uonnabi a manifesto
Ci siamo presi le lauree e abbiamo fatto i master; abbiamo detto “meglio sottopagato che nonpagato”; siamo riusciti a pronunciare senza ridere la frase “dopo il tirocinio ci sono possibilità di inserimento”; abbiamo pranzato con la visibilità e cenato col curriculum; abbiamo mostrato un’invidiabile dialettica per sviare la domanda “cosa vuoi fare da grande?” ed abbiamo accettato con sportività le tragiche battute che puntualmente sono seguite. Ci avete consigliato di smettere di lamentarci ed iniziare a fare, fare, fare; creare, creare, creare.
Bene: ecco a voi uonnabi, un luogo in cui possiamo fare il cazzo che ci pare e lamentarci nel modo più creativo possibile.
No, non è (solo) una strategia per rivalutare le Spice Girls (ma se non l’avete ancora fatto, fatelo) e nemmeno un modo per far sapere a mamma e papà cosa facciamo tutte quelle ore davanti al computer se poi questo romanzo non esce mai; uonnabi è di più, uonnabi non è solo roba nostra: è un motto, una sintesi di tutti noi che non abbiamo ancora l’età giusta per dirci spacciati come Anthony Costa dei Blue, ma neppure possiamo considerarci esattamente degli enfants prodiges come Xavier Dolan. Noi che non vorremmo essere qualcuno ma ci basterebbe essere noi stessi che facciamo qualcosa che ci piace, che ci riesce bene e che possibilmente ci permetta di pagare con serenità l’abbonamento mensile a Spotify. Noi che di lavoro facciamo i creativi anche se la creatività non è un lavoro, o comunque non un lavoro degno di essere pagato. Noi che facciamo i conti con l’Italia, ‘sta sciagurata, e che proprio per questo la omaggiamo intitolando la nostra rivista uonnabi scritto così come lo scriverebbe nonna Delia.
Vi starete chiedendo: “ma sentivamo davvero il bisogno dell’ennesima rivista?” No, ovvio che no. Ma chi non ha mai preso un cucciolo sull’onda dell’emotività per poi abbandonarlo in autostrada alla vigilia delle vacanze a mare?
Questo è uonnabi: amatelo, coccolatelo, riempitelo di like. Almeno fino alla prossima estate.
