SXSW17

Guido Polcan
unbutton
Published in
8 min readApr 19, 2017

Il caldo Texas dell’innovazione

L’America è sempre l’America e partire ha sempre quel sapore di viaggio verso il nuovo. Sarà la definizione di “nuovo continente” o le tonnellate di film di fantascienza che ci arrivano, ma venire da questo lato del globo mi dà sempre l’idea di andare avanti, non di tornare indietro come suggerirebbe il fuso orario. Siamo qui per il South by Southwest, detto anche SXSW, uno degli appuntamenti annuali più importanti per chi vuole dare uno sguardo ai trend del digitale, alla musica e all’entertainment. SXSW si tiene da trent’anni ad Austin, Texas, dove siamo atterrati un venerdì sera in cui il cielo è grigio, pioviggina e sembra tutto molto tetro.

La mattina sveglia presto, prestissimo, il mio compagno di viaggio Tomas ha pensato bene di voler provare la palestra dell’hotel verso le 6am e lasciarlo solo mi esporrebbe ad uno vantaggio competitivo sulla giornata, non potrei mai affermare di essere stanco senza sentirmi rispondere: “e hai anche dormito di più stamattina”, per cui mi vesto e pochi minuti dopo mi ritrovo a correre come un criceto su di un tapis roulant. Colazione da veri americani con uova e grassi vari e si parte, prima giornata di eventi.

Il format, le file e le cose inspiegabili

Il format dell’evento è al limite del banale, conferenze, demo, case history di progetti e c’è davvero un mare di cose da vedere, stiamo parlando di circa quattromila interventi in poco più di una settimana e centomila persone che si riversano nella città esclusivamente per questo. Per gestire la mole di informazioni è tutto ben organizzato online, c’è anche un’App in cui puoi vedere i dettagli degli interventi, gli speaker, fare network e salvarti gli appuntamenti mettendo tutto a calendario; bravi. La prima giornata è davvero spiazzante, l’impressione è quella di non sapere bene come muoverti, ci sono varie location in cui si svolgono gli eventi e rischi di spendere un sacco di tempo saltellando da un hotel all’altro, passando per bar, centro congressi, terrazze e anche ville private affitatte appositamente per gli eventi, come è successo per il lancio di The Current, presentato da Liz Bacelar.

La sensazione, che rapidamente diventa una certezza, è quella di perdere costantemente pezzi interessanti, ma la moltitudine di occasioni che riesci a cogliere fa dimenticare presto le cose che decidi di non vedere in base. La difficoltà maggiore è invece la gestione delle file, non puoi fare affidamento unicamente ai tempi di trasferimento da una conferenza all’altra ma devi mettere in conto che per essere sicuro di non rimanere fregato devi presentarti con largo anticipo. Una spada di damocle pende infatti sulla testa di tutti e si chiama: “at a capacity”. Capita infatti agli sprovveduti, non a noi eh, di arrivare ad una conferenza e trovare la porta chiusa, anche svariati minuti prima dell’inizio dell’intervento, e sentirsi dire che la stanza è “at a capacity”, il che significa che sei fregato e che la prossima volta devi arrivare un po’ prima. Il risultato è che nella tua agenda devi mettere non solo le cose che vuoi seguire ma devi pianificare anche un discreto tempo di attesa in fila per evitare di rimanere fuori.

Faccio una breve digressione, gli americani vivono di file, per loro è assolutamente normale.

Sanno creare file dalle forme talmente improbabili che nemmeno i programmatori della Nokia hanno pensato possibili realizzando Snake, stanno in fila per il caffè passando in mezzo ai tavoli del bar, aspettano in fila per il bagno che anche una teenager in discoteca negli anni novanta avrebbe desistito, stanno in fila per entrare al ristorante quando basterebbe una prenotazione, creano file al semafoto, a piedi, e si mettono in fila anche solo perchè vedono delle persone ferme una dietro l’altra.

Immaginatevi quindi quelle famose centomila persone di cui parlavo prima che ad ogni occasione possibile si mettono in fila, anche solo capire come schivarle diventa un impegno.

Cappello e canotta

Altra nota di colore di questa settimana è l’abbigliamento. Mi sono sentito perennemente fuori luogo per il peso dell’abbigliamento indossato. La teoria che abbiamo sviluppato è che gli abitanti di Austin non si vestano in base alle temperature, ma semplicemente in base al colore del cielo. Tutto molto semplice, quando il cielo è azzurro fa caldo, se invece è grigio è freddo. In questo modo ti trovi in giornate dal cielo terso, con una temperatura di 8°C, in cui la gente gira in canottiera mentre tu indossi un piumino da montagna che Messner avrebbe portato volentieri sul K2, mentre nelle giornate primaverili (21°C) ma con il cielo appena annuvolato, ti ritrovi con un golfino primaverile seduto in fianco ad un giovane americano in giacca a vento.

Altra cosa inspiegabile poi è che indipendentemente dalla temperatura del clima, dentro gli edifici fa sempre più freddo che fuori. C’è un sole pazzesco? Dentro 14°. Fuori piove e tira un vento gelido? Dentro 14°. Fuori si sta bene? Dentro congeli. E mentre tu non ti spieghi come mai devi metterti il piumino per ENTRARE in albergo loro stanno in maglietta sia dentro che fuori, indossano perennemente le infradito e se hanno freddo abbinano serenamente un bel cappello di lana ad una canottiera.

Festìn e gente che fa carne finta

SXSW non è fatto di sole conferenze, ci sono una miriade di piccoli eventi satellite che si tengono in location meno convenzionali come bar, terrazze di hotel, case private con tanto di piscina ed altro. Sono eventi per “la gente che fa network”, una popolazione a se che vive di relazioni iniziate e portate avanti attraverso eventi di questo tipo. È un’arte, devo ammetterlo, non è per niente facile essere in un paese straneiero, con gente che sembra conoscersi da sempre ed intrufolarsi dentro un gruppo entrando a gamba tesa dicendo: “ciao, sono Guido”. Beh, in realtà poi fanno tutto loro, guardano il tuo “tesserino” appeso al collo e cominciano a dirti che anche il cugino della sorella del nipote di una loro conoscente…è Italiano, e quindi è come se vi conosceste da sempre no? Una volta entrato poi ti rendi conto che quel gruppo di amici di infanzia si è probabilmente conosciuto cinque minuti prima, così cominci anche tu a discutere di cosa fai, quali sono le cose che hai trovato interessanti, le tue aspettative ed altro. Si incontrano startupper, imprenditori affermati, musicisti e ci si mette insieme ad ascoltare gente che da un improbabile palchetto ti racconta della sua vita, della sua visione per il futuro e del suo lavoro, come se anche lui ti conoscesse da sempre. Così capita di ascoltare gente come Uma Valeti che con Memphis Meats sta producendo carne partendo da cellule staminali.

Oppure succede di incontrare Werner Vogels, il CTO di Amazon, uno palesemente abituato a tenere speech in giro per il mondo, che mi colpisce per essere uno che suda, e tanto anche. Sotto i riflettori si sa, fa caldo, ma non me lo aspettavo da uno che vale mezzo miliardo di dollari. Lo pensavo sempre impeccabile, un po’ James Bond.

Le serate poi finiscono spesso con una parte musicale, da sempre elemento distintivo di SXSW, così tra un cocktail e l’altro hai l’occasione di ascoltare gruppi come i SURVIVE.

Austin, nonostante la prima impressione di città inospitale, comincia ad avere un suo perchè. La gente passeggia per le strade saltando da un evento all’altro e le serate sono un continuo dentro e fuori dai locali in cui vieni accompagnato da una sorta di colonna sonora cittadina che cambia playlist ad ogni quartiere.

Muoviamo le cose con il cervello e miglioriamo la razza umana

Una delle cose incredibili che mi porto a casa è sicuramente la conferenza di Tan Le, giovanissima CEO di Emotiv, che con un wearable device per il cervello umano legge le tue onde cerebrali finalizzandole a progetti che spaziano dal far muovere arti meccanici con il pensiero al progetto di potenziare le capacità congnitive del cervello umano.

Si torna a casa

L’ultima sera è quella che ti resta più in mente, un po’ perchè è il ricordo più vicino che ti porti a casa, ed un po’ perchè è quella in cui ti senti di dover sfruttare il tempo che ti resta e cerchi di goderti tutto il possibile. Non abbiamo fatto eccezione, abbiamo mangiato, bevuto, ascoltato concerti e saltato da un locale all’altro in cerca di suoni diversi. In questo SXSW si porta dietro tutta l’anima musicale che da sempre è stato il baricentro di questo evento. Austin è riservata, timida, che non ti conquista al primo sguardo ma che una volta scoperta ti lascia qualcosa dentro.

Torno a casa con la consapevolezza che anche le cose più incredibili si possono realizzare, che sono le persone con cui le fai che ti permettono di pensare in grande e che non devi mai dare per scontato quello che hai realizzato, potrebbe essere molto meglio di quello che credi, ma anche molto peggio.

Mi porto a casa anche la voglia di essere qui, un giorno non lontano, e raccontare alcune delle cose incredibili che stiamo facendo.

--

--

Guido Polcan
unbutton

Strategy & Innovation Culture at H-FARM, Founder at CRUDA