Immersive Experiences

Come i brand possono creare esperienze trasformative e memorabili per il proprio pubblico

Moreno Callegari
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14 min readFeb 11, 2021

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L’attuale pandemia legata alla diffusione del virus COVID-19 ha mutato radicalmente la nostra quotidianità, sia in qualità di individui, che di consumatori e membri di una comunità.

Anche nel nostro lavoro, quello che è successo ci ha portato a ripensare molte cose che facciamo. Abbiamo iniziato a riflettere su come il mondo delle esperienze immersive, e in particolare quelle ad alto tasso culturale e artistico, è mutato e muterà ancora, e su come vogliamo porci in relazione a questi mutamenti.

Il mondo delle esperienze fisiche ha subito un forte arresto nel 2020 e l’impossibilità di organizzare eventi in presenza proseguirà ben dentro il 2021.

Così come qualsiasi altro provider di esperienze, ci siamo quindi nuovamente interrogati su cosa significhino concetti come “immersività” e come si possa essere immersivi pur in assenza di un corpo e di uno spazio fisico.

Immersive Experience Design

Il valore dell’Experience Economy è ormai riconosciuto da tempo: da un’economia fondata sul prodotto si è passati a una fondata sui servizi, da cui conseguentemente ci si è focalizzati su un approccio che ha riconosciuto (all’inizio con un po’ di fatica) il valore inedito delle esperienze.

“…in a world saturated with largely undifferentiated goods and services the greatest opportunity for value creation resides in staging experiences”.

In H-FARM ci occupiamo da tempo della creazione di esperienze immersive fondate sui valori dei brand.

Trattandosi di un ambito di indagine sconfinato (per il quale rimandiamo al caposaldo The Experience Economy di Pine e Gilmore, pubblicato per la prima volta nel 1999 e riedito nel 2011), vogliamo qui focalizzarci sul nostro punto di vista: Cos’è per noi un’esperienza immersiva e in che modo può portare valore ai brand?

Il 2020 ha portato consiglio e ci ha permesso di riflettere più e più volte su questo argomento: dall’organizzazione di esperienze fisiche immersive ad alto tasso culturale alla richiesta di un loro ripensamento in ottica virtuale, dalle riflessioni su eventi offline e online alla creazione di eventi totalmente digitali (sia per i nostri clienti che per l’organizzazione del primo maize.LIVE 100% virtuale).

Ci sentiamo quindi di aver maturato una coscienza sufficientemente articolata sul tema, che di qui in avanti definiremo Immersive Experience Design.

Costruiamo esperienze autentiche per i brand

Se con “esperienza” intendiamo un evento o un avvenimento che lascia un’impressione su qualcuno, con l’aggiunta dell’aggettivo “immersivo” vogliamo insistere sul ruolo del pubblico che partecipa all’esperienza, sull’importanza che le sue scelte possono assumere e sulla centralità della trasformazione dell’utente come fine ultimo dell’esperienza.

Quando parliamo di esperienze immersive promosse da un brand, intendiamo innanzitutto la creazione di una dimensione in cui non si parla necessariamente del brand, ma in cui esso è promotore, curatore, deus ex machina di un viaggio trasformativo per l’utente, alla scoperta di un mondo nuovo.

Giandomenico Tiepolo, Il Mondo Nuovo, 1791, affresco, Ca’ Rezzonico (Venezia). Una folla indistinta di spettatori attende il proprio turno accalcandosi attorno a uno spettacolo misterioso.

Le esperienze immersive servono a portare l’utente (il consumatore, il dipendente, …) dentro una dimensione nuova, di scoperta, in linea con i valori dell’azienda e la storia che vuole raccontare.

Il nostro approccio mira a creare uno spazio dove permettere al brand di esprimere valori, concetti, mondi alternativi e, più in generale, la propria visione sulle cose. In un’epoca in cui essi diventano sempre più dei punti di riferimento (anche di senso) per le nuove generazioni, aumenta ancor più il loro bisogno di definire un manifesto di chi sono e delle posizioni che prendono.

I brand necessitano di una carta estetica e valoriale e di lavorare alla creazione di uno spazio sperimentale nuovo, non conosciuto in precedenza, dove è possibile osservare le persone interagire, cercare, emozionarsi, affrontare le proprie paure, crescere e trasformarsi. Ne consegue che questo spazio può anche diventare un’opportunità per le aziende di conoscere e studiare cosa gli utenti vogliono o cercano e come reagiscono, oltre che fungere da opportunità per rendere tangibile un immaginario e poterlo condividere.

“…this generation not only highly values experiences, but they are increasingly spending time and money on them: from concerts and social events to athletic pursuits, to cultural experiences and events of all kinds. For this group, happiness isn’t as focused on possessions or career status. Living a meaningful, happy life is about creating, sharing and capturing memories earned through experiences that span the spectrum of life’s opportunities.”

Tipi di esperienze immersive

Un’esperienza, al pari di uno spettacolo teatrale, necessita di una messa in scena. La sua natura non ha tanto a che fare con il tangibile o l’intangibile (e quindi con il suo essere fruita offline od online), quanto con il suo essere memorabile.

Secondo Daniel Kahneman, premio Nobel e fondatore della Behavioral economics, c’è una differenza tra l’esperienza in sé e il nostro ricordo di essa. Il cosiddetto “experiencing self” conosce solo il momento presente, mentre il “remembering self” è uno storyteller, che usa i ricordi, i suoni, gli odori e le sensazioni tattili per ricreare una nuova esperienza potenziata nella sua mente.

“Odd as it may seem, I am my remembering self, and the experiencing self, who does my living, is like a stranger to me.”

Per questo motivo è fondamentale che ogni esperienza progetti accuratamente gli elementi che la renderanno memorabile.

Se quindi un’esperienza immersiva crea uno spazio sperimentale (cui l’utente può accedere compiendo un patto, come di fronte a un qualsiasi prodotto artistico), come sarà questo spazio e quali caratteristiche avrà?
Potrà essere:

  • Il ripensamento di uno spazio reale in vista di una nuova narrazione.
  • Qualcosa che simula la realtà (ad esempio, può far uso delle tecnologie VR e AR per far vivere un’esperienza pur in assenza di una realtà precostituita o ricostruendo una realtà di partenza).
  • La messa in scena di un possibile mondo futuro (Future Envisioning).
Per un cliente del mondo luxury abbiamo organizzato un’esperienza immersiva all’interno di una residenza inglese per permettere al pubblico di entrare in contatto con la storia e i contenuti della location.
Per un lancio di prodotto, Nike ed AKQA hanno chiesto a una serie di artisti di disegnare le scarpe Air Max su alcuni murali iconici di São Paulo, trasformandoli in un’esperienza di acquisto immersiva.
Le isole Faroe hanno avuto un’idea originale per fronteggiare la crisi della pandemia. Come in un videogame, l’utente può controllare i movimenti di un vero isolano in esplorazione dell’isola.
In questo particolare momento storico, in cui la mobilità delle persone è limitata, le visite virtuali diventano ancora più rilevanti quando ripensiamo al ruolo dei luoghi della cultura. Musei, biblioteche, fondazioni di tutto il mondo danno ai visitatori l’accesso ai loro spazi in modo alternativo, sotto forma di tour virtuali, contenuti video o podcast che danno voce ai curatori, mostre temporanee ed eventi site-specific.
Sensorium è un’exhibition interattiva con sei installazioni che abbiamo progettato e realizzato per il Gucci Hub di Milano, in occasione dell’evento Fast Company “The Dawn of AI”. Il suo obiettivo principale è stato esplorare gli aspetti che distinguono uomo e macchina e guidare i partecipanti alla scoperta dei sensi e delle emozioni umane utilizzando tecnologie avanzate per amplificare o misurare le emozioni.
Per Expo Dubai 2020 abbiamo realizzato il concept per un padiglione che aveva l’obiettivo di far comprendere ai visitatori il ruolo centrale e il potenziale trasformativo dell’educazione. Uno spazio verde immersivo dove il corso naturale della crescita viene raccontato attraverso una serie di installazioni, proiezioni ed esperienze interattive pensate per stimolare le emozioni, coinvolgere i sensi, creare consapevolezza e aprire la mente verso nuove opportunità.
Cos’è l’innovazione se non inseguire qualcosa che ancora non esiste? Dicembre 2020: da evento fisico, maize.LIVE si trasforma in un nuovo tipo di esperienza virtuale. Per tre pomeriggi abbiamo “invaso” gli schermi di centinaia di partecipanti, esplorando i concetti di tempo, fiducia e felicità insieme a ospiti internazionali. Durante i live panel abbiamo lasciato che la conversazione fosse diretta dalle domande del pubblico, che veniva opportunamente provocato da contributi scritti, diretti (e interpretati) dal nostro staff, volti a fare emergere i più comuni cliché legati all’innovazione.

Abbiamo realizzato diverse tipologie di esperienze (sia fisiche che digitali) e oggi siamo in grado di definire alcuni punti fissi, per noi imprescindibili.

Pubblico, curatore, contenuto

Innanzitutto, per poter esistere, un’esperienza ha bisogno di un tempo e di uno spazio, la cui combinazione crea una dimensione. L’esperienza può avvenire in una dimensione reale o in una dimensione virtuale. Ciascuna di queste dimensioni ha delle caratteristiche peculiari che l’altra non ha (ad esempio, solo la dimensione virtuale può offrire elementi come l’omnicanalità, mentre entrambe necessitano di essere coerenti con la brand identity ed entrambe devono risultare memorabili nella percezione dell’utente).

Spazio e tempo conducono anche a delle tensioni che è necessario definire per la creazione di un’esperienza: Unità di tempo o no? Unità di luogo o no? One shot o serie?

Esempio di tensioni che dobbiamo valutare per organizzare un’esperienza.

In secondo luogo, gli elementi base senza cui non può esserci un’esperienza sono:

  1. Pubblico.
  2. Curatore (o Master of Ceremony).
  3. Contenuto.

La natura dell’esperienza dipende dalla definizione delle caratteristiche di ciascuno di questi fattori.

Semplificando, ogni esperienza prevede l’interazione di un pubblico con un contenuto attraverso la mediazione di un curatore, o Master of Ceremony. La mediazione determina quali sono ruolo e punto di vista dello spettatore e informa la percentuale di attività o passività del pubblico con il contenuto. In questo senso, le due principali tensioni di un’esperienza sono determinate dal livello di attività dello spettatore e dal grado di immersività.

Quando progettiamo esperienze immersive, ci concentriamo su approcci che attivano il pubblico, corpo senziente, coinvolto, che riceve percezioni.

Vogliamo aiutare i brand a creare esperienze di trasformazione rilevanti per il pubblico, non mere operazioni autoreferenziali.

Dal nostro punto di vista, un’esperienza può definirsi immersiva o partecipativa se allo spettatore viene offerta la possibilità di scelta. Lo spettatore può scegliere di essere attivo (e quindi operare delle scelte di fronte a un bivio) o passivo (quindi può anche scegliere di non scegliere).

Framework di regia di un’esperienza immersiva

Per accedere a qualsiasi esperienza è però necessario rispettare delle regole, che cambiano a seconda del livello di immersività. In un’esperienza poco immersiva, le regole si limitano a indicazioni di buon comportamento, al divieto di fare foto oppure al rispetto di un dress code specifico; nel caso di esperienze molto immersive, possono diventare addirittura un vero e proprio patto narrativo.

Poiché ogni esperienza comporta l’entrata in un mondo nuovo, con delle norme proprie, la fase di progettazione dovrà tener conto della definizione di queste regole e leggi.

Una delle domande fondamentali quando si costruisce un’esperienza riguarda poi il tipo di trasformazione che vogliamo far compiere al pubblico. Un’esperienza immersiva è infatti tale, come detto, se riesce a incendiare la miccia del cambiamento nello spettatore, fino a diventare memorabile.

“E subito, meccanicamente, oppresso dalla giornata uggiosa e dalla prospettiva di un domani malinconico, mi portai alle labbra un cucchiaino di tè nel quale avevo lasciato che s’ammorbidisse un pezzetto di madeleine. Ma nello stesso istante in cui il liquido al quale erano mischiate le briciole del dolce raggiunse il mio palato, io trasalii, attratto da qualcosa di straordinario che accadeva dentro di me. […] Da dove era potuta giungermi una gioia così potente? […] È chiaro che la verità che cerco non è lì dentro, ma in me. La bevanda l’ha risvegliata, […] e non può che ripetere indefinitamente […] la stessa testimonianza che io non riesco a interpretare e che vorrei almeno poterle chiedere di nuovo ritrovandola subito intatta. […] Giungerà mai alla superficie della mia coscienza lucida quel ricordo, quell’istante remoto che l’attrazione di un identico istante è venuta così da lontano a sollecitare, a scuotere, a sollevare nel mio io più profondo?”

Esistono alcuni paradigmi fondamentali da tenere a mente nell’organizzazione di un’esperienza immersiva, sia essa fisica o digitale.

Ogni esperienza è un racconto, una storia diversa, che si concretizza in vari aspetti: il tono di voce, le metafore utilizzate, l’allestimento degli spazi, i video teaser, i materiali di comunicazione, il merchandising e gli strumenti di supporto.

Un branding coerente ha il potere di rafforzare i temi e i messaggi dell’esperienza e permette di trasmettere il proprio immaginario a tutti i partecipanti e di collegare i vari touchpoint e le iniziative in maniera coerente.

Il ritmo e la gestione del tempo e della durata di ciascuna singola fase di un’esperienza sono temi fondamentali per l’organizzazione di un evento di successo. L’obiettivo è far vivere ai partecipanti un’esperienza indimenticabile, dove ogni pezzo si incastra perfettamente in un meccanismo a orologeria.

Ogni evento lascia al partecipante un ricordo, una memoria che gli permetterà di rivivere alcuni momenti di quell’esperienza. L’obiettivo è quello di offrire al partecipante elementi tangibili da richiamare nella mente anche dopo molto tempo.

Lavorare sul senso di esclusività dell’esperienza e abilitare percorsi mirati aumenta la possibilità di memorabilità. In particolare nel caso di esperienze online è più semplice invitare il pubblico a seguire percorsi consigliati dove trovare contenuti pensati ad hoc o incontrare utenti con cui condividere obiettivi o interessi.

Uno degli aspetti secondari più importanti di un’esperienza è la possibilità di fare networking e confrontarsi con altri partecipanti, anche in maniera informale e al di fuori degli slot predisposti. La buona riuscita di alcune tipologie di esperienze immersive dipende anche dalla possibilità di abilitare nuove connessioni.

La possibilità di condivisione di un’attività intensifica l’esperienza. In occasione di alcune tipologie di eventi ed esperienze assistiamo alla generazione di una grande quantità di nuovi contenuti da parte degli utenti: foto, video, post su Twitter, Instagram Stories, dirette su Facebook. Se il tipo di esperienza lo consente, molta della sua memorabilità e desiderabilità dipenderanno da contenuti creati direttamente dal pubblico.

Il rischio è un fattore intrinseco a ogni esperienza con pubblico, dove non possono mai mancare un minimo margine di sorpresa e assenza di controllo. L’esperienza deve essere costruita e comunicata in modo da creare nell’utente le domande “Cosa c’è in gioco?”, “Cosa mi perdo se non partecipo?”, “Cosa può succedermi se partecipo?”.

A questi paradigmi se ne aggiungono altri legati specificamente a esperienze immersive digitali, come la tracciabilità dei dati e l’omnicanalità.

L’esperienza del partecipante non inizia né finisce con l’evento vero e proprio. Possiamo delineare tre macro fasi per ciascuna esperienza:

  1. La fase pre-esperienza: L’attesa dell’evento è un momento cruciale. Grazie a una campagna di comunicazione accattivante, l’utente viene ingaggiato e accompagnato fino all’esperienza vera e propria. Le azioni da compiere in questa fase servono a stimolare l’interesse del pubblico.
  2. La fase durante l’esperienza: L’apertura dell’esperienza deve stimolare nel partecipante un effetto di sorpresa ed eccitazione. Una volta dentro, i contenuti che incontra sono un mix di formati differenti che collegano i vari punti della storia, con continui colpi di scena.
  3. La fase post-esperienza: L’evento non finisce con l’esaurirsi dell’agenda, ma continua con la rielaborazione delle informazioni raccolte durante le varie fasi. Il post-esperienza dev’essere ricco di contenuti che mettono in evidenza le informazioni e i momenti salienti di quanto vissuto.

Posti questi elementi fondamentali da cui partire, abbiamo quindi elaborato un framework di regia per aiutare le aziende a progettare esperienze efficaci e uniche per i partecipanti in cui tutti gli ingredienti (i soggetti coinvolti, i paradigmi, i formati, gli strumenti) vengono misurati e pesati per raggiungere l’obiettivo desiderato.

Il ruolo della regia è proprio quello di disegnare l’evento tenendo in considerazione tutti gli elementi descritti in precedenza: l’esperienza deve poggiare sui paradigmi come pilastri di progettazione, deve scegliere quali format attivare e quali strumenti abilitare in relazione all’audience specifica scelta, il suo scopo e la storia che vuole raccontare.

Art as a trigger

“Stop thinking about art works as objects, and start thinking about them as triggers for experiences.”

Con musei e istituzioni culturali chiusi, e pure in previsione di una loro riapertura, dobbiamo trovare nuove strade per riportare alle persone e alle aziende il potere salvifico dell’arte e di un contenuto culturale alto.

I brand si trovano sempre più a focalizzarsi sul digitale per tentare di comunicare il proprio heritage, i propri valori, la propria visione del mondo attraverso nuovi canali e sfruttando le possibilità offerte dall’emergere di nuove esperienze.

Nella quasi totalità dei progetti che ci troviamo ad affrontare, i clienti si rivolgono a noi in cerca di soluzioni che siano in grado non solo di avviare un cambiamento radicale all’interno dell’azienda, ma anche di ripensare il modo in cui i prodotti e i consumatori vengono percepiti, o di modellare l’insieme di valori e obiettivi che definiscono e raccontano l’azienda stessa.

L’arte è un innesco capace di attivare questi processi perché contiene in sé una visione reale e autentica di ciò che ci circonda, sa raccontare il mondo passato e quello presente, è uno strumento che ha il potere di comunicare in modo universale ed è capace di modellare la nostra società.

Che i brand abbiano, forse da sempre, messo mani e pensiero sull’arte è cosa nota. Ma che in questo momento la commistione tra business, consumo ed esperienza artistica possa rivelarsi una strada più che mai strategica per il mercato e fortemente benefica per le persone, è un punto specifico su cui ci siamo messi a riflettere.

Nell’alveo del progetto Crew 2020, il gruppo Apollo42 ha ragionato su come arricchire o ripensare alcune tipologie di progetto per il mondo corporate, contaminandole di contenuti, metafore, attività, esperienze con forte valore culturale e artistico.

Una delle conclusioni a cui siamo pervenuti è che i brand sono i nuovi mecenati, che sostengono le arti e la cultura per parlare di sé e del proprio sistema di valori, per attività di marketing o di responsabilità sociale.

Abbiamo mappato alcuni dei casi più interessanti di compenetrazione tra mondo corporate e mondo artistico.

Il mondo della moda ha per primo sdoganato questa relazione inaspettata, facendola ormai diventare una prassi comune e attesa. Non sono tuttavia solo i brand del fashion a collaborare con artisti contemporanei o pescare dalla storia dell’arte ispirazione per i propri prodotti; numerose altre aziende hanno iniziato a intraprendere percorsi legati all’arte per attività di branding e marketing, per contribuire con voce originale a dibattiti sociali o per portare impatto in attività interne.

Poiché crediamo che le aziende abbiano una responsabilità nel contribuire a plasmare una visione del mondo e poiché il compito dell’arte non è solo quello di rispecchiare il suo tempo, ma di contribuire, anch’essa, a plasmarlo, ne deriviamo che le aziende, in qualità di nuovi committenti e mecenati, hanno la possibilità di lasciare un segno attraverso l’arte e la cultura: un segno complesso e sfaccettato, ambizioso e che non si limiti a un’operazione autoreferenziale.

Crediamo anche che l’ambito delle esperienze, proprio per il suo potere trasformativo, possa costituire una delle vie preferenziali per la messa a terra di questo obiettivo, siano esse iniziative fisiche o digitali.

Il mercato delle esperienze, ancora una volta a fronte della situazione eccezionale che stiamo vivendo da un anno a questa parte, necessita e necessiterà comunque di evolvere. Da una parte alcuni aspetti delle esperienze stanno diventando più importanti di altri, soprattutto gli obiettivi di memorabilità e trasformazione (su cui abbiamo insistito finora), cui si aggiunge un focus sulla sostenibilità. Dall’altra bisognerà focalizzarsi ancora di più sulla centralità del pubblico, sempre più propenso a vivere esperienze per attrarre visibilità su se stesso, in particolare attraverso l’uso dei social media, in un’operazione quasi performativa in cui è l’audience a riconquistare un ruolo sempre più attivo.

[1] B. J. Pine II, J. H. Gilmore, The Experience Economy, Boston (Massachusetts), Harvard Business Review Press, 2011.
[2] Eventbrite (2014), Millennials. Fueling the Experience Economy.
[3] D. Kahneman, Thinking, Fast and Slow, New York, Farrar, Straus and Giroux, 2011.
[4] Abbiamo mediato il termine “Master of Ceremony” dagli studi di Arnold van Gennep sui riti di passaggio, dove ogni fase del percorso di trasformazione dell’individuo (o della collettività) deve avvenire sotto l’autorità di un maestro delle cerimonie. Vedi anche A. Szakolczai, Liminality and Experience: Structuring transitory situations and transformative events, “International Political Anthropology”, vol. 2, 2009.
[5] M. Proust, Dalla parte di Swann, in Alla ricerca del tempo perduto, Milano, Mondadori, vol.I, 1983.
[6] J. Radbourne, The Audience Experience. A Critical Analysis of Audiences in the Performing Arts, Intellect Books Ltd., ed. Kindle.
[7] B. Eno, Miraculous cures and the canonization of Basquiat, in A Year with Swollen Appendices, Brian Eno’s Diaries, Faber, ed. Kindle.
[8] S. O’Gorman, Does COVID-19 mark the end of the Experience Economy?, kantar.com, 2020.
[9] B. Canavan, The experience economy will not fully recover — consumers will pay to perform in future instead, theconversation.com, 2020.

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