replica. Mamme noiose e rompicoglioni contro papà tranquilli e divertenti, è così dalla notte dei tempi. Poi ripensa alla tua infanzia e al divieto di “fare la pazza”: sei sempre stata una figlia perfetta, obbediente e responsabile. Sempre la prima della classe, decisamente autonoma nella sussistenza e neanche una cazzata sul curriculum personale. Nemmeno fumavi, fino a quattro anni fa.

Ti hanno detto che avresti dovuto essere perfetta senza dirti quanto male ti avrebbe fatto scoprire di non esserlo.

Ti hanno detto di non protestare mai, di non dire le parolacce, di sacrificare le tue passioni per la tua famiglia e per gli altri, di tenere chiuse le gambe. E tu fai tutto, ma c’è sempre una regola che hai dimenticato di rispettare, e anche se le rispetti tutte sai qual è il premio per la tua perfezione? Che quando sarai fuori di te perché chi ti sta attorno sporcherà e romperà la tua casa di bambola, perfetta come te, sarai tu quella esagerata, che se la prende per queste sciocchezze. Ti sentirai dare della rompicoglioni e ti accorgerai che sei diventata uguale a tua madre anche se ti eri promessa che non sarebbe mai successo. Eppure eccoti qui, l’isterica: com’è potuto accadere?

Foto di Laurie Simmons, raffigura una casa in minatura sorretta da un paio di gambe femminili bianche, simili a un manichino.
Walking House (Color), 1989 di Laurie Simmons

Il problema è che decenni di lotte femministe sono ancora troppo pochi per scalfire la base della montagna che ti sta schiacciando, la gabbia dorata in cui ti sei lasciata rinchiudere: continuamente spinta a dover “dimostrare” a qualcuno di essere meglio degli altri, di essere degna di rispetto e di considerazione. Per una donna il rispetto non è mai modello basic, va sempre guadagnato duramente, sempre conquistato. Nessuna donna merita rispetto se non dimostra di saperlo meritare. Così, mentre le bambine crescono “migliori” a scuola, più collaborative a casa e competitive nello sport, i bambini crescono liberi di essere ciò che davvero sentono di voler essere.

Alle femmine questo non è concesso, neanche oggi, neanche adesso che i manicomi sono chiusi e che in tv passa la pubblicità in cui Serena Williams e altre sportive incazzate ti spiegano che puoi, che devi, fare la pazza. Ma se ci provi nella via reale, anche se nella maggior parte dei casi non verrai internata, ci sarà sempre qualcuno pronto a dirti che ehi, forse dovresti solo scopare di più.

Quest’articolo è parte del progetto Un meccanismo da nulla realizzato dall’Associazione ToVR con il sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo nell’ambito del bando Ora!X — Strade per creativi under 30. Scopri di più su ora.compagniadisanpaolo.it

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