5 cose che ho imparato da quando lavoro

Di artisti circensi, kaffèè e Wilma De Angelis

Laura Canto
uonnabi
5 min readMay 9, 2017

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La questione che ogni individuo con un’intelligenza nella media e alla ricerca di uno scopo nella vita si pone dai 3 ai +∞ anni:

Cosa farò da grande?

Un interrogativo che supera quelli sul finale di Lost, ma anche quelli su chi sia il personaggio che muore alla fine della terza stagione di How to get away with murder. Si tratta di una questione così universalmente affrontata che all’epoca persino le Pussycat Dolls vi hanno dedicato una canzone — chi dimentica è complice.

Cosa fare da grande è una domanda che ha cominciato a vorticarmi nella mente non appena sono stata capace di intendere e di volere, ma con un sottigliezza da non trascurare. Io, già a 6 anni, non avevo alcun dubbio: avrei fatto l’artista circense, una nobile e sottile professione che avevo scoperto durante uno spettacolo nella piazza del paesino di montagna dove andavo in vacanza con i nonni d’estate.

Siamo nel 2017 e ‘sta cosa del circo mi è passata, passando per le tappe fondamentali di uonnabi gelataia, poi giornalaia — e qui, davvero, era solo una questione di figurine, per averne quante ne volevo e quando le volevo, senza dover necessariamente prendere un ottimo in italiano per riceverne 5 pacchetti da mio padre — e infine giornalista, anche se da quest’ultima non ne sono ancora uscita del tutto.

Se si escludono le brevi esperienze estive in un’osteria gourmet e gli innumerevoli calici rotti che ha portato con sé, la mia entrata a gamba tesa nel mondo del lavoro è stata meno traumatica di quanto pensassi. Il percorso universitario che l’ha preceduta è stato tutto sommato nella norma, fatto di laurea e master, di migliaia di euro sfumati in rette, libri, sigarette (sempre troppo poche) e caffè (sempre troppi), un Erasmus, centinaia di ore (no, non minuti, ore) di ritardo e di “Ci scusiamo per il disagio” e una tesi scritta in 20 giorni. C’è chi dice che me lo sia guadagnato; per me è stata anche una buona dose di culo.

E qui si aprono diverse questioni.

Quello che faccio è un lavoro nuovo e digital, di quelli che fatico a spiegarlo a chi ha più di 40 anni (BUONGIORNISSIMO, KAFFÈÈÈÈÈ!!11!11), mentre quando ne discuto con chi ne ha meno ottengo spesso un “Ah, quindi ti pagano per stare tutto il giorno su Facebook?”.

Su LinkedIn c’è scritto che faccio la social media manager, un lavoro che, tra l’altro, quando ho iniziato l’università nemmeno esisteva.

Trovare un lavoro decente e stimolante al primo colpo, come prima esperienza dopo l’università e a poco più di 23 anni, è stato quasi disorientante. Non solo perché la maggior parte dei miei amici era ancora perso nei meandri della specialistica (o triennale, nel peggiore dei casi), ma anche perché questo ha fatto crollare tutti i preconcetti che mi ero costruita negli ultimi dieci anni sul mondo del lavoro, da sempre descritto nei telegiornali come arido e privo di attrattive per noi giovani di grandi speranze. In pratica, mi ero già messa nell’ordine di idee di dover andare all’estero ancor prima di fare un reale tentativo di ricerca dentro i confini italiani.

Quindi, dopo poco più di un anno da quando ho varcato la soglia dell’agenzia nella quale lavoro, mi sento di poter condividere con voi alcune cose che ho scoperto. Che magari vi tornano utili.

1. Caffè, sigarette e Redbull

Perché la piramide alimentare del giovane lavoratore medio, sottoposto a costanti deadline e task quotidiani da portare a termine, è molto elementare. Io pensavo che l’università fosse finita. Ecco, sì. Però no. E non c’è un cazzo da ridere.

2. Le cuffie

Quelle grandi e isolanti, sono una forma di rifiuto del prossimo socialmente accettata. E sono anche l’unico modo per preservare la tua salute mentale, soprattutto se lavori in un open space con altre 25 persone.

3. Lavorare = mangiare

Perché il trionfo dell’altruismo sta nelle brioche che la tua collega che compie gli anni porta in ufficio per festeggiare. Ma se in ufficio siamo in 50, e le settimane in un anno sono 52… beh, lascio trarre a voi le conclusioni.

4. Il confine tra originale e trash

Molto, davvero molto labile. Ho assistito, in poco più di un anno, alla nascita di alcune tra le campagne più brillanti che abbia mai visto sui social, generate spesso da un’idea che sembrava una scemenza.

Poi però ho assistito anche al processo inverso, un’idea geniale degenerata in una vaccata. Tipo Wilma De Angelis che canta Bad Romance.

5. “Dream è l’anagramma di merda

Non importa se il mio lavoro sembra più figo del tuo solo perché “Sto tutto il giorno su Facebook”. Il mondo del lavoro a volte è estenuante e frenetico, la consegna era sempre ieri e le cose da fare hanno la priorità sulle priorità delle priorità. La cosa bella, però, è che se ti senti soffocare, puoi stare tranquillo: sei nella merda, ma sei in buona compagnia.

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Laura Canto
uonnabi

Da piccola volevo fare la giornalaia, ma era solo per le figurine.