La robotizzazione del lavoro è inevitabile

Quale sarà l’impatto della robotica avanzata e dell’intelligenza artificiale sul mondo del lavoro? La rivoluzione tecnologica in corso è qualitativamente diversa da quelle del passato e ha delle enormi implicazioni politico ed economiche per tutti noi.

Network H+
TECNOETICA
8 min readOct 22, 2016

--

Autore: Transcendo

Lavoratori di tutto il mondo, preoccupatevi. In un’epoca di crescente automazione tecnologica il futuro del lavoro è segnato.

Il timore che l’automazione elimini posti di lavoro non è nuovo: la seconda rivoluzione industriale ha visto la nascita del luddismo ovvero di lavoratori tessili del 19° secolo che fracassavano e sabotavano le macchine che li avevano sostituiti nelle fabbriche. Tuttavia l’innovazione tecnologica negli ultimi duecento anni ha complessivamente portato a maggiori opportunità di lavoro generando aumenti di reddito e innalzando il tenore di vita nel lungo periodo. Alcuni esperti dicono che lo stesso accadrà durante la nuova età della macchina che stiamo vivendo: con l’incremento della produttività, sostengono, qualsiasi automazione che economizza l’utilizzo di manodopera aumenterà il reddito che a sua volta genererà la domanda di nuovi prodotti e servizi, che a sua volta creerà nuove tipologie di impiego per quei lavoratori rimpiazzati.

Tuttavia ci sono valide ragioni e diverse statistiche che mettono in chiaro che questo processo (maggiore sviluppo tecnologico=maggiori opportunità lavorative) non si ripeterà con la stessa forza nel XXImo secolo. La ragione principale sta nei progressi di software e macchine che stanno diventando ogni giorno più sofisticati ed efficienti portando il potenziale dell’automazione tecnologica a un livello completamente nuovo. Nei prossimi decenni vedremo macchine, a livello software e hardware, in grado di sostituire la maggior parte degli esseri umani in compiti complessi: se i settori dei lavori di routine e manuali sono già stati già pesantemente invasi dalle macchine, e continueranno ovviamente ad esserlo in misura crescente, il prossimo passo sarà quello dei settori della conoscenza e dei servizi.

Le macchine applicate ad attività che richiedono capacità cognitive, che non molto tempo fa erano viste come dominio esclusivo degli esseri umani, determineranno la continua disintegrazione della linea tra quello che può fare un ‘umano’ e quello che può fare un ‘robot’. Questo sconvolgimento è guidato da una nuova ondata di automazione centrata sulla cognizione artificiale, sensori a basso costo, machine learning, interfacce utente intuitive (ad esempio, il riconoscimento vocale) e intelligenza distribuita (‘internet delle cose’). I progressi in tali campi stanno rendendo possibile automatizzare molte attività dei lavoratori della conoscenza che sono state a lungo considerate come impossibili o impraticabili per le macchine [nota: una recente analisi di McKinsey ha dimostrato che fino al 45% di tutte le attività di lavoro attuali potrebbero essere automatizzate con la tecnologia esistente]. La combinazione di una massiccia potenza di calcolo, enormi insiemi di dati e sensori e algoritmi sofisticati potranno abilitare macchine intelligenti ad esibirsi addirittura ad un livello pari o superiore a quello umano medio.

Cosa significa tutto ciò per il mondo del lavoro? Significa che la nuova ondata di progresso tecnologico sta accelerando notevolmente il processo di automazione del lavoro cognitivo da sempre svolto dagli esseri umani. Ciò può rendere altamente probabile uno scenario in cui la robotizzazione del lavoro (un robot è generalmente definito come “uno strumento in grado di eseguire automaticamente una serie di azioni”) si avvicini al 90 per cento entro la fine del corrente secolo.

In obiezione a tale scenario qualcuno dice: “vero che le macchine stanno progredendo in modo da svolgere molti compiti riservati una volta a noi esseri umani, ma beh esse non potranno mai rivaleggiare con l’intelligenza umana data la sua capacità creativa ed empatica quindi alcuni compiti saranno sempre riservati agli esseri umani perchè nessuna macchina sarà in grado di emularli…”. Tale pensiero si basa sulla convinzione che l’intelligenza è una qualità unicamente umana, ciò presuppone un’idea troppo antropocentrica che non si accorda con la natura reale delle cose e che in sostanza non riesce a cogliere cosa sia, e come può emergere, ciò che chiamiamo ‘intelligenza’.

C’è una simpatica metafora di Hans Moravec, professore al Robotics Institute della Carnegie Mellon University [il passo è tratto dal libro di R. Kurzweil, La Singolarità è vicina, Apogeo Edizioni, pagg. 285–286], che riesce a illuminarci su quale sarà l’impatto del progresso delle macchine intelligenti sulle nostre certezze di essere gli unici capaci di fare certe cose:

Il progresso delle prestazioni dei computer è come l’acqua che inonda lentamente un paesaggio. Mezzo secolo fa ha cominciato a coprire le terre più basse, mettendo fuori gioco ragionieri e impiegati d’archivio, mentre la maggior parte di noi è rimasta all’asciutto. Ora l’acqua ha raggiunto i piedi delle colline, e i nostri avamposti cominciano a pensare alla ritirata. Ci sentiamo al sicuro sulle nostre alture ma, visto il ritmo di avanzata, anche queste saranno sommerse nell’arco di un altro mezzo secolo. Propongo di costruire delle Arche, perchè il giorno si avvicina, e cominciare ad adottare uno stile di vita marinaresco! […] Quando l’inondazione raggiunge altitudini più densamente popolate, le macchine cominciano a fare belle cose in campi che molte più persone possono apprezzare. Il senso viscerale di una presenza pensante nei nostri macchinari andrà diffondendosi sempre più. Quando saranno coperte le cime più alte, ci saranno macchine che potranno interagire su qualunque argomento con intelligenza pari agli esseri umani. La presenza di menti nelle macchine allora sarà autoevidente.

Il fatto del tutto nuovo, rispetto alle ondate di innovazione del passato, è che le macchine stanno acquisendo intelligenza complessa. E’ ancora arduo comprendere cosa implica tale nuovo fenomeno per tutti noi e per la società in generale. Una cosa però possiamo dirla: date queste premesse la robotizzazione del lavoro è solo questione di tempo.

Quando un lavoro è automatizzato generalmente la produttività migliora con un abbassamento dei costi e un aumento dell’efficienza. Se mettiamo a confronto umani e macchine in diversi ambiti allora possiamo vedere, già allo stato attuale, quanto economicamente i robot siano maggiormente vantaggiosi e convenienti dato che essi non scioperano e non si prendono vacanze mentre un essere umano richiede molte ore di “manutenzione” al giorno (compresa la formazione, la riqualificazione, il sonno / ricarica, mangiare ed esercizio fisico, cura ed assistenza sanitaria) inoltre è facilmente danneggiabile e può essere estremamente complicato, e talvolta impossibile, da “riparare” o “riprogrammare”.

La maggior parte delle persone, dotate di un’istruzione bassa o media, sarà costretta ad adattarsi a un contesto lavorativo in cui le macchine tendono a superarle progressivamente in molti ambiti operativi e intellettuali ma tale adattamento non potrà verificarsi in quanto competere con il rapido incremento dell’intelligenza delle macchine è praticamente impossibile. Ecco perchè il tasso di robotizzazione dei posti di lavoro, sia di livello manuale che di quello cognitivo, sarà di gran lunga più veloce del tasso di creazione di nuovi posti di lavoro per noi esseri umani mentre molte mansioni lavorative oggi svolte da esseri umani diventeranno obsolete in un’epoca di avanzata automazione tecnologica [nota: un rapporto del 2013 presentato da ricercatori di Oxford prevede che entro il 2033, il 47 per cento dei posti di lavoro negli Stati Uniti potrebbe essere eseguita da macchine].

Certamente ci saranno nuovi posti di lavoro creati nei settori che richiedono, ad esempio, un’elevata competenza creativa e sociale, in tali ambiti le macchine avranno (ancora) per molto tempo grande difficoltà a raggiungere la raffinatezza e complessità del cervello umano, ma tali nuovi posti di lavoro non saranno neanche lontanamente sufficienti a compensare quelli eliminati dalla robotizzazione in tutti gli altri settori. E anche i posti di lavoro più qualificati sono già a forte rischio di automazione se pensiamo che contabilità, ricerca giuridica, e anche il lavoro di diagnosi medica stanno iniziando ad essere gestiti in modo sempre maggiore da programmi per computer. Quando ci saranno poi computer (già in fase di sviluppo) che saranno in grado di insegnare a se stessi ovvero in grado di automigliorarsi (si parla di “Machine Learning” quando un computer insegna a se stesso come fare qualcosa, invece che “impararlo” da esseri umani tramite programmazione), non ci sarà limite al genere di impiego che potrà essere svolto da una macchina…

L’economia odierna si regge sull’idea della piena occupazione, lo spostamento di milioni di posti di lavoro a favore dei robot sarebbe un colpo devastante, nemmeno è necessario che tutti i lavori siano automatizzati per assistere al un’implosione economica drammatica, immaginate a come può sussistere una società moderna con il 60 o 80 per cento di disoccupazione… Chi acquisterebbe beni e servizi prodotti nell’ “economia automatizzata” con ampi segmenti della popolazione senza lavoro? Ci sarebbe inevitabilmente un massiccio incremento della disuguaglianza e della povertà che peserebbe in modo insostenibile sui nostri sistemi di protezione sociale che non sono stati progettati per supportare un così gran numero di persone disoccupate per periodi prolungati tempo. Alcuni scettici sostengono che dal momento che i bisogni umani sono infiniti, ci sarà sempre domanda di lavoro. Ma nulla impone in economia che il lavoro deve essere svolto da esseri umani. In un mondo dove i prodotti possono essere ordinati, prodotti, e consegnati attraverso interfacce di conversazione, stampa 3D, e droni — e numerosi servizi possono essere implementati come algoritmi intelligenti — ci sarebbero molti bisogni umani ma tutti serviti da “robot” di una forma o di un’altra. Quello che scomparirà non sarà perciò il lavoro in sé, bensì quello svolto da noi esseri umani.

A questo punto una semplice domanda incalza: che fare?

Certamente evitare le ripercussioni della robotizzazione (con potenzialmente miliardi di persone senza lavoro, e con la ricchezza del mondo concentrate nelle mani di pochi) bloccando il progresso o frenando l’innovazione tecnologica non è desiderabile né praticabile in un mondo ormai iperconnesso e globalizzato.

Secondo Brynjolfsson e McAfee, autori di “In gara con le Macchine. La tecnologia aiuta il lavoro?”, dovremmo imparare dal passato e non tentare di competere contro le macchine, ma evolvere per lavorare in armonia con loro, se vogliamo una transizione verso la rivoluzione tecnologica come abbiamo fatto con quella industriale. Più facile a dirsi che a farsi: l’automazione può anche creare nuovi posti di lavoro che richiedono intelligenza sociale e creativa tuttavia questo tipo di abilità è molto più difficile da acquisire e, ancora più importante, esiste una disparità naturale dato che tali forme di intelligenza sono molto ampie e non possono essere semplicemente apprese in poco tempo anche investendo enormi quantità di denaro nella formazione e istruzione dei lavoratori o aspiranti tali.

E se la piena occupazione non fosse una necessità per la nostra economia? E se fosse giusto non avere una posizione lavorativa a tempo pieno? Che cosa succede se i robot, “rubando” il nostro lavoro, potessero effettivamente essere una buona cosa, piuttosto che qualcosa da temere?

Il problema è che il lavoro e il reddito sono oggi strettamente congiunti. Quindi, se si perde il lavoro, si perde anche il reddito, e non abbiamo purtroppo un sistema politico in grado di affrontare tale “nodo gordiano”. Abbiamo bisogno di guardare al di là della politica convenzionale e delle ideologie paralizzanti. La soluzione, utopica quanto realista, è disaccoppiare il reddito dal lavoro in modo da provvedere alla sicurezza sociale necessaria per garantire la libertà di ognuno e condividere ricchezze oltre che risorse prodotte e gestite grazie all’automazione tecnologica. La strategia per un’epoca di prosperità passa da un reddito universale garantito (‘dividendo sociale’) e da un’emergente economia della condivisione (‘sharing economy’).

Vogliamo vivere in un mondo di meraviglie tecnologiche che riducono il costo di tutte le necessità di base, aumentare il nostro tenore di vita, tenerci sani e… spassarcela. Vogliamo anche vivere in un mondo in cui le macchine fanno tutto il lavoro di routine e di fatica mentre siamo liberi di coltivare le nostre passioni.

Lavoratori di tutto il mondo, gioite. Le macchine ci libereranno dal lavoro.

>> Se hai apprezzato questo contenuto, clicca sul pulsante 👏 e condividilo per aiutare gli altri a trovarlo! Sentiti libero di lasciare un commento qui sotto.
>> Vuoi partecipare al dibattito pubblico sui temi qui trattati? Iscriviti al gruppo Facebook!
>> Vuoi rimanere aggiornato su eventi, trend, idee che trasformeranno radicalmente il mondo? Sintonizzati sulla pagina Facebook!

--

--