Maracanaço Sociale

Oltre la tragedia sportiva dell’1–7 con la Germania e in vista anche delle Olimpiadi di Rio 2016, un’analisi delle ferite lasciate dal Mondiale sul tessuto socio-politico brasiliano.

Uno-Due
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8 min readJan 18, 2017

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Di Gabriele Cosentino

Dovevano essere la grande vetrina per uno dei nuovi mercati più vivaci del pianeta e per la tradizione calcistica più spettacolare e blasonata al mondo. Ma a cominciare dagli scandali e dai problemi di ordine pubblico dei mesi precedenti per finire con il massacro sportivo del Maracanã per mano della Germania, il Mondiale brasiliano è stato molto diverso da come lo sognava la nazione organizzatrice. Quando le ferite vanno ben oltre l’onta calcistica.

È possibile che lo spettro di una sconfitta bruciante sia esorcizzato dopo oltre mezzo secolo da un’altra sconfitta, ancora più clamorosa della precedente? Secondo Giuliano Djahjah Bonorandi, attivista e ricercatore presso l’Università Federale di Rio de Janeiro, l’8 Luglio 2014 allo stadio Mineirão di Belo Horizonte è andata proprio così. L’umiliante 7–1 inflitto dalla Germania alla Selecão nella semifinale mondiale potrebbe aver finalmente liberato i brasiliani dal fantasma del ‘Maracanaço’ — il funesto ricordo della sconfitta del Brasile allo stadio Maracanã nella finale dei Mondiali 1950 contro l’Uruguay — che da più di mezzo secolo aleggiava sulla nazionale verdeoro e su un intero paese. E, secondo Bonorandi, la scomparsa di questo fantasma potrebbe essere stato il più importante risultato di una Coppa del Mondo tanto attesa quanto contestata.

Per capire come questa strana macumba calcistica sia stata possibile bisogna tornare al 2013, l’anno della Confederations Cup, e delle più grandi manifestazioni di protesta popolare mai viste in Brasile. Da Rio de Janeiro a Sao Paolo, da Belo Horizonte a Salvador de Bahia, mentre si svolgevano le partite della competizione preparatoria al mondiale di calcio, in tutte le grandi città del paese centinaia di migliaia di persone scendevano in piazza per protestare contro l’aumento delle tariffe dei trasporti pubblici locali. Per molti brasiliani, in particolare le fasce sociali meno privilegiate che costituiscono quasi l’ottanta percento della popolazione, gli aumenti erano stati la classica goccia che aveva fatto traboccare il vaso, portando alla ribalta un montante malcontento per la carenza di servizi sociali essenziali, le violazioni di diritti umani nelle favelas e le disuguaglianze economiche che ancora piagano la società brasiliana, e che l’organizzazione dei Mondiali stava esasperando.

Secondo Bonorandi, uno degli aspetti più significativi delle proteste è stata la sua dimensione spontanea e affettiva, quasi virale, sganciata da logiche politiche consolidate o da strategie precise. Nell’estate 2013 la rapidità di diffusione e la portata di queste manifestazioni fu infatti tale da sorprendere non solo il governo e le forze dell’ordine, ma anche gli stessi movimenti politici che se ne erano fatti inizialmente promotori. Di fronte all’accentuarsi degli scontri di piazza la FIFA considerò persino la possibilità di cancellare la Confederations Cup, e in molti si chiesero se il Brasile sarebbe stato in grado di ospitare i Mondiali l’anno successivo, con i cantieri degli stadi in ritardo e il governo sotto pressione da un’opinione pubblica delusa e frustrata nel vedere enormi quantità di fondi pubblici investite in infrastrutture sportive che si stavano rivelando occasioni di profitto per grandi interessi economici, nonché di diffusa corruzione, mentre il costo dei già precari servizi essenziali del paese continuava ad aumentare.

Il mondiale non è di tutti

I Mondiali 2014 sono quindi apparsi fin da subito come una grande speculazione sportivo-finanziaria che faceva leva sulla forza simbolica e sulla popolarità del calcio fra i brasiliani, mettendo tuttavia in cantiere mega-eventi la cui fruizione sarebbe rimasta appannaggio di turisti e delle classi più benestanti. Si può quindi immaginare che le proteste che hanno infiammato il Brasile nel 2013, e che con minore impeto sono proseguite anche nei mesi precedenti ai Mondiali 2014, abbiano tratto slancio proprio dalla rete di relazioni affettive che tradizionalmente lega il calcio, la politica e la società brasiliana. La passione per il calcio è uno dei simboli più riconoscibili della cultura brasiliana, e proprio su questo legame fra un paese e il suo sport preferito il governo Lula prima, e quello Rousseff dopo, hanno costruito un’ambiziosa strategia di sviluppo per lanciare il Brasile fra le grandi potenze economiche mondiali, senza tuttavia tenere in conto che il modello di evento sportivo imposto dalla FIFA — spesso criticata per imporre ‘stati di eccezione’ democratica nei paesi ospitanti la coppa — avrebbe portato a esacerbare le tensioni sociali già presenti nel paese, facendo sentire la maggior parte dei brasiliani traditi proprio in uno dei legami a loro più cari, quello con il ‘jogo bonito’, il calcio.

Se gli enormi investimenti fatti per i Mondiali 2014 sono stati criticati come “il più grande furto della storia” persino da una delle glorie del calcio carioca, Romario, nei suoi attuali panni di politico membro del Partito Socialista Brasiliano, mentre un altro grande come Zico lamentava lo scarso entusiasmo della gente nei mesi precedenti al fischio d’inizio, significa che qualcosa nel rapporto fra il Brasile e il suo calcio si era rotto. Anche Bonorandi ricorda che a Rio de Janeiro c’era un clima dimesso e teso prima dell’inizio dei Mondiali, dovuto in parte alla paura che la manifestazioni e gli scontri del 2013 si potessero ripetere in forma ancora più grave, ma anche a un generale sentimento di disaffezione per la Coppa del Mondo nell’opinione pubblica, dopo che le proteste avevano portato alla luce i costi economici e sociali che il paese aveva dovuto pagare per ospitare l’evento: quasi duecentomila persone evacuate dalle loro case per fare posto alle nuove infrastrutture, più di dieci miliardi di euro di investimenti pubblici — la cifra più alta mai spesa per un mondiale di calcio — , e numerose vittime delle violenze della polizia durante le operazioni di pacificazione militarizzata delle favelas e nel corso delle tante manifestazioni di piazza.

Ma poi, nonostante il clima di tensione esacerbato dai media anche in seguito alla morte di un cameraman televisivo durante scontri di piazza del gennaio 2014, ‘a copa’ è cominciata lo stesso, e secondo Bonorandi è stato lo spettacolare goal di Van Persie contro la Spagna a sbloccare i tifosi brasiliani e a ricordagli che i mondiali erano iniziati sul serio, facendogli ritrovare almeno in parte la consueta passione per il calcio. Tuttavia da quasi un anno sui social network, nelle manifestazioni e sui muri delle città brasiliane circolava lo slogan ‘Nao vai ter copa’ (Non ci sarà nessuna coppa), e secondo Rodrigo Nunes, filosofo presso l’Universita Cattolica di Rio de Janeiro, la ripetizione ossessiva dello slogan ha avuto una valenza performativa, mettendo in atto quello che comunicava, ossia «che la coppa del mondo non sarebbe stata una festa di unità nazionale in cui i Brasiliani avrebbero accantonato le loro rivendicazioni per fare spazio allo spettacolo». In un certo senso, continua Nunes,
«la festa era finita prima ancora di cominciare».

Non sorprende quindi che molti brasiliani siano stati tiepidi verso la nazionale verdeoro durante i mondiali, mentre altri addirittura avevano iniziato a tifare per rivali storici come l’Uruguay o peggio ancora l’Argentina. A questo proposito, Bonorandi ha confessato che nei mesi prima dei Mondiali si era convinto a sostenere l’Uruguay, in particolare per la loro politica in favore della legalizzazione della marijuana. E poi, aggiunge, «per scherzo avevo anche scommesso per la vittoria dell’Argentina sul Brasile dopo che il sindaco di Rio aveva promesso che si sarebbe suicidato se l’Argentina avesse battuto il Brasile. Ma poi una volta iniziato il Mondiale ho visto la gente festeggiare per strada e ho ricominciato a tifare Brasile». In quest’ottica di contraddizioni fra ragione e sentimento risulta più facile leggere la disastrosa semifinale contro la Germania come una specie di psicodramma collettivo, il definitivo crollo di nervi di una squadra e di un paese dopo più di un anno di scontri e tensioni — a cui si erano aggiunti numerosi scioperi da parte di vari settori pubblici — che avevano portato ad un’insostenibile sovrapposizione di interessi economici, calcoli politici e problematiche sociali, tutte giocatesi dentro allo stretto perimetro di un campo di calcio.

collasso psicologico

Sicuramente le assenze di Thiago Silvia e ancor di più l’infortunio di Neymar avevano indebolito molto la squadra di Scolari prima della semifinale, ma non tanto da spiegare come una squadra blasonata e spettacolare come il Brasile potesse perdere una partita così importante con uno scarto di sei reti. Guardare la famosa Seleção farsi strapazzare dai tedeschi era come assistere al tracollo totale di una squadra psicologicamente esaurita. Può essere utile collegare l’immagine di una squadra che si presenta in campo sull’orlo di una crisi di nervi, come se si fosse caricata sulle spalle delle pressioni troppo grandi e che andavano ben oltre la competizione sportiva, con il clima di montante paranoia che Bonorandi descrive come l’atmosfera che si respirava a Rio de Janeiro prima dell’inizio dei Mondiali. Preoccupati che si potessero ripresentare in forma ancora più violenta le proteste e gli scontri della Confederations Cup, secondo lo studioso brasiliano il governo, i media e le forze dell’ordine avevano messo in piedi una sincronizzazione perfetta per controllare e contenere le manifestazioni. Il governo era evidentemente preoccupato di una possibile escalation delle proteste da parte di frange violente, ma anche dal fatto che fra i manifestanti avevano cominciato a essere sempre più numerosi gli esponenti delle classi medio-alte di orientamento conservatore, che cavalcando l’onda di malcontento popolare attaccavano il governo di sinistra di Dilma Rousseff sul tema della corruzione dilagante e dell’eccessiva pressione fiscale.

Un quadro sociale e politico evidentemente molto complesso, ritratto di un paese in crescita ma lacerato da divisioni interne, è quello emerso intorno alla Coppa del Mondo 2014. La risposta del governo a queste tensioni è stato un inasprimento delle misure di sicurezza, anche attraverso un controllo costante dei social media. A questo proposito, Bonorandi osserva che «prima dell’inizio dei Mondiali diversi attivisti furono arrestati indiscriminatamente a Rio de Janeiro, e la stessa cosa si è ripetuta prima della finale, in entrambi i casi con accuse pretestuose e scarse prove, per esempio documenti tratti da gruppi Facebook, forum e chat, secondo una strategia invasiva finalizzata a diffondere paura fra la gente. Con risultati anche comici però, perché a un certo punto le forze dell’ordine si erano messe a cercare fra gli attivisti di Rio un tale Bakunin…».

Alla domanda se l’esperienza della stagione di proteste intorno alla Confederations Cup e alla Coppa del Mondo sia stata un’occasione di crescita democratica per il Brasile, Bonorandi risponde con scetticismo, osservando che in entrambe le occasioni nel paese si è vista una pericolosa regressione dei diritti civili e un peggioramento delle condizioni di vita per ampie fasce della popolazione. Al tempo stesso lo studioso non nega che l’esperienza delle manifestazioni di piazza abbia creato un importante precedente di confronto politico. Paradossalmente però, secondo Bonorandi la cosa migliore che poteva capitare a un paese tutto proteso a ritagliarsi un ruolo di potere nello scenario geopolitico mondiale è stata una sconfitta, e rispetto a questo conclude: «Quello che penso sia veramente cambiato dopo i Mondiali è stata la cultura del calcio. Penso che la sconfitta con la Germania sia stata un’esperienza molto sana per il Brasile, perché adesso non siamo più costretti a mantenere ad ogni costo questo ruolo del ‘paese del calcio’. Quindi penso che il più grande risultato dei Mondiali sia stato proprio la scomparsa del fantasma del Maracanaço. Tutti si aspettavano scene di isteria collettiva nel caso di una grave sconfitta della nazionale, ma alla fine nessuno sembrava veramente traumatizzato dal 7–1. Ora siamo finalmente liberi dagli spettri del passato e possiamo goderci il calcio come tutti gli altri».

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A printed and online publication on football and its reverberations on society and culture.