Dal Preumano all’Ultraumano: le fasi di un Pianeta Vivente

Qual è la curva evolutiva della Terra come “pianeta vivente”? Pierre Teilhard de Chardin, scienziato e pensatore, illustra le fasi emblematiche del nostro pianeta in cui la Vita è emersa e si è sviluppata in modo sempre più esteso e complesso permettendo il nascere di una civiltà umana che sta creando uno strato pensante collettivo, chiamato Noosfera, inizio del processo di ultraumanizzazione.

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TECNOETICA
10 min readApr 24, 2017

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Autore: Pierre Teilhard de Chardin

L’astronomia, nel cielo, incomincia a districare una classificazione e una vita delle stelle: rosse, blu, bianche; giganti, medie, nane. Ogni tipo delle quali percorre (nelle dimensioni, nella specifica irradiazione e nello splendore) un certo ciclo di trasformazione.

Noi ci interessiamo di questo meccanismo.

Ora abbiamo qualche volta immaginato quanto più appassionante e più emozionante sarebbe per noi arrivare a seguire, o almeno a ricostituire, nel cuore delle galassie, la storia non più degli splendidi soli, ma dei misteriosi pianeti viventi?

Tali astri (vedremo che ne esistono sicuramente) non irraggiano in misura apprezzabile dai nostri attuali strumenti (ma è impossibile immaginare, più avanti, degli spettroscopi sensibili a qualche irraggiamento vitale?…). Ignoriamo dunque ancora tutto per quanto riguarda il loro numero, distribuzione, storia. Detto altrimenti siamo sempre ridotti, per studiarli:

  1. all’osservazione di un solo caso o esempio (la nostra Terra);
  2. che è ancora assai lontano, apparentemente, dall’aver raggiunto il pieno sviluppo.

Situazione sfavorevole, ma tuttavia utilizzabile, nella misura in cui, grazie ai notevoli fenomeni di sedimentazione e fossilizzazione, il passato biologico del nostro astro è accessibile alla nostra indagine su circa un miliardo di anni.

Cerchiamo dunque, su questo esemplare ben rappresentativo (sebbene unico e probabilmente “immaturo”) di calcolare scientificamente quale può essere, per grandi linee, la curva evolutiva di ogni pianeta vivente.

Problema nel quale si mescolano in modo singolare l’aspetto affettivo e l’aspetto speculativo, poiché in tale questione si tratta niente di meno che di capire il nostro destino e di estrapolarlo.

Come una nova di tipo speciale, la Terra, più di di 600 milioni di anni fa, si è messa a rosseggiare debolmente di vita. Influenzata dai raggi solari la pellicola sensibile delle sue giovani acque si è di colpo arricchita di proteine asimmetriche e in grado di svilupparsi. In seguito a quale improvvisa scossa o al contrario per quale lenta maturazione si è potuto verificare il fenomeno? Non sappiamo dirlo. Ma ciò che sappiamo è prima di tutto che un tale evento si è certamente prodotto, e poiché, per necessità statistica, non poteva non prodursi, date le condizioni fisico-chimiche dell’astro che ci sostiene. In effetti, per improbabili che possano sembrare, da un punto di vista meccanicistico, gli straordinari edifici organici realizzati dalla Vita, sembra sempre più evidente che la sostanza cosmica sia condotta verso questi stadi estremi di organizzazione da una sorta di attrazione particolare che le fa scegliere di preferenza, in ogni istante, nel meccanismo delle probabilità in cui si trova inserita, tutte le occasioni di diventare più complessa e così di liberarsi un po’ di più.

Così si spiega come sporadicamente, nel corso del tempo, abbiamo potuto e dovuto comparire, nell’insieme degli spazi siderali, molti focolai di indeterminazione e di coscienza, di cui abbiamo esattamente un esempio nella nostra Terra. Dunque, per eccezionale che sia, sotto certi aspetti, nella sua struttura, tutto avviene come se la Vita fosse in pressione dappertutto nell’Universo. E tutto avviene come se, là dove la fantasia delle probabilità cosmiche le ha permesso per una volta di spuntare e radicarsi, non potesse più smettere di intensificarsi al massimo, secondo un processo automatico che può essere analizzato come segue.

In partenza, moltiplicazione. Grazie alla sua natura fisica-chimica la materia vivente, fin dai suoi stadi inferiori, presenta lo straordinario potere di riprodursi in modo geometrico, indefinitamente. A questo punto, per quanto minuti e dispersi abbiano potuto essere inizialmente sul pianeta gli ammassi di proteine vitalizzate, queste macchie hanno potuto estendersi rapidamente fino ad invadere la superficie dell’intero astro: e questa diffusione su una curvatura limitata ha prodotto, dopo un certo periodo di libera espansione, una compressione sempre più forte. Sottomesso a una pressione meccanica crescente, un gas cambia generalmente stato. Similmente, sottomessa, per schiacciamento per volume chiuso, a una crescente compenetrazione biologica, una moltitudine di individui, una massa vivente, reagisce organizzandosi su se stessa, cioè trovando, attraverso una selezione di tentativi, le combinazioni individuali e collettive che le permettano di emergere meglio: le combinazioni “migliori” saranno, di fatto, quelle con gradi di complessità più elevati e correlativamente con indeterminazione più avanzata.

Per scrupolo di obiettività scientifica, certi biologi esitano ancora a vedere, nello sviluppo storico della vita terrestre, null’altro che uno spiegamento indefinito di forme che si attua sullo stesso piano. Sono d’accordo su un numero sempre crescente di viventi e di combinazioni viventi; ma tuttavia, non più vita. Con quali ragioni sosterremmo che un mammifero è “più” di un polipo?

Ben più suggestiva e convincente di questa visione “piatta” del mondo biologico, si rivela al primo sguardo la prospettiva “tridimensionale” di un astro dove, per effetto di compressione planetaria, lo stadio di complicazione, o, cosa analoga, la temperatura “psichica” della biosfera si ritrovi oggetto di continua crescita. Così si spiega l’avvicendamento, per passaggi successivi, dagli Artropodi ai Vertebrati, poi dai Pisciformi ai Tetrapodi, poi la prevalenza progressiva dei Mammiferi tra i Tetrapodi, e a poco a poco lo sviluppo graduale dell’asse dei Primati, la crescita, globalmente irreversibile e costantemente accelerata lungo certe linee privilegiate, dalla “cerebralizzazione” dalle origini della vita fino ai giorni nostri. In effetti la quantità e qualità della sostanza nervosa cefalizzata non sono mai state così grandi sulla Terra come in questo momento. Questa visione “ortogenetica” dell’evoluzione animale sta raccogliendo l’unanimità dei ricercatori. Ma non assume pieno valore, a mio avviso, che nella misura in cui implica una “catena” psichica continua che risalga alle origini della vita.

Lungo l’immenso corso dei tempi geologici, si constata che i diversi anelli di questo meccanismo concatenato non cambiano in modo essenziale. Sembra che il fattore principale di progresso continui a essere gioco delle forze di selezione naturale che seleziona dall’esterno i prodotti meglio riusciti e più adatti di una espansione interiormente disordinata. All’altezza dell’ultimo anello della catena, ossia al livello della “presa di coscienza”, sembra delinearsi nel corso del tempo una trasformazione importante. Perchè in virtù stessa della crescita selettiva dello psichismo nella biosfera, è inevitabile che ogni nuovo elemento superiore generato dall’evoluzione, nella misura in cui è più cosciente, abbia un raggio di azione più grande. Per il semplice fatto della sua “ultracerebralizzazione” occupa più posto. Dapprima sostenuto dalla sola moltiplicazione, la compressione della materia vivente si mette dunque ad aumentare a poco a poco sotto l’effetto dell’espansione psichica interna. La catena si chiude su di sé e l’intensità del fenomeno tende a salire quasi verticalmente. Da questo punto di vista, per usare un’altra immagine, si può dire che la “tinta psichica” della terra, guardata da molto lontano da un osservatore celeste, non avrebbe smesso, per due ragioni congiunte, di volgere verso l’alto, da milioni di anni in milioni di anni, nel corso dei tempi geologici, fino al momento particolarmente commovente e critico in cui, all’interno di una chiazza di irraggiamento più attivo, interessante l’Africa e il sud dell’Asia, una serie di scintille avrebbero incominciato ad accendersi, precludendo all’incandenscenza che caratterizza l’ “ominizzazione”.

Per vicino che sia agli altri grandi primati, rispetto ai quali per la sistematica non costituisce che una semplice “famiglia”, l’Uomo si distingue psichicamente da tutti gli altri animali per il fatto assolutamente nuovo che non solo sa, ma sa di sapere. Per la prima volta sulla terra, in lui la coscienza, si è ripiegata su se stessa fino a diventare pensiero. Inizialmente, per un testimone non attento, questo evento avrebbe potuto sembrare di poca importanza. In realtà rappresenta niente di meno che un vero e proprio nuovo sprigionarsi della vita terrestre. Riflettendosi psichicamente la Vita si è positivamente impegnata in una nuova partenza. Su un secondo giro di spirale più stretto del primo, ha ripreso per la seconda volta il ciclo originale di moltiplicazione, di compressione e di interiorizzazione.

E così a partire da certi focolai di riflessione comparsi con evidenza all’avvicinarsi del Pleistocene, in qualche punto della zona tropicale o subtropicale del Vecchio mondo, si è rapidamente formato, così come possiamo contemplarlo oggi, lo strato pensante della Terra, la “Noosfera”; neoavvolgimento planetario, strettamente solidale alla Biosfera su cui si radica, pur restando da essa ben separato da un sistema autonomo di circolazione, di innervazione e infine di cerebralizzazione. La Noosfera: uno stadio nuovo, per una Vita rinnovata.

Fino all’Uomo, si può dire che fosse la selezione naturale a perseguire l’alta direzione in materia di morfogenesi e di cerebralizzazione; mentre, a partire dall’Uomo, sono le forze di invenzione che hanno cominciato a prendere in mano le redini dell’Evoluzione. Cambiamento tutto interiore e senza ripercussione diretta sull’anatomia; ma cambiamento che induce, ora lo constatiamo, due conseguenze decisive per l’avvenire. La prima consiste nell’aumento senza limiti del raggio di influenza che emana da ogni vivente. E la seconda, ancor più rivoluzionaria, è di offrire a un numero crescente di individui la possibilità di unirsi e di umanizzarsi sempre più strettamente al fuoco inestinguibile della ricerca in comune.

Nell’Uomo la Vita, partendo dal Quaternario, non ha smesso di sovrasvilupparsi, alla seconda potenza.

Ora, dopo qualche centinaia di migliaia di anni di durata del fenomeno, non si moltiplicano i segni che il processo, lungi dal rallentare, sta abbordando una fase particolarmente accelerata e critica dell’evoluzione?

Nella misura in cui riusciamo a ricostituirne le peripezie storiche, il raduno e organizzazione della massa umana aveva proseguito fino qui in regime d’espansione, molto più che di compressione. Su un pianeta scarsamente abitato, le diverse civiltà arrivavano a crescere e ad affiancarsi senza grandissimi turbamenti. Giunti infine a contattarsi, i frammenti di Umanità, ieri ancora separati, incominciano sotto i nostri occhi e interpenetrarsi, fino a reagire economicamente e psichicamente tra loro. E ciò ha per risultato, data la relazione fondamentale tra compressione biologica e crescita di coscienza, di far aumentare irresistibilmente in noi e attorno a noi il livello del Riflesso. Sotto l’effetto delle forze che la comprimono come in un vaso chiuso, la sostanza umana incomincia a “planetizzarsi”, cioè a interiorizzarsi e animarsi globalmente su di sé.

Immaginiamo magari che la specie umana, ormai matura, stia per rimanere ferma. Eccola rivelarsi ancora embrionale. Oltre all’Umano che conosciamo, su centinaia di migliaia (o probabilmente milioni) di anni, si dispiega ormai, allo sguardo della nostra possibilità di comprensione, una profonda frangia, sebbene oscura, di “Ultraumano”.

Detto ciò, e supponendo che nessun incidente siderale si verifichi lungo il percorso, come finirebbe l’avventura? Cioè, alla fine del ciclo planetario di ominizzazione, si deve prevedere una senescenza, o al contrario un parossismo della Noosfera?…

In favore dell’ipotesi della senescenza si presenta, immediatamente e naturalmente, l’analogia delle nostre fini individuali. Ciascun elemento pensante della Terra è condannato a decrescere e morire; come potrebbe allora la somma di tutti loro, cioè l’Umanità, non invecchiare anch’essa, per le stesse ragioni, a sua volta? Ecco la prima idea che ci salta in mente. Ma quest’idea è giusta? Cioè è sicuro che possiamo estrapolare senza apportare correzioni al modello dell’evoluzione individuale (o ontogenesi) la curva generale dello sviluppo della specie (o filogenesi)? Nulla lo prova, o piuttosto una precisa considerazione ci dissuade dal farlo. Poiché se, associati alla crescita dei corpi individuali, compaiono certi principi di usura e di disgregazione che nulla sembra poter impedire di accentuarsi con l’età, nulla di simile si lascia scorgere nell’evoluzione globale di una massa vivente considerevole come la Noosfera, in cui la legge evolutiva dominante sembra piuttosto essere, per necessità statistica, quella di convergere puramente e semplicemente su se stessa.

Più si approfondisce questa differenza, più ci si convince che la moltitudine umana non va tanto verso un rilassamento, quanto piuttosto si eleva, nel corso dei tempi, verso un qualche stato di tensione psichica superiore. Il che vuol dire che avanti a noi si annuncia non l’intorpidimento dell’anima, ma un punto critico di Riflessione collettiva.

Sotto forma non di un progressivo oscuramento, ma di una brusca folgorazione (esplosione in cui il Pensiero, portato all’estremo, si volatilizzerebbe su di sé); così, se dovessi scommettere, scegliere di rappresentarmi la fase ultima di un pianeta vitalizzato.

E anche questo (uno scoppio supremo) potrebbe essere considerato, biologicamente, un finale soddisfacente per il fenomeno umano?

Proprio in questo punto si rivela fino in fondo il problema posto alla scienza dall’esistenza dei pianeti viventi.

Parlando della crescita della temperatura psichica terrestre, ho sempre supposto che nella Noosfera, come nella Biosfera, si mantenesse costante il bisogno o volontà di crescere. Nessuna selezione naturale e ancor meno di invenzione riflessa, se l’individuo non si orienta dall’interno verso il “super-vivere” o almeno i sopravvivere. Su una stoffa cosmica del tutto passiva e a fortiori resistente, nessun meccanismo evolutivo potrebbe aver presa. Allora come non vedere il possibile dramma di un’Umanità che perda improvvisamente la passione per il suo destino? Questo disincanto sarebbe concepibile o piuttosto inevitabile se, per effetto di riflessione crescente, giungessimo ad accorgerci che, in un mondo ermeticamente chiuso, siamo desinati un giorno o l’altro a finire per morte collettiva totale. Sotto l’effetto di tale spaventosa constatazione, non è evidente che, nonostante le più violente trazioni della catena di avvolgimento planetario, il meccanismo psichico dell’Evoluzione si arresterebbe scarso, appiattito, disgregato nella sua stessa sostanza?

Più si riflette a quest’eventualità, che non si tratta di un mito come provano certi sintomi morbosi quali l’esistenzialismo sartriano, più si incomincia a pensare che il grande enigma proposto al nostro spirito dal fenomeno umano non è tanto di sapere come la vita abbia potuto accendersi sulla terra quanto di comprendere come potrebbe svilupparvisi senza prolungarsi altrove, da qualche parte. Una volta diventata riflessa, non può più in effetti accettare di scomparire completamente senza contraddire biologicamente se stessa.

E ancora meno, di conseguenza, ci si sente disposti a respingere come non scientifica l’idea che il punto critico di Riflessione planetaria, frutto della socializzazione, lungi dall’essere una semplice scintilla nella notte, corrisponda al contrario al nostro passaggio, per capovolgimento o dematerializzazione, su un’altra faccia dell’universo: non una fine dell’Ultraumanizzazione, ma il suo accesso a qualche Transumano, nel cuore stesso delle cose.

Il presente testo è un estratto dal libro L’avvenire dell’Uomo, di Teilhard de Chardin Pierre; Tassone Bernardi A. (cur.), Jaca Book, 2011, Milano

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