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Perché il tuo cv non ci interessa

Ovvero come troviamo le persone giuste per noi (e non solo)

Valentina Paruzzi
Published in
10 min readMay 28, 2020

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Da molto prima che la nostra crescita in termini di persone diventasse ciò che è oggi, ovvero un numero a due cifre che cresce in maniera importante, siamo sempre stati poco affezionati ai curriculum vitae.

Nessuno snobismo: semplicemente facciamo fatica a riconoscere le persone “giuste” per noi dietro ad un elenco di ruoli e aziende. Amiamo da sempre osservare come i candidati scelgano di calarsi nel nostro contesto, coinvolgerli in prove pazze che mostrino loro le cose che ci appassionano e su cui abbiamo fondato il nostro modo di lavorare. Sono momenti in cui ci raccontiamo ma, al contempo, raccogliamo indicazioni non banali su chi abbiamo di fronte.

Apertura

Un paio di anni fa, un bel giorno di inizio estate, un piccolo team si è incontrato nella Serra di H-FARM con l’obiettivo di mettere in fila su un foglio di carta gli aspetti di cui andavamo in cerca nei candidati. Per farlo, siamo partiti dal guardare al nostro interno. Cosa sapevamo fare? Molte cose, indubbiamente tutte interessanti. Ma il punto non era quello, non lo è mai stato: la chiave della nostra potenza creativa e progettuale è sempre stata altrove, nella nostra identità. I caratteri, i comportamenti, le attitudini, le relazioni di cui siamo capaci, la passione che coltiviamo per ciò che facciamo, un amore così forte che ci porta a difendere i nostri punti di vista con molto ardore. Dalla carta siamo passati ad un foglio excel, che pian piano si è riempito di colore ed elementi che ci raccontavano alla perfezione.

Concretezza

Quell’excel è diventata una traccia per i processi di selezione dei candidati, un terreno comune per leggere i nuovi incontri. E in questo schema, la parte degli strumenti e delle skill disciplinari ricopriva una sezione ben delimitata, anche nei profili più tecnici. Il nostro obiettivo, ad ogni nuovo contatto, era conoscere la persona che avevamo di fronte, prima del professionista.

Ma perché ci siamo permessi di poter guardare al capitale umano prima che al resto? Una ragione è sicuramente il nostro mestiere, che è difficile da fissare in un quadro rigido di regole, metodologie e tecniche statiche ed immutabili. Come H-FARM, ci occupiamo di innovazione dal 2005 e da allora abbiamo visto cambiare molte volte il significato dietro questa parola, tanto quanto si è evoluto il taglio con cui il concetto si è applicato al business, nella forma e nelle espressioni.

In un contesto come questo, ciò che contava un tempo e che continua ad esser cruciale è la capacità di adattarsi, apprendere, riconfigurare il proprio obiettivo di fronte ad un imprevisto, adeguarsi a ritmi di pensiero e produzione spesso irregolari e caotici.

Lucidità

Da qualche anno poi, il nostro modo di attrarre talenti è diventato un modello a cui anche i nostri clienti guardano con interesse. Le loro richieste sono gradualmente cambiate: siamo passati dal “dove possiamo trovare qualcuno come voi da inserire nella nostra realtà”, all’ “aiutateci a capire cosa ci serve e chi dobbiamo cercare per trasformare la nostra organizzazione” e ancora “dove inseriamo questo profilo nell’organizzazione?”.

L’esperienza fatta su di noi è tornata utile per interrogarsi sulle persone che dovrebbero far parte di aziende anche molto diverse da H-FARM, lontane sia per focus di business, che per dimensione e struttura organizzativa. Ci siamo aperti a questa sfida con umiltà e curiosità: inizialmente ci siamo immaginati di dover rinunciare a molti tratti che particolarmente apprezziamo nei profili, perché mai sarebbero stati ritenuti adatti dai nostri interlocutori ed in linea con le loro realtà.

Invece, il cambiamento epocale in cui tutti, indistintamente, ci siamo trovati immersi negli ultimi anni, ha rivelato che cambiare la nostra prospettiva, rinunciare a quella lista di elementi chiave stilata qualche tempo prima, avrebbe condotto ad una pesante miopia.

Non solo. I nostri clienti ci hanno ben presto fatto capire che non avrebbero disdegnato la possibilità di condividere un pensiero più strategico in risposta a domande che erano soliti porre parlando di nuovi talenti e del loro collocamento nell’organizzazione. E non è da noi tirarci indietro nelle sfide, anche quelle più complesse e delicate.

I punti di vista del grande mondo là fuori

Grandi realtà attive nel campo della consulenza strategica rivolta a dipartimenti HR e non solo, da Deloitte ad esperti quali Josh Bersin, si stanno da tempo interrogando su cosa significhi ripartire dalle famose soft skill, che oggi assumono in molte letture sul tema il nome di capability, un termine utile per chiarire il loro legame intrinseco con il lato umano.

Passione

Bersin in particolare mette subito in chiaro il punto centrale:

Hard Skills are soft (they change all the time, are constantly being obsoleted, and are relatively easy to learn), and Soft Skills are hard (they are difficult to build, critical, and take extreme effort to obtain).

Deloitte ne evidenzia un altro aspetto:

In an economy that desperately needs more and more new skills, refreshed more and more often, what becomes most important are not the skills themselves but the enduring human capabilities that underlie the ability to learn, apply and effectively adapt them.

È una prospettiva che ribalta i parametri classici del recruiting e dello sviluppo professionale, abituati a muoversi sul fronte delle competenze tecniche, sulla centralità del saper fare un mestiere e diventare sempre più esperti nel governarne le dinamiche e le logiche. In tal senso, gli ultimi manager della vecchia generazione facevano il salto abbandonando il ruolo operativo a favore di una leadership che rimaneva comunque ancorata ad aspetti esecutivi e produttivi, dove la visione e la crescita seguivano un percorso lineare e delle traiettorie attese, fatte di esperienza sul campo solida e corazzata dal fatto di “averne viste tante”.

Oggi sappiamo come queste logiche non siano più adatte alla contemporaneità: allo stesso manager, ma anche allo specialista o ad un profilo più operativo, non viene più richiesto di conoscere tutte le risposte, ma di sapersi piuttosto porre le domande giuste. Dunque le capability sono il reale vantaggio competitivo che abbiamo su tutto ciò che influenza il nostro mercato del lavoro, sono l’unico appiglio che ci consente di abbracciare l’incertezza, di continuare ad apprendere e riconfigurare il nostro ruolo professionale, di mantenerci attenti e ricettivi nei confronti di stimoli esterni che influenzano le stanze più intime e remote di un’azienda.

Se questi presupposti hanno un senso, perché non iniziare a considerarli parte determinante di un processo di hiring, fosse per noi o per i clienti? E non solo, possono costituire anche un nuovo angolo per immaginare traiettorie di crescita e sviluppo professionale, fluide ed intermittenti? Cosa significa concentrarsi davvero sulle capability?

Le domande di partenza

Per rispondere alle tante domande, siamo ritornati al nostro pezzo di carta e poi al nostro excel, ci siamo ritrovati attorno ad un tavolo, più numerosi e consapevoli: cosa c’è nel paniere delle capacità di un profilo che si occupa di innovare e trasformare? Possiamo individuare quelle fondamentali per gestire i progetti, o ancora per nutrire e consolidare le relazioni, e infine per mantenere in salute e far crescere l’organizzazione? Come le rintracciamo? Le possiamo misurare? Come non ridurle ad un semplice punteggio? Queste numerose domande permettono di visualizzare il processo che abbiamo seguito, in cui il pensiero ha preso forma concreta e si è trasformato in ipotesi da esplorare, in dettagli da approfondire e in scenari di cui verificare sia presupposti che conseguenze.

Fluidità

Da capability ad impatto

Il primo punto su cui abbiamo fatto una riflessione è il senso più profondo del pensare per capability. Ci siamo interrogati su cosa faccia davvero la differenza, oggi, nella valutazione del potenziale di un talento. Ci siamo risposti con una considerazione semplice ma sostanziale, ovvero che il professionista non è più soltanto colui che fa un mestiere ma è soprattutto qualcuno in grado di avere un impatto nell’organizzazione. Questo impatto può essere rappresentato con diverse varianti, che in parte sono agganciate al ruolo e al background disciplinare, ma in realtà si connotano anche di altre sfumature, date da variabili specifiche quali la seniority, il contesto geografico e il team o la funzione di appartenenza nell’azienda.

Ogni impatto si manifesta nel concreto attraverso specifiche capability. E ancora, ad un livello più granulare ed atomico, le capability si esprimono nella loro forza quando proiettate negli orizzonti del progetto, delle relazioni interpersonali interne ed esterne all’azienda, e ancora quando concorrono a creare un rapporto ricco tra l’individuo e la struttura organizzativa nel suo complesso.

Il framework degli impatti e delle capability di SIC

Il contesto applicativo delle capability

Il primo territorio in cui ci siamo immaginati un utilizzo concreto del sistema che abbiamo appena descritto è quello del recruitment, ovviamente. Il framework degli impatti e delle capability propone una chiave di lettura articolata e profonda per guidare la scelta di nuovi talenti.

Il framework è però anche un modello interessante per sostenere analisi e mappature della popolazione che fa già parte di un’organizzazione: da qui possono scaturire piani di sviluppo arricchiti di una dimensione umana più aderente ed incline a valorizzare le caratteristiche uniche di un individuo. E ancora, il framework offre spunti interessanti per costruire piani di formazione davvero personalizzati, che possano integrare l’acquisizione di nuove competenze disciplinari con metodi, tecniche e affondi ispirazionali, volti ad accrescere l’intensità di un set di capability rilevanti per evolvere in un ruolo già conosciuto o, invece, per ripensarsi completamente nei panni di un nuovo profilo professionale.

Gli strumenti di rilevazione

La possibilità di indagare quanto le capability siano presenti in un individuo ci ha da subito provocato su uno dei nostri fronti progettuali preferiti, quello creativo. L’analisi delle soft skill è ormai cosa nota da anni, il mercato offre innumerevoli proposte di questionari di personalità e interviste condotte con protocolli che promettono di stare lontani da qualunque pericolosa forma di bias.

Abbiamo deciso di guardare oltre i modelli di valutazione esistenti e abbiamo iniziato a confrontarci su un portfolio di svariati strumenti, tra cui il gioco. Su questo ambito abbiamo maturato un pensiero profondo e un’esperienza che ormai portiamo avanti da diversi anni. Così abbiamo iniziato ad esplorare numerose meccaniche e dinamiche di gioco, abbiamo incrociato quelle più convincenti e sostenibili con i cluster di capability da indagare.

Fertilizzazione

Il gioco è un’occasione interessante per osservare comportamenti e attitudini spontanee di una persona, o ancora reazioni ad eventi imprevisti e atteggiamenti altrui. Ad esempio, possiamo indagare alcune capability dell’impatto socio-emotivo chiedendo al candidato di partecipare ad un gioco collaborativo, dal quale emergono indicazioni interessanti sulla sua personalità e sul suo modo di reagire a determinati eventi. Tenendo traccia di tali indizi e riportandoli sul framework a valle di questa osservazione, ne derivano alcuni insight che contribuiscono efficacemente all’analisi del profilo. Ovviamente siamo consapevoli che non si possa considerare una scienza esatta. Il nostro obiettivo è di natura empirica, ovvero desideriamo rintracciare la presenza di comportamenti e attitudini per noi interessanti e consentire loro, mediante le meccaniche di gioco, di manifestarsi ed esprimersi in maniera naturale.

Il documentario di Netflix sulla carriera di Michael Jordan è di grande ispirazione: il concetto di capability riecheggia indirettamente in molte scene e racconti dell’atleta.

Dopo una fase di analisi e definizione dei modelli di gioco più interessanti per i nostri scopi, abbiamo intrapreso il percorso di progettazione e prototipazione. Oggi possiamo accedere ad un primo basket di prodotti già testati che, insieme ad altri strumenti, possono offrire un percorso profondo e strutturato per rilevare la presenza e il grado di intensità delle capability in una persona.

Il senso del numero

Abbiamo compiuto lo sforzo di quantificare la presenza delle capability, ben consapevoli che un numero non sia il modo più esaustivo e pertinente di dimensionare un tratto umano. Dal nostro punto di vista però, la quantificazione ha soprattutto il ruolo di abilitare la lettura d’insieme, ovvero creare un filo di sensemaking tra i vari momenti di analisi e test e dunque essere utilizzata per restituire un quadro generale del profilo.

Ritmo

Oltre alla presenza e all’intensità delle capability, potremo individuare delle tensioni interessanti tra di esse: scoprire, ad esempio, che una persona che eccelle in profondità abbia qualche resistenza a manifestare segnali di concretezza. Questo elemento diventa particolarmente utile nella costruzione, ad esempio, di un team bilanciato, dove vi sia bisogno in egual misura di entrambe le caratteristiche per rispondere adeguatamente agli obiettivi di progetto.

Conclusioni

Stiamo cercando di spingerci oltre la classica restituzione delle soft skill che si chiude, solitamente, in un profilo assegnato e statico. L’idea di mettere un’etichetta, sia che richiami un archetipo, sia che voglia evidenziare un tratto predominante, ci sembra fuorviante rispetto all’obiettivo di sostenere una lettura dinamica ed evolutiva della persona.

Ci immaginiamo invece una sorta di equalizzatore, un organismo vivente dove si possa tenere traccia delle capability rilevate in un determinato momento, quelle attese in base al profilo e la loro traiettoria di cambiamento. La dinamicità dell’equalizzatore accoglie anche le tensioni di cui abbiamo parlato sopra, e soprattutto offre una prospettiva aperta anche a mappature ampie, di gruppi di lavoro, funzioni o intere organizzazioni.

Racconto

Vogliamo concludere questa panoramica di un progetto appassionante e complesso, ponendo in chiaro un punto importante. Non crediamo che la dimensione delle capability possa gettare ombra sul percorso di esperienze e il set di competenze strettamente disciplinari di un professionista. Il nostro pensiero, ancora una volta, verte sullo sforzo di mettere in luce elementi a lungo trascurati e non valorizzati nella maniera appropriata, spesso non chiaramente espressi perché considerati scontati o, peggio, disconnessi dall’identità dell’organizzazione. È ormai però chiaro il loro reale significato e l’impatto imponente sul mondo del lavoro, a prescindere dal settore e dall’ambito specifico. Perché come qualcuno ha ben ricordato recentemente, la trasformazione la fa il talento, non la tecnologia.

Valentina

(Un ringraziamento particolare ad alcuni di noi, le cui foto hanno ben rappresentato una manciata di capability attraverso le immagini di questo post)

Se vuoi condividere con noi il tuo pensiero e sapere di più riguardo alle nostre ricerche su questo tema, scrivici a innovation@h-farm.com

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Valentina Paruzzi

Head Hunter / Strategy, Innovation & Culture @ H-FARM