Quindici anni con Tiziano Ferro

la relazione più lunga che abbia mai avuto

Giovanni Mauriello
uonnabi
7 min readDec 11, 2016

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Tiziano vesito da Dolcenera nel 2001. via.

Prima di parlarvi del nuovo album di Tiziano Ferro, vorrei tornare indietro di quindici anni e raccontarvi la prima volta che vidi il video di Perdono, in cui un pischellissimo Tiziano sgambetta con la stessa credibilità di mia sorella durante il suo primo saggio di Hip Pop.

Cerco il filtro Nostalgia e partiamo, eh. Pronti.

Dissolvenza. Stacco. È il 2001.

Ho nove anni. No, non sono nello spazio bensì a casa di Jessica, una burina che mio cugino sposerà qualche anno dopo. C’è ancora una famiglia, la mia, che si sforza di relazionarsi con quella leggendaria entità che chiamano parenti. A me frega cazzi, vado dove mi portano. Ripeto: ho nove anni.

Mi annoio, ho ancora una vocina da soprano che mi permetterebbe di vincere Tale e Quale Show grazie ad una performance di Vivi Davvero di Giorgia, ma nonostante ciò già rompo i coglioni come un vero professionista: si schiatta di caldo, la pasta era scotta, il sugo troppo salato, non c’è la cioccolata, come è possibile non ci sia la cioccolata, qualcuno pensi ai bambini, cavolo, non si può ospitare un bambino e non avere la cioccolata in casa. Vabbè, mangio la frutta secca con avidità anche se a me la frutta secca fa schifo. Nessuno si azzardi a dire che la frutta secca è un dolce, però, o mi metto a strillare se non addirittura a piangere.

Sono nervoso, nervossimo. Finiamo di mangiare e zio Pietro si fuma una sigaretta, mio cugino e Jessica lasciano che le loro lingue familiarizzino un po’ mentre mio padre e mia madre si fanno un sonno sul divano come se non dormissero dall’86.

Posso accendere la TV?

Chiede mia sorella, e qualcuno le risponde di sì.

Metti su Mtv, però.

Le dico io, perché in quegli anni, nel mio mondo, “TV” è semplicemente il diminutivo di “MTV”. Praticamente andavo in giro a dire che il conduttore più in gamba d’Italia fosse Marco Maccarini.

E com’erano belli i suoi capelli. via.

Sono anni speciali. Vivere senza MTV equivale a non vivere. Ok l’alienazione, va bene che da bambino devi goderti l’aria aperta, ma a quei tempi su Mtv si passava da un Boy, your lovin’ is all I think about intonato da Auto-Tune-Minogue a It’s raining men cantato da quella traditrice di Ginger Spice come se nulla fosse. Ditemi voi con quale coraggio si poteva crescere eterosessuali.

Di lì a poco sarebbe uscita Obsesion degli Aventura. Noi tutti conoscevamo a memoria Infinito di Raf e non conoscevamo affatto l’Infinito di Leopardi. Noi, ragazzi, noi credevamo davvero che Valeria Rossi non fosse solo una meteora.

Quel giorno d’estate mio padre russava, mio cugino limonava. Quel giorno d’estate ascoltavo per la prima volta queste liriche:

E di persone ce ne sono tante

buoni pretesti sempre troppo pochi

Tra desideri, labirinti e fuochi

comincio un nuovo anno io chiedendoti

Perdono

IO:

via.

Dissolvenza. Stacco. Torniamo al 2016.

È fine novembre. Ho ventiquattro anni e sono un giovane laureato in Lettere che ha da poco creato una rivista fighissima che si chiama Uonnabi. Parlo di film, leggo i libri, mi piace indossare gli occhiali da vista. Ma quanto vuoi che mi manchi: mezzo grado l’occhio destro e ancora meno il sinistro. L’anno scorso sono stato al concerto di Bjork e a quello di Florence Welch. Una di seguito all’altra. Consigliatissimo da tutti gli analisti, vedi alla voce: terapia d’urto.

Tiziano Ferro, beh. Non rinnego. Non mi sono perso un tour, è praticamente l’unica discografia che possiedo per intero, ma dopotutto mi è scaduto. Un esempio pratico:

via.

Qualcuno mi dia una spiegazione.

Lo so, è in uscita il sesto album, ma ormai sono del tutto emancipato. Ascolto altra roba, sono cresciuto, il singolo di lancio l’avrò ascoltato sì e no tre volte. Posso andare avanti e dedicarmi all’indie contemporaneo.

2 dicembre. Esce il sesto album di inediti di Tiziano Ferro: ≪Il mestiere della vita≫.

IO:

Sempre via.

È successo mentre andavo a lavorare. Proprio a causa della presunzione di cui sopra, la sera prima, a mezzanotte, mi ero limitato ad un primo, distratto ascolto di un paio di tracce. Le più insulse, vuole il caso.

La mattina dopo a Torino c’è il sole, decido di approfittare dei quindici minuti che mi separano dall’ufficio per ascoltare qualche altro brano. Con le cuffie, mentre cammino, ho sempre l’impressione di concentrarmi di più. Sono ancora sotto casa. Scelgo Il Conforto, un feat con Dea Carmen Consoli; ho voglia di un drammone alla Tiziano e il titolo promette assai.

Play > Il Conforto

Sarà la pioggia d’estate
o Dio che ci guarda dall’alto.
Sarà che non esci da mesi, sei stanco, hai finito, respiri soltanto.

Replay > Il Conforto; replay > Il Conforto; replay > Il Conforto.

Cazzo, avevo un quarto d’ora di tempo e ho ascoltato solo una canzone. Cazzo che capolavoro. Cazzo come sono belle le loro voci insieme. Ma che cazzo, mi esce il mocciolo dal naso e sono già in Via Garibaldi. Beh? che ti guardi? Potrei piangere per qualcosa di molto grave, non è scritto da nessuna parte che sia in lacrime proprio per l’ultimo album di Tiziano Ferro. Magari sono i Sigur Rós, ma che ne sai tu.

E così via: ripeto la parola Cazzo mentre ascolto di nuovo il pezzo, la ripeto nella mia mente come fosse una divinità a cui appellarsi.

Mi viene in mente quel periodo in cui la carriera di Tiziano era ancora minacciata da alcuni tragici rivali: Paolo Meneguzzi, per dirne uno; Daniele Stefani. Lui sì che era quotato. Ma come non ve lo ricordate, su. Lui:

via.

Beh, ascoltando Il Conforto penso che sarebbe stato proprio un peccato se, al posto di Paolo Meneguzzi, il bar in Sudamerica per pagarsi i debiti lo avesse dovuto aprire Tiziano. (Così dicono le malelingue, Paolé).

Basta, ho tempo solo per un’altra canzone. Quando stacco dal lavoro finisco l’album. Ne scelgo una a caso: Casa è vuota.

Play > Casa è vuota.

Ero già pronto ad un intro nel quale fossero inseriti tutti i membri della famiglia degli archi, otto flauti di traverso e un’eco in sottofondo che ricorda la voce di Carlo Conti che chiude ufficialmente il televoto per la sessantasettesima edizione del Festival della Canzone italiana.

Invece no: parte una sorta di coro sciamanico dal quale già percepisco che Tizianone è arrabbiato:

Casa vuota

brucia la tua casa vuota

Casa è vuota

tu sei dentro e casa è vuota

Ok, pericolo Carlo Conti scampato. Mi piace. Mi piace sempre di più. Penso ci sia un motivo per cui Tiziano è così seguito da quindici anni: perché sa conciliare quello che il suo pubblico si aspetta da lui con quello che lui per primo ha voglia di fare.

Sono anni nostalgici: le Gilmore Girls sono tornate, si parla di una nuova stagione di Will&Grace, persino le Spice Girls, sebbene dimezzate, hanno fatto un nuovo singolo.

Ecco che quindi nasce un brano come Casa è vuota, un brano che tiene fede alle sonorità che hanno distinto Tiziano dalla massa; ascoltandolo, nelle orecchie ho un po’ di Centoundici, un po’ di Rosso Relativo e un po’ di qualcos’altro che sì, mi pare di conoscere, ma di cui in realtà so ancora poco. Non ci sono violini, non c’è un ritornello strappalacrime, ma nonostante tutto, nonostante il concerto di Bjork l’anno scorso sia stato pazzesco, mi verrebbe voglia di prendere il telefono e digitare un messaggio che dice: Ben tornato, Tiziano.

Non lo faccio, però. E non solo perché non ho il numero di Tiziano, ma anche perché nel frattempo ho guadagnato un ritardo di cinque minuti al lavoro e dovrò inventarmi di essere raffreddato per giustificare due occhi rossi che Lapo Elkann in confronto vive sobrio e incensurato.

via.

E le altre?

E le altre sentitevele da soli! L’album merita di essere ascoltato.

Mi vien voglia di aggiungere un ultimo pensiero, però: se dovessi scegliere un unico motivo per cui essere fiero di aver avuto una passione così intensa per Tiziano Ferro da bambino, probabilmente direi che quell’ossessione mi ha insegnato quanto poco senso abbia guardare le cose dall’alto verso il basso. Feci un esperimento, tempo fa: la mia Home di Facebook era invasa da citazioni, dunque decisi che in quella timeline, tra Céline e Bukowski, doveva esserci pure Ferro. Senza firma, però, sennò che esperimento è. Feci attenzione alla punteggiatura, virgolettai e pubblicai. Forse sbaglio, ma faccio ancora fatica a credere che i mittenti di quei like fossero dei fan di Tiziano Ferro.

Ecco, il mio like invece deve essere sempre ben consapevole: nel tempo sono cresciuto, ho sviluppato un senso critico che oggi mi permette di ampliare i miei orizzonti e di lasciarmi guidare da una curiosità che non si esaurisce a ciò che mi impone la radio, ma al tempo stesso mi impegno per non farmi fregare da quegli estetismi che suggeriscono un’unica direzione: la musica giusta, i film giusti, i libri giusti. Lo decido io cos’è giusto per me, a costo di farmi ridere dietro. Tanto sotto sotto siamo tutti dei gran cazzari.

Tiziano è d’accordo. via.

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Giovanni Mauriello
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una cosa so fare: avere ragione | scrivo su uonnabi | mangio più della media.