A proposito di antiscienza

Sì, affidiamoci alla scienza. Ma tutta, però.

Massimo Giuliani
Tutto è relazione
5 min readJul 19, 2021

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Qualche sera fa in TV un noto filosofo e psicoanalista affermava che chi non si convince a vaccinarsi (mettendoci dentro no-vax dichiarati e persone in varia misura e a vario titolo indecise e perplesse, senza nessuna distinzione) ha “bisogno di cure” perché “nega l’evidenza” (e citava a supporto Freud, fra gli sghignazzi e le strizzatine d’occhio dei conduttori e del medico ospite), allo stesso modo in cui uno insiste “che la mia camicia è rossa mentre è blu” (era celeste, ma transeat).

Non mi soffermo qui sulla pretesa di convincere qualcuno dandogli dello psicotico né sulla furbata di continuare a mettere tante realtà differenti nello stesso schieramento del “nemico”: siamo riusciti a saldare complottisti e incerti, antiscienza e persone spaventate (e magari possibiliste), in un fronte che prima non esisteva. Complimenti, ma andiamo oltre perché tanto il danno è fatto, e da un pezzo ormai.

Evito anche di fermarmi sull’ingenuità per cui si prende come esempio di realtà oggettiva e incontrovertibile il colore di un oggetto (i colori non esistono, se non come misura esatta di un valore d’onda, e c’è persino gente che vede colori diversi dal filosofo senza che arrivino gli infermieri con la camicia di forza), ma facciamo che l’esempio abbia senso e tiriamo dritto.

Diciamo invece dell’incomprensibile dabbenaggine di certe sentenze (incomprensibile perché non mi spiego come mai trovo lo stesso argomento nelle litigate sui social e da parte di gente che dovrebbe saperne qualcosa).
Le due affermazioni “non credo che la tua camicia sia blu” e “non credo che il vaccino mi salverà la vita” (o persino “non credo che tanta gente sia morta di Covid-19”) non sono in nessun modo comparabili. La prima nega un dato di realtà direttamente esperibile, la seconda no. Non abbiamo visto direttamente morire decine di migliaia di persone, la pandemia non è un evento che si è svolto sotto i nostri occhi, è un evento di cui abbiamo notizia da fonti. Quello che possiamo aver visto direttamente è il passaggio delle ambulanze, la malattia e anche la morte di qualche persona vicina, o possiamo aver ascoltato il racconto di qualche medico. Possono richiudermi se nego che le persone che ho visto morire siano morte, quello sì. Ma nessuno di noi ha visto la “pandemia” o il “virus”.

Che la camicia sia celeste lo affermo perché lo vedo; che siamo in una pandemia lo dico (e agisco di conseguenza) perché me l’hanno detto e ci credo. Tanto meno ho esperienza diretta che il vaccino salvi le vite. Ho dei buoni motivi per crederci, mettiamola così. Diciamo che, per una serie di ragioni, fra il crederci e il non crederci mi pare più ragionevole (e sì, anche più supportata) la prima alternativa. Ci credo perché ho trovato delle buone ragioni per fidarmi. Ragioni che non sono nemmeno così incontrovertibili come “la camicia è blu”; sono in gran parte soggettive e in relazione con la mia storia, come il mio rapporto con la scienza, il mio rapporto con l’autorità, il mio rapporto con la cura. E, in fondo a tutto, dal momento che la fiducia è una relazione e non una “cosa”, molte di quelle ragioni riguardano anche il soggetto che parla: se decido di non fidarmi non è soltanto perché sono malfidente (o matto): può darsi che quella persona fino ad ora abbia fatto poco per aiutarmi a fidarmi, può darsi che abbia parlato in un modo confuso o in modo poco rispettoso della mia ignoranza (ho il diritto di essere ignorante, almeno in qualche materia).
Perché un intellettuale che evidentemente non è sprovveduto sull’argomento (come invece lo erano i conduttori del programma) gioca su queste ambiguità? Perché fa quest’uso delle parole?

Nel suo furore scientista (mi premettete almeno di chiamare così la posizione di chi sostiene pubblicamente che chi non crede alla scienza — anzi no, chi non fa subito e con entusiasmo quello che prescrive la scienza — è matto?), quello studioso calpestava concetti scientifici che pure per lui sono certamente ovvi.

La scienza non è soltanto quella che fa ricerche quantitative e maneggia provette in laboratorio (si potrebbe aggiungere che anche questa raramente è quantitativa, e quando lo è ne definisce i margini di errore e di variabilità; ma abbiamo deciso di non andare troppo per il sottile). È anche quella che con un approccio qualitativo fino ad oggi ci ha dato delle buone idee su come funzionano le relazioni e le faccende umane. In quest’ottica la questione della fiducia è studiata da anni dal punto di vista intrapsichico, neuropsicologico, psicosociale, relazionale. Da qualunque di questi punti di vista, affermare che chi non si fida è matto non ha senso; e se proprio insistete a dargliene uno, resta comunque il modo migliore per chiudere la questione senza capirci niente.

Tutto questo in un programma tv dedicato al come “persuadere” le persone a vaccinarsi, ovvero — secondo le parole della giornalista conduttrice — come “fare in modo che le persone trovino desiderabile” vaccinarsi. Nessuno che metta in discussione il paradigma della “persuasione” e che suggerisca che il non è una questione di persuasione ma di fiducia. Che — scientificamente, diciamo — è quella roba per cui la prima cosa da fare è non dare del matto all’interlocutore.

Io non mi arrabbio quando leggo sui social “hanno paura del vaccino, non hanno paura della pillola, che fa anche più male”. Mi arrabbio quando lo dice gente da cui mi aspetto un certo rigore scientifico nell’uso delle parole. La scienza è anche quella che studia il modo in cui le persone scelgono, il modo in cui conducono i loro processi decisionali.

Capisco anche che per l’aria che tira la psicologia non sia abbastanza scientifica soprattutto quando non usa tanti numeri: ma i processi decisionali sono oggetto di studio a cavallo fra psicologia ed economia. L’economia diventa un argomento scientifico solo quando dobbiamo prendercela in tasca?

La scelta di assumere la pillola è supportata dall’esperienza diretta che qualunque utente ha delle conseguenze visibili del suo uso (visibili domani, e visibili direttamente). La scelta di ricorrere a un farmaco che mi dà buone probabilità di salvarmi, da moltiplicare per le probabilità di contrarre la malattia, è un processo psicologico del tutto diverso e non paragonabile. C’è un’enorme letteratura scientifica che lo spiega a tutti quelli che non vogliono confondersi con gli anti-scienza.
Allora, affidiamoci veramente alla scienza. Ma tutta, non solo quella che ci torna utile per avere la meglio sull’interlocutore di quel momento.

E poi vaccinatevi. Fatelo per la salute e per far tacere tutto questo chiacchiericcio, questo sì gravemente antiscientifico perché pretende di difendere le fedeltà a qualche tipo di scienza.

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Massimo Giuliani
Tutto è relazione

La cura e la musica sono i miei due punti di vista sul mondo. Sembrano due faccende diverse, ma è sempre questione di suonare insieme.