Lanciarsi senza rete

Simone Vidotto
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5 min readNov 24, 2017

It’s gonna be a wild ride.

Giungiamo finalmente a destinazione, dopo un’interminabile ora di viaggio attraverso le distese di campi che portano a San Stino di Livenza. Ad accoglierci sotto il sole cocente di Luglio c’è un hangar, il campo di volo e un piccolo chiosco in una roulotte. Poco avanti un signore sulla settantina vestito solo di bermuda a quadri e ray-ban, prima intento a prendere il sole, ci esorta senza tante cortesie a recarci alla reception per sbrigare la burocrazia.

Mentre ci avviamo verso l’ufficio, un Pilatus PC-6 Turbo Porter prende la rincorsa per effettuare il suo ennesimo decollo. All’interno dell’hangar, una squadra di ripiegatori suda sopra le vele di nylon, usando il peso del proprio corpo per compattare il paracadute per poi passare alla piega successiva. Poco più in là, un gruppo di paracadutisti prova la formazione da realizzare una volta lanciati, con l’ausilio di un carrellino imbottito per simulare la posizione in aria.

Seppur affascinato e incuriosito, ero ancora in ansia dalla notte precedente: dovevo ancora realizzare come un semplice pourparler tra due amici, davanti forse a qualche calice di troppo, potesse essere diventato realtà.

Stavamo per lanciarci da 4500 mt di altezza con un paracadute.

L’idea era più o meno questa.

Nessuno di noi due si è poi tirato indietro. Nemmeno di fronte al paragrafo CONOSCENZA ED ACCETTAZIONE DEI RISCHI, che certo non parla di cose piacevoli. Eppure, nonostante la paura e i mille dubbi, ero stupito da tutto quell’esperta orchestrazione di manovre e procedure totalmente nuove.

Dopo qualche ora di logorante attesa, con salivazione zero e stomaco asciutto, finalmente ci chiamano. Era arrivato il nostro turno!

Nel giro di qualche minuto saliamo nell’aereo, ognuno con il proprio partner alle spalle. Uno degli istruttori socchiude appena il portellone, lasciandolo aperto di un buon 60 cm.

“Non vorrete morire di caldo”, dice.

Si, peccato che io fossi seduto quasi sul bordo della carlinga.

Calorosi questi paracadutisti, lì sopra c’erano 4 gradi.

Il turboelica stacca un’accelerazione da formula uno e inizia subito a salire con una traiettoria a spirale. Finalmente, per qualche ragione, riesco a tranquillizzarmi e a godermi i 15 minuti di viaggio. Sotto di noi il terreno e i campi circostanti diventano sempre più piccoli fino quasi a scomparire. Incredibilmente, ancora nessun senso di vertigine.

Almeno finché, per ragioni logistiche non meglio precisate, il pilota decide di fare una virata improvvisa di 180° per invertire la direzione di marcia. L’aereo si inclina quasi verticalmente dal lato del portello semiaperto e d’istinto mi aggrappo alla carlinga, terrorizzato, giusto il tempo di sentirmi un’idiota vedendo gli altri passeggeri ridere divertiti.

Nemmeno il tempo di riprendermi e noto che una luce verde, prima spenta, ora si accende. Vedo gli istruttori fare un gesto tra di loro, una sorta di in bocca al lupo che cerco goffamente di emulare.
Qualcuno spalanca il portellone dell’aereo, mentre il mio partner mi spinge verso il bordo della carlinga. Cerco di ricordare il brief fatto nell’hangar: testa in alto e piedi rivolti all’indietro, per agevolare la caduta in posizione orizzontale.

Ci siamo. Inizia il count-down.

Tre.

Due.

(l’uno non lo contano, altrimenti potresti avere il tempo di aggrapparti alla carlinga)

Giù.

Ho capito poi perché lo chiamano Sky Diving. Ti immergi letteralmente nell’aria, che ti sostiene e non ti fa percepire il senso di vuoto.

E in quel momento paranoie, ansia, paura. Tutto scompare.

E ti ritrovi lì, incredulo, davanti alla bellezza di quello che stai vivendo. Qualcosa di così reale eppure così magnanimo da permetterti di goderne appieno, anche se solo per 60 secondi. Dopo aver preso dimestichezza con i movimenti del corpo nell’aria, tutte le resistenze rimaste cedono. Quello è il momento in cui capisci che tutte le preoccupazioni, per quanto sane, prendono tutta la scena e ti impediscono di vedere cosa c’è oltre l’ostacolo.

È incredibile come la paura stessa delinei il confine con le cose straordinarie che la vita ci può offrire.

Quei pensieri e l’eccitazione di navigare nell’aria a 200km/h in caduta libera vengono bruscamente interrotti a quota 1500 mt, quando il mio partner decide di aprire il paracadute. Ed è come se una mano con una forza enorme ti afferrasse e ti sollevasse. Nel giro di qualche secondo mi ritrovo a fluttuare sopra i campi della pianura del Livenza, con la percezione di essere quasi fermo.

Riprendo fiato. Mi accorgo di aver urlato per un minuto intero. Mi guardo attorno e cerco di ambientarmi nella nuova situazione. Dopo una breve spiegazione l’istruttore mi cede i comandi, ed inizio a fare qualche timida virata. Niente a confronto con quelle che avrebbe effettuato lui per rallentare la caduta prima dell’atterraggio: iniziamo a piroettare vorticosamente, mentre l’aria taglia vigorosamente le vele del paracadute.

“Gambe in alto!” urla l’istruttore. Mi affretto ad afferrare le maniglie cucite nella tuta e alzo le gambe più in alto che posso, mentre passiamo sopra al laghetto artificiale per gli atterraggi di emergenza (ahimè non sempre efficace). L’ultimo strattone per rallentare e mi trovo seduto a terra, felice, anche se per un momento il contatto con il suolo mi conforta.

Sano e salvo, senza ammaccature!

Solo dopo essermi lanciato mi sono imbattuto in qualche statistica che mi ha lasciato sorpreso. Certo, oggi abbiamo a disposizione sistemi di sicurezza e procedure ben più avanzate rispetto al passato (tra cui le care vecchie checklist, attaccate sulla schiena dei paracadutisti tandem). Ma nell’immaginario di tutti, lo sky diving è uno sport estremo molto pericoloso.

Numero di salti ogni cui vi è un incidente mortale. Fonte: http://www.uspa.org/

Lanciarsi con il paracadute è meno pericoloso di un viaggio in autostrada!

O almeno così pare.

Statistiche spicciole a parte, anche lo sky diving in tandem può diventare pericoloso, come qualsiasi altro sport estremo. Specie se non si prendono le dovute accortezze e, sopratutto, non si collabora con il proprio partner.

Buon volo!

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