Tech food for thought. Intervista alla Quarta rivoluzione industriale

L’evoluzione esponenziale delle capacità di calcolo delle macchine e l’applicazione dell’intelligenza artificiale ai processi di automazione hanno effetti profondi sul modo in cui viviamo, pensiamo e lavoriamo. Per raccontare il cambiamento servono anzitutto buone domande.

matteo scanni
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8 min readNov 6, 2017

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Quando nasce un nuovo giornale bisogna sempre stappare la bottiglia migliore. A Modena, dove il cibo è religione, ancora si usa festeggiare la venuta al mondo delle figlie femmine allestendo acetaie in soffitta. Piccoli barili di dimensioni decrescenti vengono collocati l’uno accanto all’altro a formare quella che nella tradizione si chiama “batteria”, e all’interno di queste botticelle profumate di ginepro, rovere, faggio e castagno, il vino — un mosto di trebbiano e lambrusco cotto alla fiamma — subisce un lento processo di invecchiamento, trasformandosi in aceto balsamico dopo un decennio buono di amorevoli travasi da una barrique all’altra.

Con il compimento della maggiore età, la batteria va poi in dote alla figlia femmina, cui spetta il compito di custodirne il contenuto e trasferirlo alla generazione successiva.

maize — Tech food for thought merita una bottiglia d’annata. Non tanto perché la nascita di un giornale — di un’intera piattaforma digitale in questo caso — riguarda genitori, cugini e parenti lontani come naturale fatto di sangue, ma piuttosto per il compito che cerca di svolgere: esplorare il territorio dove un’ondata di nuove tecnologie dalla portata difficilmente misurabile incrocia le nostre strutture sociali e di pensiero, potenziandole, disintegrandole, comunque modificandole. La Quarta rivoluzione industriale, insomma.

Intelligenza artificiale, internet of things, reality+, cloud computing, big data, robotica, cybersecurity, self driving cars, quantum computing, smart cities: è un tema filosofico, capire che inevitabile futuro ci aspetta, un esercizio che richiede anzitutto la capacità di porre buone domande. E dove, anzi, le domande contano più delle risposte, considerata la velocità con cui evolvono le tecnologie dell’Industry 4.0. Ecco perché abbiamo creato maize.

Raymond Kurzweil è un inventore e informatico statunitense. Le sue previsioni a breve e lungo termine sullo sviluppo delle nuove tecnologie — in particolare nel campo dell’Intelligenza artificiale — si sono spesso dimostrate fondate.

Quanto crescerà la potenza computazionale delle reti neurali? E’ etico attribuire un punteggio all’insieme delle nostre relazioni sociali, come già accade in Cina? Riusciremo a produrre insetti-cyborg per eliminare silenziosamente il nemico? Ha senso impiantarsi dei circuiti sotto pelle per espandere le capacità cognitive? Potremo mai essere gli unici padroni dei nostri metadata? I chatbot sono il futuro dell’informazione o un gigantesco hype? Esiste un metodo per prevedere l’andamento dello sviluppo tecnologico? Le intelligenze artificiali daranno prova di pensiero morale?

I robot ruberanno il lavoro all’uomo? Come tasseremo i profitti delle Corporation che godono di una libertà d’azione immensa sui mercati e dispongono di un vantaggio competitivo abissale sulla concorrenza? Saremo in grado di ridistribuire una frazione di questa ricchezza a chi ha poco o niente? E’ ingenua utopia il concetto di Universal Basic Income? Saremo noi la classe inutile degli “inoccupabili” di cui parla lo storico israeliano Juval Noah Harari? Siamo in grado di controllare l’evoluzione degli intelletti sintetici se nessuno, allo stato attuale, può dire come si comportano gli algoritmi più avazati?

La lista delle domande è infinita.

A essere onesti, nessuno sa che piega prenderanno le cose, anche se in alcuni settori abbiamo delle avvisaglie. Consideriamo una delle questioni più dibattute: l’automazione è nemica del lavoro umano?

La linea di produzione della William Doxford & Sons Ltd, uno dei più antichi cantieri navali inglesi (1957).

Tony Andrew su Quartz ha fatto un buon punto. La tesi di fondo è che i robot non potranno svolgere tutti i lavori al nostro posto. Certo, i giovani tra i 16 e i 25 anni temono gli effetti di un’applicazione estensiva delle nuove tecnologie. Certo, alcuni studi sostengono che l’impiego di mezzi elettronici che non prevedono il controllo umano minaccerà circa il 47% dei posti di lavoro negli Stati Uniti e l’85% nel resto del mondo. Secondo alcuni economisti, però, questa visione dell’automazione è parziale.

Il cuore della faccenda sarebbe un altro. “Se la crescita della produttività è tale da rilanciare la domanda — spiega Jim Bessen, docente di Economia all’Università di Boston —, il risultato potrebbe essere la crescita dei posti di lavoro”. E’ quanto sostiene anche la Harvard Business Review, secondo cui tra il 1995 e il 2005 l’automazione ha determinato una crescita appena dell’1% in Europa, negli Stati Uniti e in Giappone.

Prendiamo il settore bancario — propone Andrew — : l’introduzione dei bancomat ha provocato il licenziamento di milioni di cassieri? Niente affatto. Tra il 1980 e il 2010, il numero di addetti negli Stati Uniti è passato da 100 mila a 500 mila. La digitalizzazione dei processi produttivi non sempre segue strade lineari.

Un distributore di bitcoin, la criptovaluta creata nel 1999 da Satoshi Nakamoto.

Quali sono le frontiere della vita? Harari annota che per 4 miliardi di anni gli organismi presenti sulla terra si sono evoluti secondo le regole della selezione naturale. Ma oggi l’ingegneria genetica ci permette di cambiare le regole del gioco. Nel 2000 il bioartista brasiliano Eduardo Kak ha creato Alba: un coniglio fosforescente verde. È stato sufficiente impiantare il gene di una medusa fluorescente nell’embrione di un coniglio. L’operazione è stata eseguita da un laboratorio francese per una modesta somma di denaro.

Fino a che punto siamo disposti a sperimentare pur di aumentare le capacità fisiche e cognitive ed eliminare aspetti indesiderabili della condizione umana come la malattia?

Eduardo Kak con alcune delle sue “opere” artistiche. Al centro il conoglio Tansgenico Alba, creato nel 2000 in collaborazione con il genetista francese Luis-Marie Houdebine usando i filamenti fosforescenti della medusa Aequorea victoria.

Cosa accadrà davvero con l’arrivo delle self-driving cars? Secondo alcuni studi, entro il 2040 circa il 75% delle autobin circolazione sarà completamente autonomo. Come conseguenza, gli incidenti diminuiranno del 90%. Nei soli Stati Uniti, questo salverebbe un numero di vite pari a dieci attacchi dell’11 settembre, con un risparmio evidente sul piano sanitario e assicurativo. L’applicazione dell’Artificial intelligence al settore del trasporto distruggerà alcuni lavori esistenti (tassista) e ne creerà di nuovi (responsabile del servizio di renting di auto condivise dai pendolari). Ma è solo l’inizio.

Per comprendere la trasformazione che ci circonda occorrono punti di vista autorevoli, angoli, tagli, interpretazioni affidabili lontane dal ritmo della cronaca. È questa l’idea di maize: raccontare l’incontro tra uomo e tecnologia interrogando le menti più brillanti della nostra epoca. Filosofi, economisti, scienziati, giornalisti, imprenditori, tutti accomunati da un’esperienza profonda delle cose. Senza una guida esperta, in grado di fornirci il contesto in cui si inseriscono le “exponential technologies”, rischiamo di fermarci alla superficie, di annegare nel mare di notizie tutte uguali e tutte urgenti, tutte quotidianamente apocalittiche.

L’IBM 5150, uno dei primi personal venduti sul mercato.

Parlo per esperienza diretta. Ho visto per la prima volta un personal computer nel 1982 e non ci ho capito niente. Un incontro mancato. Era un IBM 5150, privo di mouse e hard disc. Ne sono sicuro perché l’anno e il modello coincidono, ho controllato. Al seguito di mio padre, in visita a un amico che all’epoca frequentava il laboratorio di informatica dell’Università di Trento, venni accompagnato al cospetto di una scatola di plastica sormontata da uno schermo verde, greve e tozzo come un microonde, in grado di eseguire un’unica operazione sensata ai miei occhi di dodicenne: la stampa su fogli a modulo continuo di brevi testi scritti a video. L’investimento — cinque milioni pagabili a rate — mi parve un’enormità, un capriccio ingiustificabile. Non fui in grado di guardare oltre.

Stessa scena nel 1995, durante una visita ai laboratori Infn del Gran Sasso. Prima di raggiungere le gigantesche “camere” sotterranee che ospitavano gli esperimenti (uno era Gallex, se non erro), l’amica ricercatrice che questa volta mi accompagnava si fermò un attimo alla sua scrivania, accese il terminale e mi mostrò come caricare e scaricare testi scientifici, articoli e paper da internet. Il Browser era Mosaic, i tempi di download eterni. La procedura mi apparve noiosa. Intuii qualcosa senza però afferrare. A chi potevano interessare tutti quei documenti? Ancora una volta non mi era stato detto dove guardare, così dimenticai in fretta.

Una veduta dei laboratori del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. A destra, la schermata non esattamente “user friendly” di Mosaic.

Paradossalmente mi impressionò molto di più lo stile di vita ossessivamente salutista dei giovani ricercatori provenienti da mezzo mondo che avevano colonizzato l’abitato medievale di Assergi. Mentre noi dormivamo, loro lasciavano le case all’alba per andare a scalare, sciare pedalare sulle falde della montagna, dando un tocco di California a un paese di pietra e pecore.

Per la seconda volta, la storia mi passava sotto il naso senza che io la vedessi. Ma è quel che capita se nessuno ti offre una spiegazione e un contesto. maize vuole prendersi il tempo per farlo, con punti di vista forti e angoli inediti.

Al centro dell’indagine di maize non c’è la tecnologia in sé, ma la sua portata, le sue estreme conseguenze. Poco interessa se nel giro di dieci anni tutte le superfici si saranno trasformate in schermi, se le auto non saranno più in vendita ma in leasing, se ogni aspetto della nostra vita sarà tracciabile da smartphone, se comunicheremo con tutti i nostri devices attraverso gestures e comandi vocali. O meglio, interessa, ma non basta. Tutto questo rappresenta l’aspetto più folcloristico della vicenda, l’involucro esterno.

maize nasce per fare domande affilate e diventare un luogo di discussione, ispirazione, aggiornamento, riflessione. Il compito della redazione è proprio quello di mettere il dito sul punto in cui il cambiamento si compie, nel bene e nel male. Un collettivo di voci internazionali indaga con autorevolezza l’impatto delle exponential technologies sulla vita umana.

Che faccia avrà il nostro inevitabile futuro, lo spiegano su maize grandi firme come Barak Berkowitz, Strategy Director del MIT Media Lab, Robert Wolcott, Executive director del Kellog Innovation Network (KIN), i fratelli Jochen e Alexander Renz, tra i maggiori esperti nel settore della mobilità, Menny Barzilay, autorità del campo della cybersecurity, Sridhar Iyengar, fondatore di Misfits ed Elemental Machines, pioniere nel settore dell’IoT. Solo per citarne alcuni. Ogni settimana maize propone analisi e approfondimenti organizzati in una varietà di formati: articoli di scenario, interviste, report, brevi saggi, mini documentari, podcast e infografiche. Con l’intento di scavare a fondo.

Non sappiamo davvero quale cambiamento produrranno l’applicazione estensiva dell’intelligenza artificiale, la robotica, l’internet of things o la diffusione di veicoli senza guidatore. Il modo migliore per avvicinarsi a questo futuro è attraverso le giuste domande. Chiedere, di questi tempi, è forse più importante che rispondere.

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