TC Champions League: l’Inter che fa l’Inter e il Tottenham… pure!

Nicola Bonafini
Tribuna Centrale
Published in
7 min readSep 19, 2018
Per “contraddittorio” e “divisivo” che possa essere, l’uomo Inter è sempre Maurito Icardi (foto via 101goals.com)

Iniziamo con un grande classico, il famoso “disco bello ma non troppo”: amalaaaaaaa… pazza Inter, amalaaaaaa! E’ così. Dopo sei anni di assenza dalla Champions League, vuoi tornare sul massimo palcoscenico calcistico europeo (e mondiale — a livello di club) e negarti l’opportunità dell’ennesimo, storico, irripetibile, “big drama”? Certo che no! Volete il sunto di Inter-Tottenham di ieri sera? Facile: l’Inter ha vinto da… Inter. E il Tottenham ha perso da… Tottenham!

Cinque hot topics della partita di ieri

Piaccia o no si passa da Maurito

Ehhhhhh Maurito, Maurito. Croce e delizia del popolo interista. E pure di quelli che ti devono giudicare. La partita di Mauro Icardi è sostanzialmente questa:

Grazie Stats Zone

Scarna, verrebbe da dire. Insufficiente se guardassimo solo alla “produzione”. Eppure, all’85esimo, il nostro ha fatto questo:

Siamo alle solite. Il giocatore è questo qua. E’ un bomber vecchio stampo. Vive per il gol e con il gol. E’ chiaro che è un elemento condizionante nel bene e nel male, perché se la squadra non trova alternative alla sua presenza nello sviluppo del gioco, in pratica lo perdi, perché, lui, sull’aiutare i compagni in fase di impostazione, da quell’orecchio non ci sente. Inoltre, da quanto trapela, le sue condizioni fisiche non sono ottimali. Non riesce ad allenarsi con continuità e questo alla lunga condiziona — di nuovo — il ragazzo che in quanto a velocità e guizzo sotto porta non è secondo a nessuno. Poi ci sono i numeri, e su quelli c’è poco da discutere: esordio in Champions… gol! Ha segnato da fuori area dopo due anni (Empoli-Inter, 0–2, annata 2016). I gol di Maurito contano quasi il 50% di quelli messi a segno dalla squadra. E’ un finalizzatore. Punto. La squadra deve essere consapevole che lui non c’è quando hanno bisogno di sbocchi a livello di gioco. Ma deve essere altrettanto certa che in quell’area (o nelle vicinanze), a finalizzare tutto quanto lui c’è.

Vecino… did it again!

Col commento di Trevisani e Adani che, a quanto pare, ha destato non poche polemiche ( in effetti era dai tempi dell’impareggiabile “abbracciamoci e vogliamoci tanto bene!” di Caressa e Bergomi a Berlino che non si sentiva una roba così in un commento di una partita di calcio… Bisteccone Galeazzi è orgoglioso di voi, ragazzi!).

Oops, He did it again…

Era Maggio inoltrato, l’Inter si giocava 40 milioni di Euro, la partecipazione alla Champions League dopo sei anni, ed il fungo atomico. Due volte in svantaggio, psicodramma che si materializza, lunghe, lunghissime passeggiate nell’area tecnica e forse anche su qualche spiaggia toscana, poi il pareggio e a dieci minuti dalla fine ancora Matias Vecino, di testa, a determinare. Ora, questo Vecino, in questa Inter, non può andare in panchina. Ha troppa condizione atletica rispetto ai compagni di squadra (eppure i Mondiali, da titolare, li ha giocati anche lui…); ha impatto fisico, e, come detto sopra, decide le partite. Poi certo, anche lui è un confusionario, fa tanti errori, ha il temperamento che a volte lo frega, però, in un certo tipo di struttura di squadra, con queste caratteristiche e con i limiti che l’Inter di oggi evidenzia, non può essere tenuto giù.

Non è tutto oro quel che luccica

L’attività difensiva dell’Inter ieri sera (courtesy of Stats zone)

La partita di ieri dell’Inter ha confermato le mie convinzioni su come dovrebbe giocare questa squadra (Cristo, siamo 57 milioni di commissari tecnici e io non colgo l’occasione di travestirmi da Ct??). Di rimessa. Con tanto campo davanti. Il filosofo di Certaldo, nei lunghi soliloqui nell’area tecnica, vuole piegare le caratteristiche dei suoi giocatori ad un gioco moderno e da “grande”. Questo è quello che fanno le grandi squadre: attaccano alte, invadono la metà campo avversaria, fraseggiano, non buttano via il pallone, se non c’è sviluppo su un lato “si torna indietro e si cambia versante”. Si fa possesso, perché “se il pallone ce l’ho io, gli avversari no, ed è molto più probabile che un qualcosa di buono ne venga fuori”. Lo so, caro Luciano, questo è l’imprinting dei top teams in Europa. E giustamente, l’Inter ambisce ad esserlo. Due le domande: una volta giunti nell’ultimo terzo di campo, chi è quello che si assume la responsabilità di fare la “giocata” in spazi intasati? Chi è il direttore d’orchestra che detta i tempi di esecuzione? Non c’è. Brozovic (ieri gladiatorio ed ormai titolare consolidato) ha personalità, cattiveria, ma i tempi di gioco non li ha nel suo cervello calcistico (Modric, dove sei?). Per come vedo questi giocatori, più hanno campo davanti e più sono in grado di decidere le partite: Perisic (un fantasma), Politano (discreto, mi è piaciuta l’intraprendenza), Candreva (non male, anche se fatto giocare a sinistra — come Keità a destra — è un’aberrazione)e pure lo stesso Ninja (la squadra non sa come trovarlo tra le linee e lui non sa ancora “dove si trova”, oltre al fatto che al 70' è cotto) danno il meglio quando hanno spazio per puntare, dribblare, tirare o crossare. Hanno forza, potenza, rapidità… tutte caratteristiche che mal si sposano con spazi intasati. Per non parlare (e torniamo al solito refrain) che la punta centrale non dà linee di passaggio (nel primo tempo di ieri sera, Spalletti ha dovuto abbandonare la fase introspettiva e urlare come un ossesso a Icardi e Naingoolaan di provare a dare uno sbocco “sul lungo” al povero Skriniar, mandato al “massacro” da terzino destro… un pesce fuori d’acqua, anche se il giocatore ha qualità calcistiche e di applicazione mentale, innate). Anzi, come detto, più a Icardi (al top della forma, indendiamoci) concedi l’intera area di rigore, e più lui è decisivo. Poi capisco che, contro squadre chiuse (vedi la partita contro il Parma), avere tanto campo davanti è impossibile. Capisco la problematica, ma un gioco più verticale (tenuto conto che tre quarti della difesa in linea — De Vrij, Skriniar e Asamoah — sono delle garanzie), meno “complicato”, anche in quel caso potrebbe aiutare. L’Inter può essere grande nel suo essere diversa, anche nei concetti di gioco. Se si vuole fare, come fanno tutte le miglior d’Europa, allora servono giocatori diversi. Non uno o due. Molti di più.

Tottenham being Tottenham

Il Tottenham ha un problema. Grosso. Connaturato a questa squadra e che si evidenzia non da oggi. Non finisce le partite. Non le chiude… E perde! Sempre Adani, prima che svaccasse al minuto ’93, durante la telecronaca ha detto una grande verità “il progetto Tottenham va avanti da cinque anni. Negli ultimi tre hanno fatto: terzo, secondo, terzo in Premier”. Dunque, gli Spurs, obiettivamente sono apparsi più squadra rispetto agli avversari. Hanno questa confidenza nel giocare palla (sempre in riferimento, anche, a quanto sostenuto poc’anzi sul gioco dei nerazzurri) dal basso senza mai scomporsi. Hanno Christian Eriksen che a giocare a questo sport è un califfo come pochi, perché costruisce, gestisce palla come pochi, ed ha la capacità (anche se ieri il “Signor Culo” ci ha messo un bello zampino) di finalizzare pure. Per non parlare di Harry Kane che è un attaccante totale, anche se ieri ha sulla coscienza un gol clamoroso sbagliato nel primo tempo. Ecco, diciamo che il Tottenham è tutto ciò che l’Inter vorrebbe essere ma non PUO’ essere. Però… c’è un però: il Tottenham puntualmente, sistematicamente, proditoriamente tira un calcio al secchio del latte appena riempito. Lo ha fatto l’anno scorso contro la Juventus (vi ricordate i 10' di totale sbando nel secondo tempo della partita di ritorno degli ottavi?). Lo ha rifatto ieri dal pareggio dell’Inter in poi. Prima, non ha avuto la cattiveria di andarla a chiudere. Il Coco Lamela troppo specchiato, anche se a colpi non si discute; di Kane abbiamo detto; Lucas Moura, che ha messo in un frullatore Skriniar ma che, poi, non è riuscito a finalizzare. Manca sempre un centesimo per fare il fatidico dollaro a White Heart Lane. E dopo aver vinto dominando ad Old Trafford la squadra si è persa. Forse anche colpa in questo caso di un manager, Mauricio Pochettino, bravissimo, modernissimo, ma che ha forse fatto una Wengerata: è andato più avanti del gioco che allena, cercando cambi di modulo, soluzioni avveniristiche, che hanno tolto certezza ai suoi. E la stanno pagando.

Quel cambio alla fine…

Un paio di statistiche interessanti. Il Tottenham ha completato 437 passaggi contro i 350 dell’Inter, ma solo 86 (rispetto ai 115 degli avversari) nell’ultimo terzo di gioco. Segno che, a fronte di un fraseggio e di una capacità di possesso palla estremamente accentuato, la squadra ha concretizzato poco nell’ultimo terzo. Questa “deficienza” statistica è stata sopperita dai 15 take ons (a 10) dei ragazzi in bianco che quanto a puntare gli avversari (vedi Son, Moura, Eriksen e Lamela) non sono secondi a nessuno. Quello che però risalta è il cambio (sull’1–1) deciso da Pochettino: giù Kane (esausto) e dentro Rose. Un terzino per una punta. Il classico cambio per portare a casa il punto (Klopp ad Anfield, sul 2–2 ha tolto Salah e messo Shaquiri… ha vinto!) rinforzando la difesa. Il classico cambio che gli Dei del Football sistematicamente puniscono. Il Tottenham con 8' minuti ancora da giocare (una vita), ha deciso di rimanere “a casa” e di rinunciare ad andare a fare male. L’Inter, Spalletti, Borja Valero e tutto San Siro l’ha capito ed ha spinto la squadra. Da Pochettino non mi sarei mai aspetto un cambio così psicologicamente debole; ma questo segnala che nella parte Nord Est di Londra ci sono molte meno certezze di un mese fa e molti punti interrogativi in più.

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Nicola Bonafini
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journalist, blogger, writer, media manager, editor. Sports, mainly… but not only. Italian is my language, English is my passion