L’Abbecedario dell’A.S. Velasca

Uno-Due
Uno-Due
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30 min readFeb 22, 2020

Tra gli ingredienti principali del Velasca ci sono i paradossi e gli errori. Senza questi il Velasca non esisterebbe, non evolverebbe. I difetti sono sublimati, fanno parte della narrazione, del nostro equilibrio. Il Velasca è organico, il progetto è un’avventura che raggruppa moltitudini di pensieri, caratteri, idee… a volte geniali, a volte da rabbrividire. Dopo quattro anni di vita e decine di interviste, ho preferito lasciare la parola ai nostri giocatori, del passato e del presente, allo staff, ai dirigenti e al nostro sponsor tecnico. Ognuno di loro ha partecipato alla costruzione di questa squadra, ognuno di loro ha declinato il Velasca in 26 parole, una definizione a testa senza nessuna indicazione, liberi di esprimersi. Nel bene o nel male, il Velasca è fatto di persone.

Wolfgang Natlacen (Presidente dell’A.S. Velasca)

ARTE (L. Malinverni — centrocampista, al Velasca dal 2017) — A come Arte; A come Antonello da Messina, che nel 1475 dipinse il suo capolavoro “San Girolamo nello Studio”. L’ho presa alla larga ma esattamente come nell’artefatto del pittore siciliano, il Velasca (opera decisamente più moderna rispetto a quella sopra citata) cela dietro al protagonista centrale una vasta serie di panorami e dettagli che solo a un’occhio più vicino e attento si rivelano. Esattamente come dietro alla figura del santo si nascondono dettagli fin fuori dalle finestre sullo sfondo, anche il Velasca, dietro alla sua figura principale di squadra calcistica apre a innumerevoli situazioni e dettagli in stile fiammingo: dall’attenzione con cui viene scelto l’artista che disegna le maglie ogni anno alle monetine per scegliere “palla o campo” a inizio partita, ogni cosa esiste ed è fatta in una certa maniera per un motivo piu ampio, ogni dettaglio, ogni trasferta, ogni giocatore, ogni manufatto, ogni persona che segue, aiuta e vive la squadra c’è per far parte di un più grande e importante insieme: esattamente come la luce, l’architettura, le colline, gli animali e la cornice della tavola del maestro Antonello da Messina si fondono con il personaggio di San Girolamo per creare quello che non è piu solamente il ritratto di un santo ma diventa qualcosa di iconico e unico, qualcosa che farà scuola.

BELGIOJOSO (M. De Girolamo — direttore sportivo e fondatore del Velasca) — il tempo passa, veloce. Poco fa stavamo pensando a come cominciare questo pazzo progetto e ora stiamo preparando la quinta stagione… Come la nostra prima maglia, mattone dopo mattone, ogni giorno aggiungiamo un pezzo nuovo a questa fantastica avventura. Non si finirà mai di costruire, ci sarà sempre qualcosa da sistemare, qualche sfumatura da aggiustare, qualche dettaglio da migliorare, sempre ci sarà tutto questo. Ma è qui il bello, non sentirsi arrivati, non sentirsi mai totalmente soddisfatti, cercare di raggiungere passo dopo passo i micro obiettivi che ci poniamo settimanalmente, mensilmente. Stagione dopo stagione. Le nostre maglie raccontano la nostra storia. All’inizio abbiamo gettato le fondamenta, dovevamo capire dove ci trovavamo, capire cosa ci circondava; poi ci fu l’anno della ribellione ai grandi marchi internazionali che la facevano da padrone e che abbiamo combattuto con uno sponsor di nicchia; il 2017 è stato l’anno cinese e l’inizio della splendida collaborazione col Coq Sportif e il relativo aumento di consapevolezza e autostima; l’ultima stagione ha visto la “digestione” del cambio di categoria. Come ogni processo del genere, ci è voluto del tempo per capirsi; ci siamo prima annusati da lontano per poi progressivamente avvicinarci. Adesso possiamo dire che la F.I.G.C. non può fare a meno del Velasca e viceversa… E la prossima stagione? Quali novità serberà? Quale sarà il liet-motiv del 2019–2020? La costruzione. La crescita. In verticale. Esponenziale. Tutto ciò deve essere in linea con la nostra fame di salire. Più in alto. Sempre più in alto, come da vecchio slogan anni ’80. Belgiojoso. Tenete a mente questo nome. Lo rincontreremo. Starà con noi per un anno intero. Sarà griffato sulle nostre maglie. Diventando un nuovo tassello di una storia in continuo divenire. Certo, più si avanza più ci sono le possibilità di cadere, perchè le aspettative sono maggiori, perché gli obiettivi sono più sfidanti, perché le eventuali delusioni sono più difficili da metabolizzare. Ma se le fondamenta sono solide, se il nucleo è corazzato, se il gruppo è coeso, sarà più facile affrontare le fisiologiche difficoltà che incontreremo. Noi siamo sicuri di poter fronteggiare tutto questo. E noi vogliamo solo persone che credono fermamente che questo sia il progetto vincente, che ci credono al 100%. Anzi, di più. D’altronde, ogni cavallo di razza ha bisogno di ottimi fantini. Altrimenti sarebbe solamente un puledro indomabile. Il Velasca è pronto. Are you ready for this?

CAPITANO (L. Bezze — giocatore dal 2015 al 2017, team manager dal 2018) — nel Velasca ci sono tanti ruoli ambiti ma quello senza dubbio più prestigioso è esserne il capitano. Prendete il nostro simbolo, la Torre Velasca, se l’ingegnere non avesse una squadra pronta a sacrificarsi per lui sarebbe stata ricordata come una delle principali opere della nostra città che tutti ci invidiano? Non credo. Per essere il capitano di questo club non bisogna essere solo il giocatore più rappresentativo, militarci da anni, avere un alto numero di presenze o significative qualità morali o di rappresentanza. Bisogna essere folli, innamorati e affamati. Folli perchè non bisogna mai avere nessun giudizio a posteriori (giusto o sbagliato che sia) ma essere sempre lì a sostenere i compagni, ad aiutarli e a tendere la mano qualora si trovino in difficoltà. Innamorati perchè questo club ogni giorno ti riempe di amore facendoti scoprire fantastiche storie e luoghi che nessun altro può raccontare. Affamati perchè stagione dopo stagione, il capitano ha l’obbligo morale di essere il principale punto di riferimento dei suo compagni nella conquista di un traguardo. Che sia una vittoria, che sia una sconfitta, che sia un periodo negativo o positivo, in ogni momento c’è un obiettivo da raggiungere. Per essere il capitano, bisogna anche ricordarsi che nel nostro DNA che non siamo una squadra di calcio e non siamo un opera d’arte ma è tutto questo insieme. Un capitano non firmerà mai nessun contratto per esserlo ma deve essere pronto a questo una volta scelto e non appena indosserà ogni maledetta domenica quella fascia. Dopo la prima volta, resterà tatuata a vita sul suo braccio.. come questa maglia una seconda pelle.

DIASPORA (A. Ballabio — portiere, al Velasca dal 2015 al 2018) — prima amichevole interazionale del Velasca. A Metz, città francese dove nel primo dopoguerra migrarono molti italiani, va in scena la partita tra Velasca e Squadra Diaspora, una rappresentativa di giocatori / artisti con origini o antenati italiani. La rappresentativa Diaspora annovera tra le sue fila giocatori come Sansone (attaccante del Bologna), Guarneri (portiere della primavera del Milan), Cavagnera (primavera Milan in forza al Lugano). Nonostante questo il Velasca si aggiudica la vittoria per 3–1 (Fornari, Oddo x2) con la miglior partita della stagione. Ma la partita è stata solo la ciliegina sulla torta del week-end: visita al Centro Pompidou, la visita al museo della guerra mondiale, l’incontro con il Console italiano. Tornando alla partita, lo stadio gremito di tifosi (più di un centinaio di spettatori) hanno accolto le due squadre con un tifo degno di un match dei migliori campionati internazionali. Dopo aver cantato l’inno italiano, scattato le foto di rito, i giocatori hanno messo da parte ogni pensiero e si sono affrontati sotto un sole rovente. Tra goal, parate e azioni divertenti, gli spettatori hanno assistito ad una bellissima partita. La prima delle avventure internazionali del Velasca è stata un successo su ogni fronte: calcistico (grande vittoria), culturale (visite apprezzatissime), personali (gruppo fantastico e nuove amicizie).

ERRORE (C. Mazzotta — attaccante, al Velasca dal 2016) — che significato dare al termine errore? L’errore è un pensiero, una parola, un gesto sbagliato, quel qualcosa che va contro la normalità, la correttezza, la giusta via. L’errore peggiore è quello voluto, premeditato, che vuole ferire e fare del male, consapevolmente. Può esistere l’errore “a fin di bene”, commesso nella speranza che possa aiutare e dare beneficio a qualcun altro. Esistono anche errori strategici, fatti con l’intento di ottenere un secondo fine, un agevolazione oppure errori di distrazione, piccolezze che possono portare a serie conseguenze. Alcuni errori invece, giudicati forse più banali, sono quelli involontari e spontanei, commessi spesso a causa dell’impulso, ma non per questo meno gravi e innocenti. Ma ognuno di questi tipi di errore potrebbe essere considerato innocuo, risolvibile, potrebbe generare reazioni o, nel peggiore dei casi, risultare irriparabile e fatale. È importante usare la testa, la lucidità, la ragione, ed evitare di commettere qualsiasi tipo di errore con coscienza e razionalità. E se invece dovesse essere già stato commesso e ce ne fosse ancora la possibilità, un passo importante è sicuramente rendersene conto e ammettere lo sbaglio con sé stessi prima di tutto e con gli altri dopo, chiedendo scusa. Ma soprattutto con la convinzione di non ripeterlo, perché errare è umano ma perseverare è diabolico.

FIFA (P. Lopizzo — allenatore 2015/16, viceallenatore 2016/17) — 28.02.2016, una domenica piovosa. Wolfgang Natlacen, il Presidente, mi chiama una settimana prima e mi dice “non dire niente ai ragazzi ma il 28 febbraio in occasione della partita in casa contro l’Equipe 2000 vengono le televisioni, viene la FIFA con i cameraman dei mondiali e ci mandano su Eurosport!!”. Da quel momento per me è iniziato il 28 febbraio e lo è stato per una settimana e per molte altre successive. Un ragazzo di 35 anni che si ritrova ad allenare una squadra neonata nel campionato di CSI, l’A.S. Velasca, si risveglia una domenica mattina Head Coach. eravamo “tutto fuorché una squadra di calcio” e sapevo che, nello stesso istante in cui avrei avvisato i miei ragazzi di quello che sarebbe accaduto, avrei cambiato irrimediabilmente le loro vite. Almeno per un giorno avremmo vissuto da protagonisti quello che sin da piccoli si sogna: il grande calcio, la tv, i giornalisti che ci riprendono e che ci fanno diventare grandi, fanno diventare grande una squadra che era nata solo qualche mese prima su un campo della periferia di Milano. Ricordo di aver contattato telefonicamente ognuno di loro la mattina stessa di quella domenica per sentire le loro voci, per trasmettere loro la mia carica, la mia fierezza per quello che ci attendeva. La partita è terminata 1–1 dopo una dura lotta (l’avversario era terzo in classifica con ambizioni di play-off) ma le emozioni sono durate per molto tempo ancora ed ancora oggi sento il tifo dalle tribune, il rumore dei tacchetti sui parastinchi. Quella domenica piovosa, il 28 febbraio, l’A.S. Velasca faceva un passo netto in avanti per scrivere la propria storia che la porta ad oggi, a distanza di 3 anni, a giocare il campionato di terza categoria in F.I.G.C. e lottare per la promozione. Non mi stancherò mai di ringraziare la società e la dirigenza tutta per aver permesso che tutto ciò potesse realizzarsi, che un gruppo di ragazzi facesse vedere al mondo intero la propria fierezza nell’essere “tutto fuorché una squadra di calcio”, di essere l’A.S. Velasca.

GRUPPO (A. Zicca — capitano, al Velasca dal 2017) — un gruppo di amici non è una squadra. Una scolaresca non è una squadra. Si vince insieme, si perde insieme, ci si muove insieme, si gioisce insieme e si soffre insieme, questo è un gruppo che diventa anche squadra. Un gruppo-squadra, di qualsiasi età e categoria, sviluppa al proprio interno le dinamiche tipiche di ogni gruppo di lavoro. Tali processi si combinano poi con l’insieme delle abilità tecniche, tattiche e mentali di tutti i giocatori che, costituiscono il valore sportivo di una squadra. Gli atteggiamenti di base secondo il mio punto di vista sono in linea di massima quattro che consentono lo sviluppo di un clima emotivo positivo dentro un gruppo. Sono punti focali verso i propri compagni: l’accettazione, il rispetto, il riconoscimento e l’apprezzamento reciproco. La nascita di un gruppo avviene soprattutto nelle situazioni esterne al terreno di gioco, momenti che rivestono una grande rilevanza nell’esperienza sportiva di ogni singolo giocatore. Ci si riferisce ad esempio al tempo condiviso nello spogliatoio prima e dopo gli allenamenti; al tempo trascorso insieme durante le trasferte; ai momenti di confronto e ad altre occasioni extra sportive. Ed è proprio su questo che il Velasca ha una marcia in più, dove le trasferte ed il clima post partita sono qualcuno di mai visto. Gli atleti nel loro stare assieme esprimono sia i pregi che i difetti delle loro personalità. Pertanto nei gruppi-squadra possono talvolta verificarsi forme di sottile emarginazione dei più vecchi verso i più giovani, dei più bravi verso le riserve, dei più esuberanti verso i più timidi, dei più dotati fisicamente verso i più piccolini. Talvolta poi dallo scherzo si passa alla presa in giro che si trasforma in denigrazione, l’errore apre la porta alla svalutazione dell’uno con l’altro. Un gruppo può avere molti leader, e ogni aggregato sociale prevede uno o più leder. Il Velasca questo lo ha appreso. La leadership nella squadra non è nel mister, nel proprietario o in qualche presidente o dirigente. La leadership è nella squadra, nello spogliatoio. Solo le grandi squadre lavorano per un progetto. Sono vincenti nel tempo perchè hanno mete grandi e progetti solidi. Passano attraverso le persone che rimangono e ne cementano i presupposti. Sono costruzioni di cemento armato e non di fumo. Il velasca ora è un gruppo, il Velasca ora è una squadra, il Velasca ha sempre avuto un progetto, ma ora ha anche gli interpreti che lo hanno capito.

HINTERLAND (L. Mandelli — vicepresidente e fondatore del Velasca) — sono cresciuto tra Corsico e via Giambellino, il fulcro della periferia Ovest di Milano, e formandosi in quel contesto sono solo due le opzioni di scelta: non fare nulla o fare qualcosa. Dopo qualche anno passato sulle panchine del parchetto ci siamo trovati più o meno tutti di fronte a queste due opzioni. Per chi decide di abbandonare le panchine ci sono sempre state le strade della musica, del lavoro, dello studio o come nel mio caso dello sport. L’A.S. Velasca in questo senso non sposta niente rispetto al passato, sono centinaia le Società Sportive di periferia, in cosa si può spostare gli equilibri? Nello STANDARD. I numeri del calcio provinciale sono di gran lunga superiori a quelli dei professionisti, ma senza appeal. Le migliaia di tesserati non retribuiti meritano uno standard mediatico-organizzativo maggiore? Sarebbe d’uopo rendere affascinante anche la Terza Categoria? Imitateci, ma non copiateci. Le panchine dei parchetti sono ancora da svuotare.

INTERNAZIONALE (P. Fornari — centrocampista e miglior marcatore, al Velasca dal 2018) — ormai è un concetto scontato, con poco significato in un momento storico dove il globale è quotidiano ed il locale è l’eccezione, il ricercato, ciò che veramente fa differenza. Sebbene quindi portare un’idea ad un audience potenzialmente vasta diventa punto comune, rendere quest’ultima peculiare è la sfida per non finire in un mare torbido di contenuti tutti uguali e scontati. In questo contesto nasce un’idea semplice ma potenzialmente anonima come una squadra “artistica”. Tanti ci hanno provato ad unire questi ambiti ed in molti hanno fallito, a partire da Pasolini, ma il Velasca no. Partiamo dal nome, Velasca. Torre degli anni 50 intitolata al governatore spagnolo Juan Fernandez de Velasco già pone le basi di un’identità geografica ben precisa, Milano, fungendo inoltre da logo della squadra e non solo da nome. Il clima culturale milanese è perfetto in quanto fortemente legato ad uno sviluppo internazionale ma anche fulcro delle realtà regionali italiane, un esempio evidente a tutti è il proliferare di locali tipici regionali per quanto riguarda l’offerta culinaria in città e le relative eccellenze che si trovano nella città meneghina. Il Velasca a suo modo ha adottato questa identità “milanese”, che gli ha permesso di affacciarsi, senza perdere la propria identità, ad un contesto internazionale. Gli artisti che poi negli anni hanno partecipato alla creazione dei materiali da gioco e non, hanno sempre di più lavorato nel contento milanese cambiandone l’aspetto stesso. Esempio è Pascale Mathine Tayou che con le sue installazioni ha cambiato il look di quartieri come City life, simbolo della centralità milanese nel mondo dopo Expo. Altro esempio è il tram del 900 che ha ospitato la presentazione delle ultime creazioni di Le Coq Sportif, simbolo milanese per eccellenza. Il messaggio che si può trarre da questo successo ancora in divenire è che internazionale non si può più nascere ma solo diventare grazie ad un identità chiara, radicata e riconoscibile, che il Velasca ha saputo trarre da Milano.

JIANG LI (S. Paradiso — difensore, dal 2017 al Velasca) — 30/09/2017. Inizia una nuova stagione calcistica per il Velasca, mi piace definirla la Prima. Prima per me dall’inizio, dopo esserne entrato a far parte solo pochi mesi della precedente stagione. Prima per il Velasca con un nuovo mister, nuovi moduli, nuovi schemi, nuovi programmi e nuovi obiettivi. Prima con un nuovo sponsor artistico proveniente dalla Cina, Jiang Li. Prima con il nuovo sponsor tecnico “Le Coq Sportif”, brand mondiale accolto con grande entusiasmo e orgoglio da tutti noi. Il fischio d’inizio viene dato sotto la nostra torre, quella che meglio ci rappresenta: Torre Velasca. In collaborazione con la Skip Gallery, ci ritroviamo a presentare la nuova stagione in una sorta di container aperto a metà, un piccolo campo da calcio con dentro tutte le opere d’arte velaschiane e le nostre nuove maglie. Bellissime e uniche, rossa la prima e bianca la seconda. Davanti spiccano in alto lo stemma e lo sponsor tecnico, al centro quello artistico, una frase in cinese che si identifica in Velasca. Dietro i numeri realizzati con il nostro font. Ci siamo tutti e uno alla volta entriamo dentro a presentare la nostra personale maglia. Foto di rito e successiva intervista con una nostra fan giornalista che ci accoglie curiosa del nostro progetto artistico-calcistico. Intanto, mentre noi eravamo entusiasti e presi dal nuovo inizio, venivano realizzati dei particolari ritratti di ogni calciatore dall’artista Romina Bassu, esposti in mostra nell’edicola Radetzky a Milano. Tocca poi entrare sul serio in campo e onorarla quella maglia. Iniziamo la stagione con una serie di vittorie, gli avversari guardano stupiti le nostre divise, cose mai viste in queste categorie. Si complimentano e cominciano a temerci in campo. La stagione prosegue con alti e bassi, sia in campionato che in coppa. Risultati che non ci permettono nessuna promozione ma ci danno la consapevolezza di poterci migliorare per poter arrivare a livelli calcisticamente superiori. Giunti alla fine, come ogni anno, l’ultima partita la festeggiamo nel nostro campo con una festa sugli spalti sorseggiando il nostro cocktail, il “Velasca cocktail”, tra saluti e abbracci finali e con la voglia di essere “always higher”.

K .O. (F. Guarino — difensore, vice-capitano, unico giocatore del 2015 ancora in attività) — perdere una partita non è mai una bella sensazione. Immaginatevi perdere una partita giocando per la squadra che ami. Ecco, per me, da quattro anni a questa parte, l’A.S. Velasca è proprio questo. La squadra che amo. In amore non è mai tutto facile e al Velasca in questi quattro anni di sconfitte e di momenti difficili ne abbiamo vissuti tanti. Il primo anno di fondazione a metà stagione avevamo perso nove partite su dieci. Come facevamo ad andare avanti? Semplice. Le sconfitte avevano creato un gruppo di amici. La sconfitta, in questo caso, ci ha unito. Ci ha spinto a non mollare mai. Il secondo anno doveva essere quello della rivalsa. Ma non è stato così. La voglia di vincere era talmente forte che quando le cose sono andate male eravamo distrutti. Probabilmente mancava un vero gruppo ma questa volta la sconfitta ha avuto la meglio ed ha lasciato la squadra a pezzi. Il terzo anno le sconfitte sono state poche ma il dispiacere è stato tanto perché c’era la possibilità di arrivare al top. Ci credevamo tanto e quando ci credi così anche solo una sconfitta può abbatterti. A salvarci è stata la vittoria di Metz: giocare davanti a centinaia di persone contro calciatori professionisti ci ha dato una forza incredibile. Il quarto anno è stato quello del passaggio dal CSI alla F.I.G.C.. Un bel salto. E infatti siamo partiti con 13 sconfitte su 15 partite. Ma anche questa volta la sconfitta ha avuto un ruolo positivo. Ci ha dato una rabbia e una grinta che hanno portato ad una bella seconda parte di stagione. Questo lungo anno si è chiuso con una sconfitta: “la sconfitta più bella!”. A Soweto, contro la squadra della città, abbiamo perso 6–2 ma ci siamo portati dietro una vittoria bellissima: abbiamo creato una grande famiglia! Le sconfitte sono e saranno sempre difficili da affrontare. Alcune società credono che “vincere sia l’unica cosa che conta”. Io credo che le sconfitte aiutino a diventare più forti. Partire da zero, perdere, crescere, vincere insieme. “#AlwaysHigher!”

LE COQ SPORTIF (M. Mazza — country manager di Le Coq Sportif Italia) — quando ho incontrato Wolfgang per la prima volta sapevo già che Le Coq Sportif e l’A.S. Velasca avrebbero dovuto incrociare le proprie storie. Le Coq Sportif e Velasca rappresentano due facce della stessa medaglia. E la bellezza ne è il collante. La bellezza di perseguire un sogno che ai più sembra un esercizio di egocentrismo o tutt’al più un simpatico “giochino”. Ma la verità si sostanzia nella leggerezza. E nella leggerezza c’è il senso di questa collaborazione. Il Velasca è formato da un gruppo di persone che sono mosse dal desiderio di diventare la terza squadra di calcio di Milano. Le Coq Sportif è formata da un gruppo di uomini e donne che hanno un ossessione: produrre prodotti che abbiamo un’anima. I valori di Le Coq Sportif sono l’autenticità, il coraggio, lo spirito di gruppo e il piacere di fare. La storia del Velasca nasce dal coraggio di pochi che hanno convinto tanti a condividere un sogno con la leggerezza della bellezza. La storia di Le Coq Sportif nasce dal sogno di una persona che ha convinto generazioni di persone a credere che la sostanza è più importante della forma e che dietro una maglia c’è sempre bellezza e le bellezza è fatta di passione, condivisione e leggerezza Le storie del Velasca e di Le Coq Sportif si sono appena incrociate e sono tutte da scrivere. Insieme.

MILANO (K. Khideur — consigliere e fondatore del Velasca) — giugno 2019, fa già caldo. Siccome in Italia ce la dobbiamo sempre prendere con qualcuno, diamo la colpa a questo maladetto vento africano. Siamo diventati bravi a scaricare le colpe sugli altri. Un po’ come gli allenatori che quando vincono hanno la squadra più forte del mondo ma quando perdono diventano geni a trovare attenuanti: un giorno il campo, un altro l’arbitro e ora la VAR. Prima a Milano, città più europea d’Italia, ce la prendevamo con i meridionali, ora l’Europa ci ha spinto ha diventare più Italiani quindi ce la prendiamo con gli extracomunitari. Facile, troppo facile. L’andazzo è quello, diventa troppo difficile parlare e agire con un po’ di razionalità. Diamo la colpa agli altri così almeno non riflettiamo. Un po’ come le due società storiche di Milano. Proprietà straniere ma chiudiamo un occhio che almeno portano un po’ di soldi. Americani (Milan) e Cinesi (Inter) che non hanno nessuna tradizione calcistica ma almeno un po’ di denaro ce lo portano. Quel poco che basta per illudere i tifosi, ah no, scusate, da qualche anno si parla di clienti. Poi chi se ne frega se all’estero le due squadre deludono da parecchio tempo. Ormai puntiamo solo all’Italia, almeno con l’Europa abbiamo scoperto di essere Italiani. Ma c’è una società che porta in alto il Made in Italy, le idee Milanesi, cioè essere portati a mirare all’estero. L’ultima trasferta a Soweto del Velasca ne è la prova. Vogliamo anche parlare della partita a Metz? Ha coinvolto l’importante comunità Italiana di questa città dell’Est della Francia. Il Velasca è una bella sintesi di come era e dovrebbe essere l’Italia di oggi. Punta sempre in alto realizzando cose improbabili. Ha deciso che i ponti danno più opportunità che i muri. Il futuro del calcio Milanese è nostro, perché abbiamo capito che da soli non ce la faremo mai. Sempre rispettando ideali e idee che per anni hanno permesso all’Italia di andare avanti, sportivamente parlando ma non solo. Il Velasca è una fede, un modo di vivere. Certo, il primo amore non si scorda mai e il sottoscritto non riesce a staccarsi dal rossonero ma con questa aventura ritrovo l’entusiasmo di prima. Quello che mi ha fatto amare il Milan, il calcio e l’Italia. Perché non voglio credere che staremo per sempre in questa notte profonda. L’Italia e piena di progetti alternativi che puntano a rendere il paese migliore con tutta la sua diversità e ricchezza. Il Velasca è uno di questi. Forza Velasca, il domani può solo essere tuo. Milano siamo noi.

NARRAZIONE (V. Guidone — centrocampista dal 2016 al 2019) — l’essere umano ha bisogno di storie, il Mito, è il dispositivo fondamentale attraverso il quale culture diverse tramandano i dispositivi di conoscenza, credenze e valori che distinguono una società da un’altra, ogni comunità umana presenta cosmologie di miti e di racconti che attraverso la propria gerarchia di valori e idee rendono il Mondo un luogo sicuro e accogliente. Pertanto il bisogno di storie è sempre stata una necessità presente e fondamentale nell’uomo, ogni cultura umana ne possiede e se ne nutre, per dotare di senso ogni azione. Perfetto, noi siamo l’A.S. Velasca, siamo andati in Sud Africa a fare una bella gita, vacanza, un bel “safari” abbiamo “surfato” all’interno della comunità di Soweto entrando in contatto con la fauna locale, concedendo loro “il privilegio” di sfidarci in una partita di pallone, portando doni e avvicinando, come dei buoni missionari sette-ottocenteschi, queste comunità “primitive” alla superiorità occidentale avvicinandoli alla civiltà! Invece proprio NO, siamo l’A.S. Velasca, abbiamo viaggiato verso Soweto, per raccontare la nostra storia, per costruire un ponte, un sentiero, un racconto, per legarci ad un luogo così lontano e differente, parlando la medesima lingua, parlando la lingua universale dei sorrisi e delle condivisione, giocando a pallone che è il più grande messaggio d’amore possibile, nutrendo i nostri corpi e le nostre menti della felicità nostra e altrui, legata a semplici gesti che in modo primordiale ci accomuna tutti. Universo umano. La prima versione del racconto potrebbe avere anche successo in una comunità impoverita come quella italiana, dove da anni il mantra è “aiutarli a casa loro”, in questi anni bui dove ci si dimentica sempre più spesso della necessità condivisa di ascoltare storie e racconti che riflettano la nostra unica natura. Ma noi siamo il Velasca, la nostra idea è quella di costruire ponti, non muri, tra arte e sport, tra centro e periferia, tra periferia e periferia, tra Milano e Soweto. Attraverso cosmologie e mondi vicini e lontani. Tutto è in divenire, e non potete far altro che seguire la nostra storia che tra alti e bassi prosegue, siamo caratterizzati da errori tipici, propri dell’essere umano, che in continua interazione spesso costruisce favole straordinarie. “Tutto fa parte della narrazione… “.

OBJETS UTILES (L. Pizzi — primo tesserato, portiere nel 2015/16, attuale preparatore dei portieri) — ci si chiede “cos’ha il Velasca che altri non hanno?”. All’occhio che naviga in superficie parrebbe nulla, ma come l’iceberg ha il suo lato (nemmeno troppo) nascosto: gli Objets Utiles. A partire dalla divisa: il simbolo che portiamo sul petto ha contorni che vanno ben oltre, fino allo “sponsor”. Ogni anno un artista ci rivolge il suo estro proponendolo sulla “uniforme da combattimento” che adottiamo per il campo, vedi l’apparato digerente di Pascale Marthine Tayou, il drago di Jiang Li, il mattone di Régis Sénèque, la concorrenza colante di ZEVS. Di queste si aggiunge stabile il simbolo del leader, quella fascia tramata da Patricia Waller con le “gocce di sangue” che simboleggiano il dovere di metterci il sangue, a partire dal capitano. Oppure le bandierine di Stephen Dean, con le sue sinuosoidi colorate che trovan ordine nel loro astrattismo, collegate al monito imperante sui cartellini di David Shrigley. Ogni giocatore poi, ha i sui riti e le sue scaramanzie: Alessandro Belussi le ha volute esaltare a “scudo” portando le immagini più care sui parastinchi degli stessi. La fortuna nel calcio non sta solo nel difendersi, lo sappiamo bene; c’è da gonfiare una rete per poter vincere, con Cazaentre & Nnoir che ci presentano il loro GOAL biancorosso, che potrebbe arrivare comodo dagli angoli che si vedono marcati dalle bandierine di Kevin Jackson. Stiam parlando di titolari? ASSOLUTAMENTE NO! La panchina in ogni squadra è fondamentale, pronta a subentrare tramite il tabellone dei cambi di Patrizia Novello, panchina cui il “cambiato” può recuperare energie con le borracce di Zhuo Qi. Tutti questi oggetti fan parte di quel che è una squadra, una società, un gruppo… son come simboli di un’identità che va oltre un passaggio o un tackle. Non son cose che hanno tutti, non per l’arte in se, È IL VELASCA, SIGNORI, PLUS QU’UNE EQUIPE DE FOOTBALL.

PASQUALE (A. D’Amore — attaccante del Velasca dal 2019) — anche questa stagione ha fatto il suo corso, il 2018/2019 è stata per me un’annata molto importante in quanto sono entrato a far parte del Velasca. Sembra ieri quando mi presentai in quel freddo dicembre a fare il provino, ignaro ancora di tutto il contorno legato all’attività extra-calcistica della società. Quando indossai per la prima volta la maglietta del Velasca, era una domenica di trasferta e, di conseguenza, indossavamo la maglia bianca rappresentante gli organi interni con lo stemma della squadra posizionato all’interno dello stomaco; capii in quell’istante dell’attaccamento che le persone inerenti alla società riponevano in essa. Quando giocai in casa, indossai la prima maglietta, quella rossa, riportante un foro nero in una zona a caso anteriore ad essa; questa maglia mi è piaciuta fin da subito perché a mio parere quel foro rappresenta il vuoto che avevo prima e che ho colmato con l’ingresso in questa favolosa società a suon di gol e risultati positivi. Nonostante non sia importante cosa indossi ma perché lo indossi, quando la squadra veste i colori e i simboli della società mi si illuminano gli occhi e mi sento investito da un’energia inesauribile fonte della mia ispirazione nel gestire la pressione della partita e dare il massimo in campo anche e soprattutto per il ruolo che ricopro: l’attaccante. E’ stata davvero una grande emozione la mia “sola” seconda parte di stagione in quanto arrivato in fase di mercato invernale e, nonostante il ritardo nella preparazione, ho comunque dimostrato il mio amore e la mia determinazione alla conquista del posto da titolare con la conclusione della stagione in una posizione più adeguata lì dove una società con grandi progetti ed ambizioni come il Velasca dovrebbe stare. Per concludere vorrei ringraziare tutto lo staff per avermi dato questa possibilità non solo in campo ma anche fuori come membro di una compagnia artistico-calcistica ed avermi fatto sentire parte integrante del progetto. Date le note artistiche… non vedo l’ora della sorpresa in merito alla presentazione delle nuove maglie!!!

QUADRO (F. Carnelli — capitano storico, al Velasca dal 2015) — da un ignorante in arte e da chi ha potuto ammirare la “tela” ancora intonsa, rimane ad oggi ancora indefinito per alcuni aspetti, ma con dei tratti sicuramente fermi e decisi per altri. Non posso dimenticare le fatiche sportive e umane per cercare di costruire qualcosa che aveva anche solo un senso, ma posso constatare il pennello dell’artista-presidente che in questi anni ha cercato con decisione di delineare i caratteri di questo progetto artistico-socio-sportivo così ambizioso ma altrettanto affascinante. Il quadro rimane ancora indefinito quando si cerca di legare arte e sport come gli stessi fautori penso vorrebbero, perché, purtroppo, ci si ferma ad ammirare la bellezza di una società che dal punto di vista comunicativo e artistico a mio avviso è una delle top in circolazione, mentre dal lato sportivo rimane ferma ancorata a delle situazioni che non le permettono di legare con tutto il suo contorno. Quando parlo del lato sportivo non penso necessariamente ai risultati, ma anche a quello che dovrebbe essere la costruzione di uno spogliatoio, di una filosofia, di una cultura e di una struttura all’altezza di tutto il resto. Perché è arte anche questo, è arte unire persone sconosciute sotto una bandiera e riuscire ad “armonizzarle” per raggiungere lo stesso scopo, facendole vivere veramente uno stesso spogliatoio, facendole praticare una tattica che li renda omogenei in campo, per farle sentire poi effettivamente parte dello stesso quadro. Il quadro in cui prendi i colori, li mischi e dai vita a qualcosa con un senso anche quando apparentemente sei partito oggettivamente con strumenti e tonalità veramente lontani tra di loro. La mia speranza è di ammirare, un giorno, un’opera veramente finita. La mia speranza è che un giorno il Velasca non sarà solo un progetto conosciuto in tutto il mondo solo per gli artisti che ne fanno parte, ma anche per gli uomini e ragazzi che lo compongono sul campo e fuori, perché solo in questo modo il quadro del Velasca, ammirandolo, potrà essere finalmente definito un’opera d’arte.

REGIS (M. Cammarata — difensore del Velasca dal 2015 al 2017) — mentre guardo Italia-Spagna degli europei 2016 ho il mio telefono in mano: sto prenotando il mio primo viaggio in Francia. A Luglio infatti andrò a Parigi a visitare la prima mostra sulla mia squadra: il Velasca. Ma quali sono le fondamenta di questa storia? Un anno prima vengo attirato da un progetto che ha come obiettivo quello di sviluppare l’arte attraverso il calcio. Prendo parte della squadra. Maglia numero 5 sul retro e sul davanti il logo, lo sponsor tecnico e quello artistico: la serigrafia di un mattone forato realizzato da Régis Sénèque. Un anno per partire, per mettere i primi mattoni della torre, fatto di tanti bassi a livello sportivo e altrettanti alti arrivati con le avventure extra-calcistiche. Il mattone sullo stomaco mi è pesato solamente quando ho dovuto dire addio alla squadra per motivi personali. A Parigi ho poi conosciuto Regis… mi ha regalato un pezzo di mattone che ancora oggi è nel mio armadio, vicino alla maglia numero 5 biancorossa.

SOWETO (S. Marasco — difensore, al Velasca dal 2017) — Soweto secondo me è sinonimo di speranza e non di sogno un luogo dove negli occhi di ogni bambino nato li nella cruda povertà si può leggere questa parola, attraverso il calcio cercano di materializzare questa speranza che in pochi riusciranno. Una cosa che ho imparato in questo fantastico viaggio internazionale in Sud Africa e che bisogna lasciare a casa i pregiudizi e che nel 2019 ci sono ancora posti dove bambini immersi nella povertà vengono abbandonati a se stessi e che basta anche una semplice palla anche di pezza e una stretta di mano per farli sorridere e riaccendere nei propri occhi la speranza cosa che ogni bambino in qualunque parte del mondo dovrebbe avere.

TORRE (A. Ravano — attaccante dal 2017 al 2018) — la torre Velasca, madrina della nostra squadra del cuore, mi ricorda la leggenda della torre di Babele. Dalla Genesi 11, 1–9 : «Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall’oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l’un l’altro: “Venite, facciamoci mattoni e cociamoli al fuoco”. Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra”. Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: “Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro”. Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra». Sembrerebbe che anche per la torre Velasca ci sia stata un po’ di confusione tra i vari reparti responsabili della sua costruzione. Cosa ha a che fare questo con il calcio, l’arte, il Velasca? Una minchia! è solo uno sproloquio, straparlare, ma in quanto tale una tra le tante cose che accomunano calcio ed arte, un pretesto per trovarsi e chiaccherare, senteziando a destra e a manca, perché è sufficiente un po’ di passione per potersi dire esperti.

UTOPiA (G. Mordenti — difensore, al Velasca dal 2015 al 2018) — la parola Utopia è composta letteralmente dalle voci greche “Ū” (non) e “topos” (luogo) ovvero luogo che non esiste… questo ci dice già molte cose del progetto dell’A.S. Velasca. Calcio e arte, è questo il connubio messo in campo ormai già da più di 4 anni dallo storico gruppo di fondatori Milanesi e Parigini. Giocando sull’idea avanguardistica per cui molte cose possano essere considerate arte, ogni dettaglio del Velasca costituisce un’opera d’arte: dalle magliette, ai parastinchi, ai biglietti di invito ai match e perfino la stessa squadra costituiscono un pezzo d’arte unico, che tutti gli anni viene esposto in una mostra dedicata. Il concetto alla base è chiaro e l’obiettivo lo è ancora di più: diventare la terza squadra di Milano. Ovviamente dopo Milan ed Inter e per non essere da meno anche il Velasca del 2017–2018 ha avuto il suo sponsor cinese. Nonostante il fatto che si giochi in terza categoria e che il motto della squadra sia “siamo tutto fuorché una squadra di calcio” chissà perché questa storia ha più di un motivo per essere credibile. Il fatto di essere di per sé stessa un’utopia è ciò che porterà la storia dell’A.S. Velasca ad essere raccontata più e più volte, fino a diventare, almeno a Milano, la terza storia preferita dalle persone che seguono lo sport. Lo testimoniano non le partite di campionato ordinario (dove partecipano tante squadre tutte simili tra loro) ma le leggendarie e improbabili apparizioni su campi e campacci stranieri. A proposito chiunque abbia letto fino a questo punto dia un occhio a quello che l’A.S. Velasca e i ragazzi del Soweto (Johannesburg) hanno realizzato insieme in Sud Africa. Insomma al Velasca succedono spesso cose inaspettate che a volte possono essere definite un’opera d’arte, come questo viaggio che merita l’attenzione che normalmente viene riservata a squadre professionistiche. Qui sta l’utopia dell’A.S. Velasca, nell’aspirazione di diventare la terza squadra di Milano ma proprio perché (forse) non sarà mai realizzata ci regalerà sempre tante storie da raccontare.

VITTORIA (C. Tournus — tesoriere e fondatore del Velasca) — di solito, per un club di calcio, la vittoria è l’obiettivo principale. I club si organizzano attorno a quell’obiettivo. Per l’A.S. Velasca invece, le cose non sono così evidenti. Certo, in campo, la vittoria è un obiettivo importante visto che il progetto cammina su due piedi: uno artistico e uno sportivo; sul terreno di gioco la squadra deve per forza essere competitiva. Ed è anche per questo motivo che la recente vittoria contro la capolista del Suprema Odb, imbattuta fino ad allora, è a quest’ora la più bella e importante quanto impossibile e inimmaginabile. Ma c’è da notare che nella nostra piccola e ricca storia, le vittorie non hanno mai avuto il sopravvento. Infatti, ripensando alle tappe del Velasca non sono le vittorie che ci tornano in mente ma le sconfitte, due signor sconfitte. La prima risale al lontano 2015, giorno dell’esordio. La primissima di una lunga serie di sconfitte. Ma quella partita segnava l’acme di una serie infinita di sforzi per mettere in piedi il nostro club, il nostro sogno, era una vittoria in sé. La vittoria era stata quella di mettere il Velasca sui binari. La seconda vittoria si è svolta lontana dall’Italia, dall’Europa, in Sudafrica. La vittoria non è stata concepita sul campo polveroso a 1700 metri d’altitude ma altrove, nel fatto di aver portato 20 persone dall’altra parte del mondo per giocare un’amichevole in una zona socialmente e culturalmente differente. La vittoria si è stampata negli sguardi e sorrisi dei giocatori nel dopopartita: che siano del Velasca o del Soweto, consci di aver vissuto un momento unico, storico, che rimarrà per sempre. Se la vittoria è importante per un club di calcio, quella sportiva non lo è per forza.

WOLFGANG (D. Usuelli — dirigente accompagnatore) — Wolfgang Natlacen è il cuore del Velasca. Unico e inimitabile, artista-presidente, Cugino parigino, adottato dalla città dove svetta la più bella torre brutalista, la controversa Torre Velasca. È grazie alla sua dedizione e tenacia che il progetto Velasca è diventato una vera e propria opera d’arte, colorando il grigio mondo del calcio moderno, grazie al suo essere estroso e caparbio, da vero fuoriclasse. Wolfgang, come un capitano e allo stesso tempo anche presidente, padre e artista eclettico, ha creato un gruppo solido. Ha sempre insegnato a tutta la squadra che gli errori servono per capire e imparare, e che le delusioni vanno metabolizzate e trasformate in opportunità. Non ci si deve mai arrendere davanti agli ostacoli. #ALWAYSHIGHER è uno dei suoi motti. Sa farsi benvolere e rispettare allo stesso tempo da tutta la squadra e la sua energia è fortemente contagiosa. Anche chi lo conosce non finisce mai di stupirsi e rimane sempre affamato di esplorare assieme a lui nuovi orizzonti prima inimmaginabili.

XENOFOBIA (L. Giannì — attaccante, stagione 2018/19) — siamo partiti oltre confine, oltre ogni aspettativa sapendo che lì avremmo solamente di certo trovato una squadra e un campo di calcio ad attenderci, invece, scesi dall aereo siamo venuti a contatto con una realtà a noi Italiani molto nascosta!! E qui che iniziano i vari pensieri in ognuno di noi: chissà cosa ci attende ?? Siamo arrivati in questa terra così lontana che ci ha fatto capire cosa vuole dire essere un gruppo, essere dei fratelli anche pur non essendo di sangue in poche parole essere un unica cosa nonostante tutto e tutti ed e questo quello che ci ha dimostrato il Sud Africa !!! Dove la terra, le persone e il calcio sono ancora delle persone e il calcio è rimasto il calcio, QUESTO È IL SUDAFRICA.

YENZA (G. Impaglione — nuovo tesserato del Velasca) — Yenza è il vero nome della saggezza. Non serve colmare di spiegazioni un fatto, un voler fare, un farò. Solo Yenza. La volontà del bue che resiste e continua. Soffre ma è felice. A volte viene sacrificato, a volte cercano di cacciarlo, a volte vede cadere gli altri. Ma chi cade non raggiunge. Non viene premiato. Non ha bisogno di spiegare perché continua ad andare e non si lascia cadere. Perché ha chiaro dove vuole andare. E così raggiunge. Il guerriero spirituale verso l’illuminazione. Yenza muove oceani. L’impensabile si avvera. Il debole giudica ma Yenza non fa proprie le loro parole. Esse scivolano come una lacrima per la guancia quando cade e si ferisce. Yenza si alza e va avanti. Yenza è la formula magica che ci guida. È l’alchimia più interna. È la lotta contro il drago, la lotta di entrambi i lupi dentro di noi. Ma con la giusta educazione vincerà Yenza. E se ciò accade, tutto ciò che si vuole veramente, accadrà. Yenza è costante movimento. Come il fiume, che dopo la cascata fluisce in pace. Come se fosse stanco di tanto sopportare (è una resistenza genuina), lassù, prima di cadere. Poi è solo abbondanza. Yenza è saggezza, insegna coll’esempio, ama puramente senza accorgersene, non subisce. Assorbe perché è flessibile e nulla lo spezza. È trasparenza perché non ha paura e riconosce ciò che è veramente importante. È positivo ed è forza vitale. Yenza è saggezza.

ZEVS (C. Ventrella — attaccante del Velasca dal 2016 al 2017) — “Velasca atto secondo… Zevs. Le aspettative di questa nuova stagione sono altissime, siamo omnidirezionali, voliamo pindaricamente dalla bassa classifica ai digiuni dei mesti bomber, dall’entusiasmo delle vittorie alle mani addosso, dalla guerra fraticida da spogliatoio alla sfilata nella mise anarco-insurrezionalista confezionata dal “nostro amico” Zevs. Il treno da prendere è quello che ci porta nella categoria superiore e quasi ci investe come a ricordarci chi è la nostra guida artistica. Ma siamo ignari ancora di questa piccola grande rivoluzione che è il Velasca, siamo ancora ribelli adolescenti che vagano ciecamente sul terreno di gioco, puzziamo ancora dei nostri idoli del calcio professionistico. Saremo maturi un giorno? Forse, chissà, chissenefrega. La lezione di Zevs è ancora velata dalla nostra dabbenaggine. Noi non siamo esperti d’arte, noi siamo l’arte, di Zevs, nel pallone, nel nostro piccolo Olimpo. La stagione finirà con un quinto posto che ci rimanda a Settembre con un po’ troppi rimpianti e tanto amaro in bocca. Ma una consapevolezza il velasca la lascia, quella di far parte di una storia dalle trame infinite e dai capovolgimenti narrativi, filosofia e rutti liberi, unicità e identità nel non identico.”

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Uno-Due
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A printed and online publication on football and its reverberations on society and culture.