South by Southwest 2017

Il mio viaggio a Austin, TX

Tomas Barazza
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6 min readMar 20, 2017

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Inizio a scrivere mentre sto rientrando dal South by Southwest, il festival della creatività che dal 1987 si tiene a metà marzo ad Austin in Texas. Qui convergono ogni anno decine di migliaia di persone da tutto il mondo per assistere ad alcune delle migliaia di sessioni, keynote, panel, concerti e anteprime di film o serie tv. Si perché il bello del SXSW è che mescola musica, cinema e interactive media e attira persone tanto diverse che condividono la città e tutto quello che offre per due settimane.

E in queste due settimane la città offre tantissimo: le sessioni sono migliaia ed è impossibile vedere tutto. Prima capisci che non vedrai nemmeno l’1% di quello che c’è in giro e ti metti nello spirito di vivere bene quei pochi momenti e più porti a casa. Oltre ai keynote con speaker provenienti di tutto il mondo, in tutti i locali e molte case private ci sono meet-up , party e concerti che creano un’atmosfera incredibile.

[infilate le cuffie e continuate a leggere ascoltando questa playlist]

Austin non è la classica città americana. Non so se fa a tutti lo stesso effetto ma con me all’inizio è stata molto meno travolgente di New York, San Francisco o Los Angeles. Sembra tutto molto più tranquillo, meno esasperato. Anche sottotono. Poi l’atmosfera generale crea la magia e nel giro di qualche giorno finisce che ti piace un sacco. A me manca già.

A voler tirare le somme sono cinque i macro-fenomeni che mi hanno colpito e mi porto a casa.

Il primo riguarda il futuro della sharing economy e l’importanza dei sistemi distribuiti

Austin negli anni è stata testimone di tante anteprime e l’inizio di fenomeni che poi sono diventati globali. Airbnb, Foursquare e Twitter ad esempio sono decollate qui quando hanno iniziato ad acquisire notorietà.

Quest’anno mi ha colpito che Uber non fosse presente, perché bandita dal governo locale, e che fosse sostituita da una piattaforma pubblica, altrettanto semplice da usare ma concepita per non essere dominata e sfruttata da una corporation privata. Diversi spunti che ho colto in questi giorni mi fanno pensare che la sharing economy potrebbe non evolvere nella direzione che abbiamo tutti un po’ troppo facilmente previsto: piattaforme private alla Uber, Facebook o Airbnb a farla da padroni abilitando un mondo di utenti che creano un immenso valore per il quale sono ricompensati poco o nulla.

Questo destino è inevitabile se continuiamo a pensare in modo tradizionale: il valore creato va gestito, amministrato e ripartito. I sistemi centralizzati hanno sempre svolto questa funzione senza avere valide alternative. Ma oggi un’alternativa è possibile e i sistemi distribuiti stanno diventando una realtà. E in questo fenomeno la blockchain può giocare un ruolo determinante abilitando la possibilità di gestire un sistema di transazioni in modo distribuito, anonimo e sicuro senza aver bisogno di un’entità centrale che faccia da garante. Tutto questo apre un mondo nuovo fino a poco tempo fa inimmaginabile.

E il tema dei sistemi distribuiti è stato ricorrente in tanti interventi ed è uno dei fenomeni secondo me da monitorare con attenzione.

Il secondo ha a che fare con le macchine elettriche e quelle che si guidano da sole

Su questo niente di nuovo in realtà, più che altro una conferma e la consapevolezza dell’interesse incredibile sul tema. Tantissimi interventi e meet-up tutti sold-out con file chilometriche.

Pare che ci stiano lavorando tutti.

Abbiamo anche visto da vicino la NIO eP9 che ha battuto il record di velocità per un’auto elettrica in pista ed è una supercar che si guida da sola.

Il terzo è la rilevanza della realtà virtuale e aumentata

L’ultima sessione che ho visto prima di partire parlava di piattaforme di gaming in realtà virtuale. Si è parlato a lungo di uno scenario fortemente ispirato ad un libro che ho letto anni fa e che mi è piaciuto un sacco: Ready Player One (se non lo avete ancora letto ve lo consiglio, è questo; Spielberg sta per trarne un film).

La sensazione generale è che stiamo andando verso un mondo non molto lontano da quello, angosciante, descritto nel libro. Ma c’è ancora strada da fare, per fortuna o purtroppo a seconda che siate tra i sempre ottimisti o gli inguaribili pessimisti.

L’idea che mi sono fatto qui è che siamo abbastanza avanti con la tecnologia e che questa stia guidando uno sforzo incredibile per disegnare il futuro. D’altronde Facebook con Oculus, HTC con Vive, Microsoft con HoloLens hanno una potenza di fuoco quasi infinita.

Sui contenuti e le modalità invece mi sembra che stiamo ancora annaspando cercando di trovare un senso a nuove forme di interazione che sono artificiali e per questo difficili da disegnare da questa generazione di designer.

Il quarto è che i robot non sono (ancora) un fenomeno rilevante

I robot sono simpatici, li conosciamo da sempre perché sono presenti da decenni nel nostro immaginario attraverso film, libri e serie.

Qui sono stati presentati in diversi ambiti ma la sensazione è che siamo ancora lontani da interazioni uomo-macchina naturali che possano renderne l’adozione imminente e mainstream.

Tanto interesse, tanta ricerca, ma l’orizzonte è ancora lontano.

Anche se ci sono già robot baristi e questo non è male.

L’intelligenza artificiale è invece già mainstream

La cosa che mi ha colpito di più, per il livello raggiunto e per le implicazioni che ne derivano, è tutto quello che è stato presentato sull’intelligenza artificiale. Qui la cosa evidente è che stiamo andando verso un mondo di umani aumentati con superpoteri abilitati da sistemi artificiali.

Parliamo di sistemi che possono educare in modo più efficiente e veloce gli umani, ma anche sistemi che si ibridano con gli umani per aumentarne le capacità. Tra tutte le cose viste mi hanno impressionato il keynote di Tan Le, un’australiana simpatica che ha fondato Emotiv, una società specializzata in brain wearables. Durante la presentazione ha raccontato di prodotti già disponibili per intercettare le onde celebrali e con queste comandare arti artificiali e sintetizzatori acustici. C’è stata anche una breve demo nella quale ha fatto comandare ad un paio di persone un piccolo robot con il pensiero dopo aver “allenato” con un semplice dispositivo un app per meno di un minuto.

Tutto questo mi ha fatto molto pensare, forse anche perché sto leggendo Homo Deus, un bellissimo libro di Yuval Noah Harari, che parla proprio del futuro della razza umana e pone tante tante questioni in particolare sull’intelligenza artificiale e sul ruolo determinante che questa avrà per tutti noi.

Come dicevo all’inizio il SXSW non è solo interactive media e tecnologia. Si incrociano film, serie, musica e tanto altro. Ed bello girovagare per la città incontrando gente e respirando la creatività in tutte le sue forme.

L’ultima sera prima di rientrare ho scoperto queste due perle che suonavano e che vi consiglio: Woodes e Silences.

Woodes at SXSW 2017
Silcences at SXSW 2017

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Tomas Barazza
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Founder and Managing Partner at H-Farm Innovation / Maize, Founder at WETHOD