Accontentarsi dell’onestà

strelnik
Un mestiere che va a finire
2 min readOct 7, 2014

2. del sedersi e godere del già fatto

“Gleanings in bee culture” (1874) via Internet Archive Book Images

Tradurre “fart around” con “Scorreggicchiare in giro” non è stata una gran trovata, lo ammetto: “cazzeggiare in giro” o semplicemente “cazzeggiare” sarebbe stato meno letterale e più adatto. Ma l’immagine dell’andare in un posto — specialmente al chiuso — guardarsi intorno, assorbire un po’ di conversazioni o rumori di fondo e poi zitto zitto mollare una renza e andarsene rendeva meglio il carattere di Jino. Anche se non sono sicuro al 100% che abbia letto Vonnegut o conosca quella frase.

Quello di cui sono sicuro è che il dialogo è avvenuto davvero una decina di anni fa in un bar della Toscana. Il barista in questione in realtà era una donna e alcune delle risposte di Jino erano molto più colorite di quelle riportate. Jino non si era fatto scrupolo di essere più gentile perché sapeva che la barista erano mesi che straparlava appoggiata dall’orlo del bancone: quel Jino “sempre al barre”, mai una volta che lo avesse visto sporco o stanco a fine giornata. E quei discorsi strampalati sulle vespe — o le api? La barista si confondeva sempre — che sono i vizi a tenere in piedi tutta la baracca.
“I ricchi sperperano così i poveri hanno da lavorare.” Discorsi come questo la mandavano in bestia. Jino diceva che era perché si rendeva conto di appartenere alla categoria dei poveri, lei che si considerava padrona del bar e del suo destino. Il culmine dell’incazzatura veniva raggiunto con risposte da parte di Jino del tipo: “Sei troppo industriosa, dovresti rallentare un bel po’ e goderti la vita nella sua grossolana abbondanza.” Lì la barista non ci vedeva più e per non urlargli in faccia, si girava di scatto ficcandosi nel retrobottega dove su una minuscola scrivania si metteva a spulciare conti e fatture, immergendo i neuroni bollenti nel freddo succedersi di entrate e uscite — specie quelle segnate in un quaderno con la copertina di Hello Kitty, quello dove teneva il nero.

Siccome, oltre a essere il protagonista del racconto, Jino è anche e specialmente un amico, provare a definirlo con qualche arguta etichetta mi parrebbe brutto. Se proprio dovessi usare questo artificio per descriverlo, direi che è un incrocio tra un acuto epicureo e un astuto free rider sociale. Lui a sentire una cosa simile mi guarderebbe in faccia e mi direbbe qualcosa come: “e secondo te ora dovrei mettermi a sfogliare un vocabolario per capire cosa hai detto?” E farebbe bene.

Sulla storia delle api ci ritorniamo sopra tra un po’, prima c’è da parlare di rane che saltano.

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