Storia di un Service Designer

Andrea Maldifassi
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4 min readOct 16, 2017

Il giorno in cui riuscirò a spiegare a mia nonna [la signora in foto] il mestiere che faccio, sarò in grado di fare bene questo lavoro.

Magari potrei usare l’esempio di Bruno Munari narrato nel bellissimo e formativo libro Da cosa nasce cosa*. In questo libro Munari accompagna il lettore alla scoperta della metodologia di progetto e per far questo parte da un’analogia tra progettare e fare il risotto.

[*Lettura fortemente consigliata]

Forse neanche questa spiegazione sarebbe esaustiva.

Il design è cambiato e lo sta facendo di nuovo in questo preciso momento storico.

La difficoltà più grande che incontro è far capire ai miei interlocutori che Design non significa Disegnare (quello è drawing) ma bensì Progettare.
I grandi designer del passato progettavano sedie, case, manifesti, oggi si progettano campagne di comunicazione, servizi, modelli di business, aziende. Quello che faccio io è progettare interazioni tra le persone, tra persone e aziende, tra aziende e stakeholders, le decine, centinaia e migliaia di interazioni che intercorrono tra tutti i componenti di un sistema.

Per gentile concessione di qualche designer.

Oggi il Service Designer è la figura che più di tutte conosce e applica le metodologie del design (quello che tutti noi conosciamo come Design Thinking) e lo fa in settori che con il design non hanno nulla a che fare (apparentemente).

Design Thinking: pensare come un designer. Rimando al risotto verde di Munari e se interessati all’argomento consiglio altri due testi che per me sono come la bibbia, Change by Design di Tim Brown e Design-Driven Innovation di Roberto Verganti.

H-Farm ha deciso di puntare sul Design Thinking (d’ora in poi lo chiameremo DT). Ed è proprio in questo nuovo modello di consulenza alle aziende che qualche folle ha deciso di puntare su di me.

Farmer Service Designer!!!

Sono tentato dallo scrivere tutte quelle belle parole che descrivono il mio mestiere ma in quel caso avrei intitolato questo articolo “Storia del Service Design” e invece la storia che voglio raccontare è la mia.

Proprio qualche giorno fa, durante lo svolgersi di un H-Ack interno dove facevo da mentor (se non sapete cosa sia un H-Ack allora potete visitare la pagina dedicata), tra persone che dormivano ed altre elettrizzate molti mi chiedevano: “Ma tu, cosa hai fatto per fare questo mestiere?”.

R: “Sono un designer, ma non di quelli che progettano sedie o bottiglie. Io progetto interazioni e un nuovo modo di arrivare a delle soluzioni.

Dopo il liceo artistico, un viaggio in giro per l’Europa e un anno di lavoro come giardiniere, ho iniziato gli studi in Design degli Interni al Politecnico di Milano. Tre anni passati a progettare spazi, più o meno temporanei, prodotti, arredi, allestimenti; sei mesi vissuti ad Ankara ed una tesi che già faceva intravedere il mio interesse per i servizi e i sistemi complessi, nel quale mettere in relazione i diversi attori. Proprio durante il periodo di tesi mi son reso conto che quello che volevo progettare erano connessioni.

- La specialistica in Product Service System Design, tanto complessa quanto difficile da capire, era quello che cercavo. Il manifesto la spiega bene.-

Una figura nuova che guarda ai progetti come il maestro guarda alla sua orchestra.

In un anno e mezzo di specialistica a Milano ho capito che il ruolo del designer stava cambiando. Una figura nuova che guarda ai progetti come il maestro guarda alla sua orchestra. Poi il programma di doppia laurea, la partenza per la Cina, un altro anno e mezzo di studio e lavoro dove ho visto con i miei occhi l’impatto che il design può avere sul business delle aziende che vi investono.

Una laurea specialistica in PSSD a Milano e un Master in Design & Innovation a Shanghai, una tesi focalizzata su un’azienda Italiana e il suo mercato in estremo oriente.

Oggi mi occupo di trovare soluzioni ai problemi dei nostri clienti, coinvolgendo in modo attivo tutti gli attori del sistema, con la metodologia di chi pensa come un designer. Domani puntiamo a portare questa metodologia all’interno delle aziende, per dare loro i mezzi per essere esse stesse portatrici di innovazione.”

Sguardo perso (sarà la stanchezza che l’H-Ack comporta) e una sola risposta.

What!?

Non me ne vorrà mia nonna ma sembra proprio che questo mestiere sia quasi più facile farlo che spiegarlo.

PS: Devo anche spiegare a mia madre il perchè del nome di H-Farm ed essere bravo nel farle capire che non siamo un laboratorio futuristico di incubazione di essere umani geneticamente modificati.

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Andrea Maldifassi
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Service Designer at H-FARM Innovation. Passionate about human experiences.