Ode a Lena Dunham

Perché lei ci capisce

Giovanni Mauriello
uonnabi
6 min readNov 10, 2016

--

Da un po’ di tempo sono convinto che le persone che mi vogliono bene conservino in segreto un taccuino sul quale appuntano tutte le cose che mi piacerebbero tantissimo. Si va da un minimo di quattro o cinque canzoni al mese fino al libro uscito ieri e che se non l’ho ancora letto è perché sono pazzo pazzo pazzo. Le serie Netflix, poi, quelle tutte. A detta dei miei amici l’intero catalogo è pensato apposta per me: si tratti di lesbiche carcerate o di nerd incastrati in un mondo parallelo, quel che è certo è che mi piacerebbero tantissimo.

Proprio perché capita molto spesso, dunque, ho dovuto imparare a selezionare i consigli che ricevo: faccio qualche domanda, mi leggo le trame, guardo i trailer. Una prevenzione minima, insomma: fidarsi sì ma per favore non cincischiamo.

Quando ho sentito nominare per la prima volta Lena Dunham non avevo idea di chi fosse. Mai sentita. Neanche a dirlo, è arrivato puntuale il solito ti piacerebbe tantissimo!, e quindi per prima cosa l’ho googlata. Cosa vuoi aspettarti da una serie televisiva che si chiama Girls? Una versione hipster di Sex and the city, mi sono risposto, con una altrettanto hipster protagonista che (così come) Sarah Jessica Parker veste malissimo, ma a differenza sua lo fa senza spacciarsi per un guru della moda; sarà disadattata, truccata così sapientemente da sembrare struccata ma soprattutto, nonostante tutto, persino nonostante i risvoltini, sarà gnocca.

Google > Lena Dunham > Lei:

via

Prima osservazione: non vedo risvoltini; non vedo risvoltini in nessuna foto.

Seconda osservazione: non vedo nemmeno i pantaloni. Sono spiazzato, col cavolo che Lena Dunham veste malissimo, Lena Dunham è passata ad un livello nettamente superiore: Lena Dunham non si veste. Ad una prima occhiata su Google trovo talmente tante immagini di lei nuda che Sasha Grey al confronto va in giro accollata.

Terza osservazione: Sarah Jessica Parker avrà cinque volte la sua età ma avrà mangiato un quarto degli hamburger che si è sbranata Lena. Ergo: la ragazzina ne capisce, Sarah scansati.

A quel punto vado su Wikipedia: leggiamo di cosa parla Girls. Mi colpisce una frase:

Hannah (interpretata da Lena Dunham) scoprirà quanti sbagli è necessario commettere pur di sopravvivere a New York con dei progetti ambiziosi.

A New York?!

È tutta la vita che voglio fa’ ll’americano ma so’ nato in Italy, e questa fa fatica a sopravvivere a New York? Direi che sono carico: me lo vedo. Anche perché la quarta osservazione è che me l’aspettavo sì gnocca, ma non così tanto.

Prima puntata… Seconda puntata... Terza puntata…

Avevo detto me lo vedo, ma non avevo previsto di vederlo tutto in una sola volta.

Ho ragionato a lungo sul perché Girls sia rapidamente diventata una serie cult tra i disadattati. Non possono bastare i venti chili di sovrappeso della protagonista, mi sono detto. Devo andare più a fondo, devo capire la ragione reale che spinge uno come me (appunto: un disadattato) a finirsi la prima puntata di lunedì e l’ultima di martedì e poi mugolare ancora ancora non sopravviverò un anno senza di lei.

Limitiamoci, per ora, al pilota. Già dalla prima puntata, questa serie fornisce una miriade di elementi. Fin qui niente di nuovo, direte. Ebbene: nessuno di questi elementi è casuale, niente è piazzato lì col solo scopo di farvi vedere anche la seconda puntata e poi la terza e poi la quarta. Pare roba da poco, ma in realtà la tradizione vuole che nella prima puntata di una serie televisiva ci siano tutta una serie di strizzate d’occhio che pretendono di parlare direttamente al cuore di tutti noi. Ecco, a Lena Dunham, appunto, di questo meccanismo frega cazzi: alcune scene sono inspiegabilmente lunghe, Hannah Horwath (interpretata da Lena, ovviamente) si prende il suo tempo per fissare il vuoto, ce lo fa ascoltare, ci si annoia dentro. Sì, chiaramente noi a tratti ci annoiamo con lei, ma solo perché ormai noi siamo lei, lo siamo dalla prima scena e restiamo incastrati tra i suoi affanni proprio perché niente di essi viene omesso.

Nella prima scena, i genitori di Hannah dichiarano che le taglieranno i fondi. Niente più soldi. A lei. Assurdo, perché lei non solo non sa fare una cippa, ma è pure una viziata senza rivali. Una che, nonostante lo sgomento per la notizia, anziché sospendere la sua ingozzata di cibo chiede se può ordinarne ancora. Mi senti, Hannah? No! Lo senti quanto pesa questo no? Non può ordinare altro e nemmeno può ricevere soldi: le viene imposto di diventare grande e assieme a lei pare lo stiano imponendo anche a noi. Ci aspetteremmo una scenata, un pianto isterico, un bicchiere rotto. Dopotutto è quello che vorremmo fare noi: ci vorremmo alzare, sbattere i piedi per terra e piagnucolare isterici che non siamo pronti, che non abbiamo avuto il tempo materiale per capirci qualcosa. Quello che vorremmo fare noi, appunto, ben diverso da quello che faremmo: quello che faremmo, infatti, è esattamente quello che fa Hannah:

via.

Non è un caso che il trauma sia posto in apertura. In apertura di tutto.

A questo punto puoi decidere: A) di cedere all’ansia, ammettere che sei proprio in quel periodo e che non ce la fai a sentirti sputare addosso tutta l’ansia del tuo disagio giovanile, oppure optare per l’opzione B) e ammettere che, seppure stuzzichi un nervo vivo, vale la pena restare seduto affianco ad Hannah e ascoltare questa storia. Ce la farà a diventare una scrittrice?

Ma non ho finito.

C’è da aggiungere che Lena Dunham è una viziata miliardaria. Vero: entrambi i suoi genitori sono dei ricchi artisti newyorkesi che probabilmente avranno passato i primi dieci anni di vita delle loro figlie a vagliare ogni singolo vagito artistico; roba che i miei più dicevo che volevo fare pianoforte e più pagavano la retta per mandarmi a nuoto.

Facile raccontare i guai di un’aspirante scrittrice quando tu, privilegiata americana perbene, avrai incontrato il tuo primo editore in prima media. Vero. Tutto vero. Altrettanto vero però è che la stragrande maggioranza dei nomi con una situazione analoga che mi vengono in mente non sono esattamente finiti a vincere un Golden Globe, ma casomai un soggiorno coatto in qualche rehab. Non basta neppure questa spiegazione, forse, allora facciamo che la poniamo alla stregua dell’amletico dubbio: ma se un tizio nasce genio e pure raccomandato, è giusto che venga affossato in virtù della sua fortuna? Mi pare quantomeno controproducente, ecco tutto. Mi pare, nonostante i suoi soldi e le sue opportunità, che al contrario di quanto si potrebbe dedurre da una lettura pigra e pregiudicante, Lena Dunham la frustrazione di noi generazione Y l’abbia assimilata bene e poi l’abbia raccontata ancora meglio.

Mi pare, ne sono convinto, che nonostante i suoi soldi, Lena Dunham sia la voce della nostra generazione. O quantomeno una voce. Di una generazione.

To be continued…

--

--

Giovanni Mauriello
uonnabi

una cosa so fare: avere ragione | scrivo su uonnabi | mangio più della media.