El Clàssic Català

Quanto pesa nella questione dell’indipendenza catalana l’eventuale perdita dell’attesissima sfida contro gli eterni rivali del Real Madrid?

Uno-Due
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6 min readSep 21, 2017

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Illustrazione di Elena Xausa
Parole di Steven Forti

Elena Xausa x Uno-Due

Se la Catalogna diventasse indipendente, il Barça dovrebbe giocare il campionato catalano. Molti sottolineano il contributo fondamentale del Futbol Club Barcelona all’identità catalana, e la sua contrapposizione al Real Madrid è sempre stata vettore dell’antagonismo politico delle due regioni.

Sardana
El Clásico, El Clàssic è la partita più amata e attesa della Liga e non solo. Oltre a Barcellona e Madrid, è tutta la Spagna che si ferma. Ma negli ultimi anni, con l’indipendentismo catalano sempre più una possibilità concreta, questa partita, seguita da oltre 400 milioni di persone potrebbe non giocarsi mai, se non in caso di competizioni internazionali.

Nei giorni previ alle elezioni catalane del settembre 2015, presentate dai partiti indipendentisti come un plebiscito a favore o contro la secessione della Catalogna dalla Spagna, il futuro del classico e dello stesso Barça ha occupato le prime pagine di molti giornali. Da parte del governo spagnolo si è tentato di utilizzare questo spauracchio per evitare una vittoria indipendentista. Il presidente della Liga de Fútbol Profesional spagnola, Javier Tebas, ha dichiarato che in caso di indipendenza le squadre catalane non giocherebbero nella Liga, mentre Miguel Cardenal, segretario di stato allo Sport, è andato oltre, cercando di scavare nei sentimenti identitari dei tifosi blaugrana. «Se credi che cambierebbe la tua propria essenza non partecipare in un campionato senza il classico» — ha affermato — «allora significa che ti senti spagnolo anche se la tua forma di manifestarlo è un po’ strana». Considerazioni rispedite al mittente da Xavier Vinyals, presidente della Plataforma Pro Seleccions Esportives Catalanes, che ha sostenuto che nella futura Catalogna indipendente il FC Barcelona «potrebbe giocare dove gli pare». Secondo Vinyals, si raggiungerebbe un accordo tra i due Paesi per modificare la Legge spagnola dello Sport e permettere al Barça di giocare nella Liga, come è successo con Andorra. E sentenzia: «qualcuno crede che la Liga si lascerebbe scappare il Barça?».

Quello di Vinyals è la diffusa speranza del mondo indipendentista catalano, che ad altri livelli politici sostiene, con la stessa naïveté, che se la Catalogna si dichiarasse indipendente le istituzioni internazionali finirebbero per accettarlo come un fatto compiuto e ammetterebbero il nuovo Stato nell’Unione Europea, anche se la Spagna di opponesse fermamente. Le cose sono più complesse, in realtà, come spesso succede, anche se è pur vero che gli interessi contano molto. Secondo Forbes, Barça e Real Madrid sono i club più ricchi a livello mondiale. Per paragone, il loro valore ammonta a più di quello che la Grecia doveva al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Centrale Europea l’estate scorsa quando si è imposto il corralito. Aggiungiamoci i diritti televisivi e tutti gli introiti diretti e indiretti e arriviamo a cifre con parecchi zeri. Insomma, Vinyals non sbaglia nel dire che tutti ci rimetterebbero e che alla fine una soluzione si troverebbe. Ma sono sintomatiche le prudenti parole del presidente del Barça, Josep María Bertomeu, che ha dichiarato che, nel caso di indipendenza, sarà il governo della nuova Repubblica della Catalogna che dovrà decidere in che campionato giocherà la squadra fondata dallo svizzero Hans Gamper nel 1899. Bertomeu ci ha tenuto a precisare che vorrebbe continuare nella Liga, ma ha sottolineato che «se non esistono relazioni tra Spagna e Catalogna sarà difficile». Nel 2014, il suo predecessore, Sandro Rossell, era arrivato fino al punto di chiedere alla federazione calcistica francese se il Barça potesse giocare al di là dei Pirenei. Ma non ci fu risposta dal governo francese. Per quanto Manuel Valls sia un tifoso dei blaugrana, Hollande non si sognerebbe nemmeno di fare uno sgarro al governo di Madrid né di risvegliare un sopito sentimento nazionalista catalano nella regione di Perpignan.

Bertomeu ci ha tenuto a precisare che vorrebbe continuare nella Liga, ma ha sottolineato che «se non esistono relazioni tra Spagna e Catalogna sarà difficile». E i grandi sponsor, come Nike e Qatar Airways, continuerebbero a investire milioni di euro? L’effetto domino sarebbe più che probabile.

Tra l’altro, la questione non sarebbe solo di competenza spagnola, ma della UEFA. E i precedenti non danno ragione a Vinyals. Celtic e Rangers giocano infatti nel campionato scozzese e non nella Premier League e i tentativi sia di Belgio e Olanda che dei paesi scandinavi di creare dei campionati transnazionali non sono stati neanche presi in considerazione dalla UEFA. Per di più, il caso di Andorra è sui generis e altri esempi utilizzati come possibili modelli — il Monaco nel campionato francese o le squadre gallesi in quello inglese — non valgono.

Quali sono quindi gli scenari più probabili? Vedremo una Liga monca con un Madrid importunato ogni tanto dall’Atlético, dal Valencia o dal Sevilla e un Barça in un campionato catalano dove si dovrebbe misurare, al di là del derby con l’Espanyol, con squadre di seconda e terza divisione, come il Girona, il Nastic o il Llangostera? La squadra del tiki-taka sarebbe poi penalizzata anche nelle competizioni internazionali. Per partecipare alla Champions sarebbero d’obbligo i preliminari estivi come succede per i vincitori del campionato sloveno o di quello slovacco. Ma soprattutto Messi, Suárez e Neymar accetterebbero di passare le domeniche nel campo del Sabadell o del Mataró?

E i grandi sponsor, come Nike e Qatar Airways, continuerebbero a investire milioni di euro? L’effetto domino sarebbe più che probabile. Ed anche i merengue ci rimetterebbero sia dal punto di vista della qualità del calcio sia dal punto di vista degli sponsor e dei guadagni. Senza contare poi l’altra questione parallela: i calciatori catalani abbandonerebbero la Roja per giocare nella nazionale della Catalogna? Non pare che Piqué, Alba e Sergio Busquets abbiano voglia di ambire a una qualificazione ai preliminari dei Mondiali.

Calçots
Il problema principale nella questione indipendentista è che il dialogo tra il Governo spagnolo e quello catalano è mancato in quest’ultimo lustro in cui il sentimento indipendentista è aumentato esponenzialmente in Catalogna, passando da poco più del 10% nel 2009 a oltre il 40% nel 2014. Silenzi e incomprensioni si sono sommati a una gestione politica pessima di una crisi territoriale che si è affiancata a quella economica e sociale che ha mandato gambe all’aria il sistema costruito negli anni della Transizione dalla dittatura franchista alla democrazia.

Le responsabilità della situazione attuale si ripartono abbastanza equamente tra un governo spagnolo, come quello di Mariano Rajoy, che da fine 2011 ha applicato politiche accentratrici e ottuse, negandosi al dialogo, e una classe politica catalana che ha visto nell’indipendenza una possibilità per salvare capra e cavoli quando l’indignazione della popolazione era arrivata fino ad assediare il Parlamento regionale che stava approvando delle nuove misure di austerity. L’indipendenza come panacea a tutti i mali è diventato il mantra di molti, soprattutto di chi dovrebbe evitare, almeno per responsabilità istituzionale, i discorsi semplicistici come quello del “Madrid ci deruba”. Un discorso che identifica nella Spagna uno Stato che asfissia economicamente e che opprime culturalmente e politicamente la Catalogna da trecento anni. Da quel 1714 in cui Barcellona, dopo un lungo assedio, fu conquistata dalle truppe borboniche di Filippo V durante la guerra di successione al trono del Regno di Spagna. C’è chi ci crede per davvero e chi si è fatto ammaliare da un discorso che ricorda il velo di Maya della filosofia indiana.

La macchina della propaganda catalana, è da sempre molto precisa e sa come usare tutti gli strumenti a disposizione. Dalle magliette alle sciarpe fino alle scarpe e alle infradito, i colori catalani appaiono ovunque. Lo stesso Barça nel 2014 ha deciso di convertire la senyera — la bandiera giallo-rossa catalana — nella sua seconda maglia. O tanto che nel Camp Nou, quando il tabellone segna il minuto 17 e 14 secondi, risuona il grido di “In-Inde-Independència”, mentre le estaladas — le bandiere indipendentiste catalane — colorano gli spalti. Per le stesse bandiere, stavolta all’Olympiastadion di Berlino, durante la finale di Champions contro la Juventus, la FIFA ha comminato al Barça una multa di 30 mila euro.

I fischi all’inno spagnolo durante la finale della Copa del Rey del 2015 giocata tra Barça e Athletic di Bilbao al Camp Nou, e non ultimo Piqué che si strappa la bandiera spagnola dalla maglia, sono la prova che lo sforzo di accomunare il Barça all’indipendentismo sta funzionando.

Il Barça porta voti e smuove le folle, per sentimento di aggregazione. Senza il bisogno di argomentare le proprie ragioni o fare ragionamenti. Alle elezioni catalane del settembre 2015, Pep Guardiola si è addirittura candidato nella lista indipendentista. Una candidatura simbolica, in ultima posizione, ma sintomatica di per tentare di convincere gli indecisi.

Lo scrittore barcellonese Manolo Vázquez Montalbán, ideatore del detective buongustaio Pepe Carvalho, scrisse che il Barça è «l’esercito disarmato della Catalogna», ma è anche una macchina perfetta per fare da megafono alla Catalogna e alla sua causa indipendentista. Resta da vedere se, nell’eventualità di indipendenza, la nuova nazione avrà ancora bisogna di un reggimento così forte.

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