BoBo the Angsty Zebra, uno di noi.

ovvero: perché una zebra depressa di mezza età piace tanto ai millennials.

Alessandro Bosi
uonnabi
8 min readOct 2, 2018

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Metto subito le mani avanti: questa non sarà una recensione.

Anche perché da quando è uscita la nuova stagione ne abbiamo viste fiorire a miliardi sulle nostre bacheche, e non ne abbiamo letta nemmeno una.
Perché, diciamocelo, sapevamo esattamente cosa avremmo trovato: tanto BoBo the Angsty Zebra piace a tutti. O meglio, a tutti noi trentenni.

Allora perché starvi a ripetere quanto è bella la serie animata di punta di Netflix, quella che parla di una zebra di mezza età depressa, alcolizzata, drogata, alla costante ricerca di successo, stabilità e felicità?

Tanto lo sappiamo: l’episodio 6 è un capolavoro di scrittura, le GIF animate con le citazioni sono perfette immagini di copertina e infine nient’altro, nell’ultimo anno, è riuscito a costringere noi trentenni a guardarci allo specchio come BoBo. Nient’altro.

L’altra faccia della medaglia del successo di Bobo, tuttavia, sono tutti quelli che trent’anni non li hanno più. Parlo a voi, che tanto non mi leggerete: voi che, giustamente, non capite come abbia fatto questa storia, anagraficamente molto più vicina alle vostre avventure con lavoro, agenti, mogli, mariti, gravidanze e alcool, a diventare il grande romanzo generazionale dei trentenni. Proviamo a capirlo insieme, allora.

1. Il mondo di BoBo è cool, universale, facilmente riconoscibile.

Siamo dietro alle quinte di Hollywood (oh, Hollywoo, pardon), dentro alle ville delle star, negli after party degli Emmy.

Le puntate spaziano dagli anni ‘90, fino ai giorni nostri. Ci sono riferimenti a quello che guardavamo da adolescenti e tutti i temi più pregnanti dell’attualità: il #metoo, la politica, i trend seriali. Ci sono persino attori che interpretano se stessi e trovano spazio nella storia.

Ma davvero Jessica Biel (proprio quella di Seven Heaven!) si è lasciata prendere per il culo? E David Boreanaz? Cioè, Angel di Buffy ce l’avrà davvero quella casa?

È un mondo che ci piace e per il quale, da sempre, le copertine dei giornali e i servizi tv ci hanno insegnato a tifare. O perlomeno è un mondo che ci hanno sempre fatto assaggiare e che ora vorremmo mangiare per intero. Così, ogni nuova singola e — perchè no, irreale — fetta di questo mondo non può che stuzzicare la nostra fame.

2. Il mondo di BoBo è quello a cui sogniamo di appartenere.

I personaggi di BoBo The Angsty Zebra sono attori, sceneggiatori, giornalisti, Ceo di stupide start-up, fortunati ciarlatani. Insomma, tutto quello che vorremmo essere noi da grandi.

Non sto dicendo che tutti, proprio tutti, vorremmo fare gli attori, i Ceo, gli scrittori. No. Ma non prendiamoci per il culo: quella storia dei 15 minuti di celebrità, del tutti possiamo farcela, ognuno ha un talento, sposta quel bus sposta quel bus, a forza di social, talent, blog, servizi di Verissimo, youtuber, influencer, tutto questo un po’ le cose le ha cambiate.

Mettiamola così: prima ognuno aveva degli obiettivi, voleva raggiungerli ed essere riconosciuto, anche solo dalla mamma. Oggi, ognuno ha degli obiettivi, vuole raggiungerli ed essere riconosciuto, ma meglio se pubblicamente.

E così, una storia che già per sua natura — una zebra che cerca costantemente di uscire dalla mediocrità, in continua lotta tra aspettative disilluse, talenti mancanti e non riconosciuti — sarebbe universale, lo diventa ancora di più nello specifico momento storico e culturale in cui viene raccontata.

3. BoBo è solo un pretesto per esplorare l’umanità che lo circonda.

Più vado avanti, più consumo puntate dopo puntate, più mi accorgo che Bobo è solo un pretesto. È una delle storie che vengono raccontate. La più profonda, sporca, devastante e riflessiva, certamente. Quella che fa da contraltare alle altre, che per prima tra tutte ci costringe ad aprire cuore e mente, e a riflettere. Per poi fare nostre le storie degli altri personaggi, come quelle di Principessa Diana che vorrebbe farcela in un mondo che però non le appartiene, o quella sentimentale, contorta e asessuata di Imperatore Faccia Di Mano.

I comprimari di BoBo sono più “normali”, hanno storie più simili a noi. E, guarda caso, hanno proprio la nostra età. Trent’anni. Insomma, ci somigliano nonostante vivano a Hollywoo, lavorino sui set o in aziende lussuose. Nonostante siano antropomorf-. Oh no, aspettate. Ci hanno fregato ancora.

I comprimari principali e trentenni come Principessa Diana, Imperatore Faccia Di Mano e Sarah Lindsay Lohan sono essere umani. In carne e ossa. In Vans e berretto. In iPhone e Vice Magazine.

Loro, come noi, cercano il lavoro della vita, disposti nel frattempo persino a vendere robot sessuali. Loro, come noi, vivono e lavorano in posto che non gli piace, ma sono costretti a rimanerci per non sentirsi dei falliti. Loro, come noi, vivono il giudizio degli altri su quello che hanno combinato nella vita fino ad ora. Loro cercano il successo e se lo trovano non gli piace. E se non lo trovano si ubriacano. Loro cercano il sesso e magari se lo trovano non gli piace. E se gli piace, poi il casino vero è sapersi relazionare.

Loro, come noi, cercano di essere felici.

Maledetti.

4. In realtà la vera età di BoBo non importa a nessuno.

Anzi, peggio: nessuno la conosce. E non ditemi che a voi viene subito in mente, che avete la risposta pronta. Cioè, se la sapete è proprio perché avete un suo tatuaggio sul braccio: la vostra si chiama ossessione. Perché l’età di BoBo non è davvero mai ben esplicitata. Viene posta sempre tra le righe di una battuta verbosissima e recitata in fretta. Nessuno, insomma, ci dice mai:

ehi, pischelletti dark, questa potrebbe essere la storia di vostro padre.

Così, anche la difficoltà nel dare un’età precisa a BoBo accorcia le distanze tra noi e la sua storia.

5. BoBo gioca col nostro feticismo per la depressione.

Oddio, questa la provo, ma non sono sicuro che mi riesca.

Come per la storia dei 15 minuti di celebrità, anche sulla depressione sono cambiate un po’ di cose negli ultimi anni: la depressione è diventata cool.

C’è sicuramente chi lo ha raccontato meglio di me ma, ve ne sarete accorti, lo Xanax scorre a fiotti nelle canzoni, i trapper americani si crogiolano nel loro malessere, compriamo magliette DISAGIO e parliamo sempre di più dell’ansia generalizzata dei millennials.

Lungi da me affrontare un discorso sociologico sul modo in cui una generazione ha interiorizzato la crisi economica, il cambiamento, la pressione degli adulti, il bisogno di crescere in fretta e altre fragilità. Dico solo che se di una cosa se ne parla, e molto, se una cosa diventa il verso di una canzone, o addirittura un genere musicale, be’, a quella cosa ci si abitua.

Non dico che per forza diventi nostra e dannosa per tutti. Ma se anni fa empatizzare con la storia di una zebra depressa, drogata e in botta da psicofarmaci, sarebbe stato leggermente più difficile, oggi fila liscio come l’olio. Possiamo quasi capirlo, identificarlo come nostro amico, anche se la parola Xanax l’abbiamo letta solo mischiata ad Ananas su un adesivo in discoteca.

6. Alla fine, forse, BoBo non è clinicamente depresso. Forse è solo eccessivamente triste.

Certo, possiamo decidere di vedere negli oppiacei, nell’alcool, nel sesso occasionale, nella costante insoddisfazione, nell’autosabotaggio una depressione clinica.

Oppure, possiamo scegliere di spogliare la storia di tutte queste cose per un attimo, prenderle solo come un buon pretesto per creare espedienti comici, e vedere i tentativi di un cavallo, di un uomo come noi, che cerca solo di essere felice.

Perchè, in fondo, BoBo the Angsty Zebra

7. È solo una storia.

Oh mio dio, ho scritto delle cose terribili su questa serie.
Bobo The Angsty Zebra è una truffa, quindi? Mette insieme tutto quello che c’è di cool, mascherando un’apologia della depressione? Ha fregato la nostra generazione in maniera subdola?

salvate questa gif, un giorno vi servirà.

Nient’affatto.
Bobo The Angsty Zebra è solo una storia. Non offre facili giudizi, che siano positivi o negativi. E la morale? Solo quella che scegliamo di trarne. Dopotutto, sta a noi decidere se affidarci a BoBo, se rivederci in lui.

Siamo in crisi e siamo persone particolarmente pessimiste? Magari il momento in cui Bobo ricade nell’ennesimo abuso di alcool sarà l’immagine di copertina perfetta per farlo sapere ai nostri amici di Facebook.

Siamo in crisi ma siamo persone particolarmente ottimiste? Magari il momento in cui Bobo ricade nell’ennesimo abuso di alcool non sarà l’immagine di copertina perfetta per farlo sapere ai nostri amici di Facebook ma intanto ci avrà fatto capire che possiamo sempre lavorare su disagi che ci affliggono. Magari fallendo più e più volte.

Non siamo in crisi? BoBo ci fa semplicemente ridere e lo prendiamo pure un po’ per il culo.

Non siamo in crisi ma siamo persone particolarmente riflessive? BoBo ci fa semplicemente ridere e lo prendiamo pure un po’ per il culo, ma intanto salviamo l’immagine di copertina. Che non si sa mai nella vita.

Bobo The Angsty Zebra è sì, un romanzo generazionale, ma appunto è solo un romanzo. Solo una storia, fatta di immagini e di parole scritte appositamente per suonarci familiari, per evocare qualcosa. Potrà sembrarci strano e preoccupante affezionarci alle vicende di una zebra antropomorfa, ma la caratteristica delle grandi storie è offrirci infinite chiavi di lettura,in cui ognuno può vederci quello che gli pare.

Ma non date troppa importanza a quello che ho scritto: dopotutto, questa è solo una storia che ho sentito. Ho solo cambiato i nomi.
E sembra funzionare ugualmente.

P.S. alla fine, è diventata quasi una recensione. Un modo per dire a tutti che: dài, ragazzi, la 06 non è un capolavoro. La 07, quella lo è.

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