Sonic Identity: la realtà sonora di un’organizzazione.

In un mondo in cui la vista non condiziona più totalmente la nostra percezione della realtà, come si può comunicare e creare relazioni attraverso il suono?

Riccardo Trabattoni
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6 min readOct 15, 2020

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Il sonic turn

Per secoli la nostra società ha fatto affidamento, quasi esclusivamente, al senso della vista per divulgare i valori e gli ideali della cultura. Ed essendo la cultura un sistema dinamico, a seguito dell’evolversi degli elementi che la definiscono, sono mutati anche i principi estetici e stilistici della comunicazione visiva.

Prendiamo come esempio l’art nouveau nata a cavallo tra il XIX e il XX secolo, in contrapposizione ai paradigmi stilistici ottocenteschi e all’imposizione di un’estetica industriale, con il suo linearismo, la sinuosità e la rappresentazione di motivi naturalistici. Il futurismo, avanguardia dei primi del ‘900 influenzata dalle guerre, la trasformazione sociale e politica, che attraverso i suoi movimenti artistici esprime una nuova bellezza: la velocità, il dinamismo. L’ascesa della propaganda bellica, l’art decò, e ancora andando veloci verso i giorni nostri la pop art, l’iperrealismo, e l’arte visiva postmediale. I brand e il marketing hanno fatto di questi asset visuali una delle risorse più preziose per comunicare con il pubblico.

Nell’ultimo decennio però si è sviluppata una nuova consapevolezza socio-culturale determinante per la valorizzazione del mondo sonoro: la vista non domina più totalmente la nostra percezione o comprensione della realtà. In ambito artistico si parla di sonic turn, ma tanti ormai fanno riferimento all’ audio renaissance.

Chiudere un gap

L’ascesa della digitalizzazione, l’evoluzione della nostra cultura uditiva e del marketing hanno sicuramente influenzando il nostro modo di vivere, percepire, e creare il suono. Il sonic branding tuttavia non è una novità, ha una storia ancestrale e si è fatto strada dall’antichità ad oggi grazie ad un processo naturale del nostro cervello, il quale associa ai suoni reazioni ed emozioni — non smettiamo mai di sentire, anche mentre dormiamo siamo in grado di percepire informazioni vitali da suoni specifici e distinguibili.

Ma come siamo arrivati ad associare suoni e marchi e come sta evolvendo questo scenario?

Se volessimo scavare veramente a fondo nella storia del branding auditivo, probabilmente dovremmo tornare al 400 d.C. quando il vescovo romano Paolino di Nola introdusse l’utilizzo delle campane nelle chiese cristiane per richiamare i fedeli alla preghiera — un’ottima associazione suono-cristianesimo. Ma senza ripercorrere millenni di storia nel dettaglio, possiamo evidenziare alcuni momenti che hanno definito le identità sonore, così come lo conosciamo oggi.

  • 1877 — Thomas Edison inventa il fonografo, il primo dispositivo per la registrazione meccanica e la riproduzione del suono. Prima di allora, tutta la conoscenza musicale umana era stata tramandata oralmente.
  • 1890–1930 — Ivan Pavlov, fisiologo russo, elaborò il concetto di riflesso condizionato. Per riassumere: con uno stimolo si può provocare una determinata reazione involontaria negli animali e negli esseri umani. Al centro dell’esperimento di Pavlov vi erano i riflessi incondizionati dei suoi cani, nello specifico la salivazione, al momento dei pasti. Pavlov dimostrò che associando più volte i pasti dei cani al un suono di un campanello poteva determinare la salivazione nei cani, al solo suono dell’oggetto. La salivazione era perciò indotta nei cani da un riflesso condizionato provocato artificialmente.
  • 1920 — Inizia a concretizzarsi l’idea di diffondere contenuti sonori alle masse. È la prima radicale innovazione nelle comunicazioni di massa dopo l’invenzione della stampa. Due anni dopo viene fondata la BBC, la più antica radio al mondo. Nasce l’esigenza di un nuovo linguaggio per interagire coi consumatori. Le rime ritmiche e memorabili degli allora jingle diventano la strategia di marketing preferita dai brand che vogliono richiamare l’attenzione degli ascoltatori.
  • 1950 — Grazie alle innovazioni tecnologiche nel campo del suono, le colonne sonore sono ormai parte integrante di ogni film ed i compositori cinematografici esplorano il suono e la musica come veicolatori ed attivatori di emozioni, ponendo le basi delle identità sonore moderne.
  • 1980 — Il guru radiofonico francese Jean Pierre Baçelon conia il termine ‘la marque sonique’ dopo aver archiviato, analizzato e categorizzato diversi spot radiofonici concludendo che gli annunci con elementi di branding sonoro ottennevano maggiore riconoscimento, successo e vendite.
  • 1994–95 Gli anni che hanno segnato la storia. Intel debbuta il suo celebre sonic logo, il famoso bong sound, che si stima oggi venga riprodotto ogni 5 secondi nel mondo. Nokia lancia l’iconica suoneria del 3310, allora monofonica, e l’anno successivo Brian Eno compone la melodia di avvio di Windows 95 — ironicamente su un Mac.
  • 2003 — Justin Timberlake canta I’m lovin it, che dopo sei mesi in classifica Billboard compare in una pubblicità di McDonald’s diventando il jingle della prima campagna globale del brand — ancora oggi non sono del tutto chiare le dinamiche dietro la stesura della canzone, poi divenuta jingle della catena di fast food.

Dalla metà degli anni 2000 in poi la digitalizzazione ha accelerato l’impatto dell’innovazione in ambito media: abbiamo vissuto il boom degli smartphone, la nascita dei social network, dei primi assistenti vocali e l’introduzione di originali piattaforme per lo streaming musicale nella vita di milioni di persone. Così nell’ultima decade si è venuto a creare un gap tra i contenuti forniti dal mondo della pubblicità e l’effettivo coinvolgimento che il pubblico ha con i brand quando si tratta di prodotti, servizi, ed esperienze. Oggi il sonic branding cerca di colmare questo divario, non limitandosi a fornire solamente un jingle orecchiabile, ma offrendo piuttosto una forte carica emotiva ai consumatori e creando un’esperienza coerente lungo tutta la customer experience di un brand.

Verso una nuova dimensione aurale

Come abbiamo visto, soprattutto negli ultimi 10 anni, i cambiamenti avvenuti hanno influito significativamente nell’evoluzione delle identità sonore e nella loro strumentalizzazione da parte dei brand, i quali hanno capito che il suono ha un ruolo vitale nell’ubiquità dei media digitali. Inoltre oggi il suono viene integrato sempre di più all’interno dei prodotti d’uso quotidiano — dagli elettrodomestici, alle auto, ai gioielli — ed il mercato dei prodotti a comando vocale è in continua espansione. Questo ci porta davanti ad un’evidenza: se da sempre siamo stati abituati ad interagire con gli oggetti attraverso la vista — gli occhi — e il tatto — le dita — in futuro useremo sempre di più anche l’udito — le orecchie — e la nostra voce. Le immagini e i simboli visivi, che da prima erano veicolo di importanti messaggi, stanno lasciando lentamente spazio ad una nuova dimensione aurale delle informazioni e delle interazioni, spingendo i brand ad essere sempre più udibili oltre che visibili.

La sfida, a tendere, sarà quindi quella di saper coniugare questi due mondi ed essere in grado di produrre output sonori tanto piacevoli, quanto funzionali — suoni che non dovranno inquinare un’ambiente già caotico e sovraccarico di stimoli.

Le identità sonore e dove applicarle.

A questo punto una domanda è lecita: cos’è un’identità sonora?Differentemente da quello che in molti pensano, l’identità sonora di un brand non è il suo jingle o il suo sonic logo. Così come una brand identity — visiva — non è il mero logotipo, ma un insieme di colori, immagini, elementi grafici e simboli, anche un’identità sonora è un insieme molto più ampio di asset sonici.

L’applicazione di questi asset sonici alla customer experience è l’identità sonora di un brand.

Per creare un’identità sonora di qualità è quindi essenziale applicare ad essa lo stesso rigore strategico e lo stesso pensiero creativo che stanno alla base delle identità visive. Partendo dalla definizione dei principi sonori e vocali, quindi individuando gli strumenti, le melodie e gli accordi del brand sarà possibile comporre il proprio asset di suoni, che può includere: sonic logo, suoni d’interazione, soundtrack brandizzate, playlist, e podcast. Ovviamente, maggiori sono gli asset sonici, più touchpoint si potranno coprire all’interno dell’esperienza offerta. Dai prodotti alle esperienze, dagli eventi alle piattaforme online e ai socialmedia, dai negozi ai momenti di pagamento, attraverso le identità sonore i brand posso creare forti relazioni coi propri consumatori.

Per questo motivo sono già molti i marchi che, dal banking all’automotive, dal fashion al food&beverage, stanno sperimentando con le identità sonore evidenziando l’importanza di una dimensione aurale all’interno di una strategia di brand di successo. Il suono d’altronde coinvolge emotivamente, non ha barriere linguistiche o culturali e permette di raggiungere tutti in modo significativo.

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