Malati Immaginari — la malattia

Dove si parla di Riccardo, che è malato o forse solo triste, e dei tentativi di capire come aiutarlo.

flora ciccarelli
TockTock
9 min readOct 23, 2020

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La ‘piaga della salute mentale’ nelle società capitaliste dovrebbe suggerire che, invece di costituire l’unico sistema sociale che funziona, il capitalismo è intrinsecamente disfunzionale, e il prezzo della sua apparente funzionalità è molto alto.

Mark Fisher — Realismo Capitalista

>>> TRIGGER WARNING: IN QUESTO RACCONTO SI AFFRONTANO TEMI RELATIVI ALLA DEPRESSIONE E AL SUICIDIO. <<<

All’età di 18 anni, a cinque dal suo primo ricovero, Riccardo tenta il suicidio.

È stato da poco trasferito da una casa famiglia a un’altra. La nuova struttura non gli piace, a differenza della precedente è popolata da uomini adulti con disagi mentali che spesso sconfinano nell’abuso di alcol e sostanze. Uomini adulti con cui Riccardo non saprebbe proprio di cosa parlare, lui che parla solo di meme e di videogiochi.

Dici che vuoi morire solo per attirare l’attenzione.

Riccardo non tenta il suicidio perché odia la nuova comunità, né perché dal giorno alla notte si è dovuto trasferire da una struttura in cui era seguito e circondato da coetanei, suoi amici, solo a causa di questioni burocratiche. No, Riccardo tenta il suicidio principalmente per dimostrare a tutti che ancora una volta si sbagliano sul suo conto: quando dice di voler morire non sta cercando di “attirare l’attenzione”, né vuole lanciare una richiesta d’aiuto. Gliene stanno dando fin troppo di aiuto e, guarda un po’, non sta funzionando. L’unico motivo per cui Riccardo tenta il suicidio è perché gli sembra il metodo più semplice per sparire. Certo, se potesse semplicemente disgregare tutte le molecole che compongono il suo corpo e rispedirle all’universo, questo sarebbe il suo unico e più grande desiderio: smettere di esistere.

Le molecole. Riccardo non crede a niente, ma alle molecole ci crede anche se non riesce a vederle. Una volta in comunità ha conosciuto un tizio che invece le vedeva, le molecole. Le vedeva perché era bipolare, e i bipolari vedono le cose come se fossero sempre sotto allucinogeni. O almeno questo era quello che gli aveva raccontato lui, era la prima volta che Riccardo incontrava un bipolare. Il tizio gli aveva raccontato che per lui gli oggetti non stavano mai fermi, neanche un tavolo, nemmeno l’aria era del tutto immobile. E aveva specificato che quel modo di vedere la realtà, per lui, non era da “malato”, anzi. Lo dice la scienza: niente è immobile ma tutto è formato da minuscole particelle in movimento, quindi essere bipolari non è altro che una condizione di percezione maggiore, per certi versi più attendibile, delle cose.

Gli aveva raccontato in effetti che il suo disturbo era causato da un “filtro” nel suo cervello che avrebbe dovuto limitare la quantità di informazioni da fargli assimilare e invece non funzionava. Quindi c’era un sovraccarico di informazioni che lo portava a percepire la realtà in maniera molto più “forte” delle persone non bipolari.

E questo te l’ha detto il dottor Morini?

No, quello lì non capisce un cazzo. Sta tutto scritto qui. E gli aveva mostrato una copia strapazzata de Le porte della percezione di Aldous Huxley. Un libro sulla mescalina, non esattamente il DSM.

Riccardo non ha mai letto Huxley, anche se in molti gliel’hanno consigliato. I suoi amici sui forum lo citano spesso. Lui non legge tanto, preferisce chattare o giocare a OSU, un gioco in cui devi fare delle coreografie con tastiera e tavoletta grafica. Va tantissimo in Giappone ma anche nel resto del mondo, ci sono persino i campionati mondiali a cui Riccardo non parteciperà mai visto che nessuno gli lascia mai usare il pc in santa pace e quindi non può esercitarsi a sufficienza per gareggiare. O forse non parteciperà mai perché la sola idea di viaggiare fuori dai confini della sua regione lo fa sentire un bambino di sei anni, una nullità.

Da quando sta in comunità, però, proprio perché non ha un pc in camera, Riccardo legge un po’ di più ma niente romanzi, solo filosofia: Schopenhauer, Max Stirner e Mark Fisher, quello che si è suicidato qualche anno fa. E se persino Fisher, che era un genio, che insegnava all’università e pubblicava libri, alla fine si è dovuto ammazzare, cosa si può pretendere da uno come lui, che altro potrebbe fare nella vita se non trovare il modo più discreto per uscire di scena? Farebbe un favore a tutti, alla sua famiglia e al sistema sanitario. Ha scoperto che mantenerlo in casa famiglia costa all’incirca 200 euro al giorno. 200 euro: pensa quanti pc per gaming ci compri con un mese della sua retta in comunità.

Ma non lo vedi tutto quello che stiamo facendo per te?

Riccardo ne è sicuro, vuole davvero morire. Solo che prima di tutto ha paura del dolore e seconda cosa, ma non meno importante, il suicidio gli sembra davvero un controsenso per un depresso: stai male perché non sai che cazzo fare della tua vita e l’unica soluzione possibile è quella di prendere una decisione drastica e decisamente concreta per il tuo futuro. Una decisione che implica una serie di atti piuttosto violenti, mentre tu sei a malapena nella condizione di allacciarti le scarpe.

Così un pomeriggio Riccardo prova ad appendersi per il collo con la cintura dei pantaloni, e a buttarsi giù dalla ringhiera: il nodo della cintura cede molto prima di spezzargli il collo e Riccardo cade dal primo piano e si rompe un braccio ma decisamente no, non muore. Dopo qualche giorno di ospedale provano a riportarlo in comunità ma lui lì non ci vuole più stare: scappa, percorre la tangenziale sotto il sole ancora caldo di settembre e col braccio ingessato telefona ai suoi: vuole solo tornare a casa, promette che farà il bravo, prenderà le medicine e li aiuterà ad apparecchiare. Suo padre va a riprenderlo, finalmente è finita. Dopo 5 anni in due cliniche e tre comunità, Riccardo torna a casa con suo padre che guida e borbotta: è evidente che i dottori non sappiano fare il loro lavoro, ora ci penseranno mamma e papà a far stare meglio il loro figlioletto.

Vedrai che adesso andrà tutto bene.

E così, qualche giorno dopo essere tornato a casa, Riccardo smette anche di prendere le medicine. Tanto nessuno gli sta veramente dietro per controllare che le prenda, sua madre ci prova un po’ controvoglia, lo assilla ma niente di più. Forse neanche gli servono, quegli stabilizzanti, i dottori fanno presto a prescrivere le pillole, tanto mica le pagano loro. E forse gli facevano persino male, le medicine, solo che da quando ha smesso di prenderle non esce più di casa, indizio quanto mai eloquente riguardo l’utilità della terapia farmacologica. Forse sì, forse gli servivano, ma suo padre non è troppo sicuro. C’è indecisione, scetticismo nell’aria. Nessuno sa se il ragazzo abbia più bisogno di:

  1. tante medicine
  2. tanto amore
  3. quattro schiaffi vecchio stile
  4. un bravo pedagogista
  5. uno psicanalista e forse qualche medicina
  6. un mix di tutte le precedenti

La famiglia si spacca in fazioni avversarie, tutti contro tutti: per sua madre gli basterebbe uscire un po’ col suo migliore amico, che però non gli telefona mai. È anche colpa sua se Riccardo sta male. Per Il suo migliore amico, invece, basterebbe allontanarlo dalla famiglia patologica in cui è cresciuto per farlo stare meglio. La zia, che lavora in banca, sostiene che sia inutile negare l’evidenza: Riccardo è clinicamente depresso e ha bisogno delle medicine. Del resto si sa, la depressione è una questione di scompensi chimici, l’ha letto in un’intervista molto approfondita a quell’attore su Vanity. Tutti hanno un’opinione ben precisa su Riccardo, un’opinione costruita sulla base di congetture, sentito dire, vissuto personale. Ma la verità è che tutti parlano senza sapere nulla. I suoi genitori sono recentemente passati dalla fase di negazione a quella di ammissione, ma suo padre è ancora convinto che a Riccardo basti l’amore della famiglia per vivere una vita felice. è ancora convinto che se suo figlio non vuole uscire di casa è perché il mondo è pieno di stronzi, e allora perché dovrebbe uscire? Del resto, neanche lui esce molto… Cosa pensa sua madre invece non si capisce, forse lei vuole solo che la smettano tutti di stare così male così lei puoi continuare a sentirsi una brava madre e una santa donna che la domenica se ne va a messa con le amiche, non in giro per case famiglia.

La prima volta che una psicologa aveva avanzato l’ipotesi che Riccardo fosse depresso e che avesse bisogno di cure, sua madre aveva fatto una faccia che qualcuno non esiterebbe a definire compiaciuta. Poi si era affrettata a completare una frase della dottoressa ipotizzando che suo figlio, allora tredicenne, avesse bisogno del litio.

Davanti a quell’affermazione la psicologa era legittimamente sbiancata perché no signora mia, ma siamo matti, il litio a un bambino non esiste proprio, gli diamo qualche integratore, stabilizzatori dell’umore, ma il litio è una roba grave.

A qual punto sua madre aveva cercato di allentare la tensione fingendo di aver fatto una battuta, ma Riccardo conosceva la verità: in tredici anni non aveva mai sentito sua madre fare una battuta. Se avesse potuto, l’avrebbe stordito di psicofarmaci.

Il tizio bipolare della comunità era piuttosto scettico riguardo agli psicofarmaci. Forse era la sua fase maniacale a parlare, ma quando si erano conosciuti gli aveva detto che stava bene anche senza medicine e che aveva smesso perché “quella roba” a lungo andare l’aveva danneggiato, non pensava più lucidamente come prima.

E sai perché? Perché i dottori vanno per tentativi. Nessuno ci capisce un cazzo di come funziona il cervello.

Antipsichiatria è un termine vasto, che può voler dire tutto e anche il suo contrario.

Nasce negli anni ’60 come movimento di contestazione interno agli ambienti della psicanalisi anglosassone, sulla scia delle teorie foucaultiane sulla repressione psichiatrica. L’antipsichiatria critica radicalmente il concetto di malattia mentale, considerandola più che altro una risposta “sana” dell’individuo a una società contraddittoria, ingiusta, profondamente “malata”. Il movimento ha il merito di aver portato alla chiusura dei manicomi, per esempio con Psichiatria Democratica in Italia, sostenendo un approccio terapeutico più aperto, di dialogo tra il malato e l’istituzione.

Così oggi se Riccardo ha frequentato una casa famiglia in cui ha fatto corsi di teatro e di cucina insieme ai suoi coetanei e giocato a scacchi con gli operatori; se ha dormito su un vero letto in una camera doppia anziché legato a una rete metallica in un androne; se ogni fine settimana ha potuto prendere un treno per tornare a casa e se e ogni mercoledì d’estate è andato (controvoglia) in piscina con tutta la comunità questo lo deve alla legge Basaglia. Lo deve a un approccio umano e socio-culturale alla salute mentale.

Forse hai solo bisogno di uscire più spesso.

Ma Basaglia era anche il primo a non cadere nella trappola dell’antipsichiatria portata alle sue estreme conseguenze: solo perché i manicomi sono un luogo infernale in cui non ci si prende cura delle persone, solo perché molte delle persone rinchiuse non soffrono davvero di patologie psichiatriche, non vuol dire che la malattia psichiatrica smette di esistere. I matti ci sono, le malattie esistono, le medicine — se prescritte e assunte con criterio — sono utili. Di fronte a un essere umano in crisi psicotica, ad esempio, affermare che la malattia mentale non esiste è un dato fuorviante, nonché irrispettoso della grande sofferenza che queste crisi portano con sé. Così come, al contrario, vederla semplicemente come un “guasto al cervello” da riparare, o da sedare, ci dice poco su come riportare quella persona a in una condizione di vita sostenibile.

Come Riccardo, ogni paziente psichiatrico è un campo di battaglia sul quale si scontrano idealismo e meccanicismo, psichiatria e antipsichiatria. Ha bisogno di stare in famiglia. Ha bisogno di medicine. Ha bisogno dell’aiuto di Dio! Ha bisogno di un po’ di educazione vecchio stampo. Ha bisogno di un corso di psicodramma per guardare in faccia i suoi fantasmi. Ha bisogno di qualcosa in cui credere. Ha bisogno di una connessione decente. Ha bisogno di un paio di scarpe nuove. Ha bisogno di giocare al pc e mangiare pasta col tonno. Ha bisogno di un vero amico. Ha solo bisogno di una fidanzata, poi vedi come si riprende! Ha bisogno di un diploma. Ha bisogno di sonniferi. Ha bisogno di una bella festa di compleanno. Ha bisogno di una doccia. Ha bisogno di sciogliersi un po’. Ha bisogno del litio. Ha bisogno di una madre che lo ami veramente.

Ho bisogno che state zitti.

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