Senza velo | Appunti dalla Turchia sud-occidentale

L’idea che qualcuno avesse potuto imporle il velo non ti aveva ancora toccata

Anita Vicenzi
uonnabi
8 min readFeb 3, 2021

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Tutte le fotografie sono state scattate dall’autrice con una Kodak usa-e-getta.

È ora di pranzo a Izimir e tu, mossa dalla convinzione che nelle bettole piene di locals si mangia sempre bene, scegli un locale a caso in una via stretta e lunga baciata da una luce intesa. È Settembre inoltrato ma fa ancora molto caldo.

Izmir è la terza città della Turchia. In italiano la chiamiamo ancora Smirne perché effettivamente fino al 1930 la città conservava ancora il suo nome greco, poi però viene conquistata dall’esercito turco e allora Smyrna inizia a suonare un po’ troppo ellenico e con un colpo di spazzola viene cambiato in Izmir.

È domenica, che qui non è un giorno particolarmente sacro perché per la religione musulmana è il venerdì il giorno più importante della settimana.

Nonostante potrebbe essere un giorno qualunque, però, l’aria che si respira in giro per la città è intrisa di quello spirito squisitamente domenicale, quello che spinge le persone ad aggregarsi attorno a locali e mercatini e godere tutti insieme del tempo che passa.

La strada è piena di sale da tè con tavolini intarsiati e divanetti in legno coperti da comodi cuscini colorati. Qualche televisione al plasma esteticamente fuori luogo catalizza l’attenzione di alcune delle persone che fumano sigarette e bevono çay, altri preferiscono giocare e tric-trac, altri ancora parlano e sputano mentre cercano riparo dal sole.

Ti siedi al tavolo di plastica davanti alla bettola piena di locals che hai puntato. Ordini una zuppa piccante di lenticchie, bal kaimak — una sorta di panna cotta di buttermilk tuffata nel miele — e un ayran.
Ti appoggi allo schienale in attesa che arrivi l’ordine e noti che tutti gli sguardi sono su di te. Alcuni cercano di non farsi notare, altri cercano il tuo per sostenerlo. Il bambino seduto di fronte a te non riesce a smettere di fissarti. Vorresti alzarti e tranquillizzare tutti: “No raga tutto apposto, voglio solo mangiare”, ma non sembra essere questo il punto.

Un venditore di sott’aceti molto buoni tra i vicoli del Kemeralti Market, Smirne
Balım (che in turco significa “mio miele”)- pulciosa compagna di viaggio, sull’apecar elettrica.

Sei una donna che mangia da sola, hai i capelli lunghi e sciolti, bevi l’ayran direttamente dalla bottiglietta di vetro. Non sei l’unica che beve a collo dalla bottiglia, non l’unica con i capelli sciolti, non sei nemmeno l’unica persona che mangia da sola ma sei letteralmente l’unica donna. Dove sono tutte le altre? Le immagini sedute nelle loro case e ti arrabbi chiedendoti perché non le hanno portate con loro a guardare i film sulle televisioni al plasma brutte e bere tè con tante zollette di zucchero.
Poi però pensi se magari non se ne stiano tutte assieme in un posto che tu non conosci. Se anzi non si sentano sollevate di non doversene stare lì a cercare ripario dal sole con gli uomini.

Ti piace pensare che qualche ora prima qualcuna di queste abbia gentilmente risposto al marito: “No Refik, io alla sala da tè non ci vengo, quel film che danno è brutto e fa troppo caldo per il çay”.

Alcuni sguardi sono curiosi, sembrano chiedersi quali coincidenze e avvenimenti ti abbiano portata ad essere lì a mangiare zuppa di lenticchie sotto il sole di Smirne.
Alcuni ti appaiono più severi, ti accusano quasi di essere lì in quel momento. Sembra ti fissino nella speranza di farti vergognare, o qualcosa del genere.
Altri ancora si stanno semplicemente chiedendo come una persona così piccola possa essere tanto affamata.

Ne Il Signor Cevdet e i suoi figli di Oran Pamuk uno dei protagonisti racconta di una cena tra ingegneri turchi e danesi alla quale sono presenti anche le moglie di due colleghi nordici raccontando questo:

« A un’estremità della tavola c’erano due donne, le mogli degli ingegneri danesi. Sedute lì una accanto all’altra, parlavano la loro lingua, bevevano ai bicchierini con sorsi prudenti e sorridevano. Gli uomini turchi al tavolo ogni tanto sbirciavano curiosi le danesi, bevevano raki, fumavano, ascoltavano le chiacchiere del vicino e, quando si sentivano al riparo da sguardi altrui, sbirciavano di nuovo le donne e fumavano pensierosi. Ömer intuiva che nelle riflessioni di quegli uomini non c’erano solo le straniere, ma anche la propria vita e i proprio desideri, con cui, inevitabilmente, facevano dei confronti. »

Intuisci la stessa cosa di Ömer. Tu sei tu, ma potrei essere chiunque altra. E in quel momento sei il simulacro di una donna che mangia da sola, con i capelli lunghi e sciolti e che beve ayran a collo. Cosa significhi per loro?

Suluklu Gölö, un piccolo lago ai piedi dell’antica città di Kaunos
Le altalene del Dutlu Bahçe, porto sicuro per gözleme caldi e spremute di melograno fresche, sulla sponda del Dalyan Boğazı opposta alla città.

Ricordi di quando prima di partire per la Turchia sei stata qualche giorno al mare con tua nonna. La nonna va al mare in uno di quei posti della Riviera Adriatica in cui ogni anno le stesse famiglie vanno a svernare sotto lo stesso ombrellone nel Bagno che frequentano da generazioni.
È presto chiaro come la presenza di un burquini in un contesto del genere possa scatenare inevitabilmente la perplessità di certi bagnanti. Lungo tutta la passerella ci si interroga su questo strano indumento: ma non starebbe più comoda con un costume “normale”? — si chiedono alcuni.

La domanda che però risveglia i sensi dei letargici bagnanti, anche se nascosta sotto strati unti di compassione solare, è chiaramente un’altra: chi l’ha obbligata a metterlo?

A Iztuzu il Mediterraneo incontra l’Egeo e da Dalyan non puoi sbagliare perché c’è solo una via che ti ci porta. Basta mettersi su quella strada e fare l’autostop per evitare di aspettare la navetta sotto il sole per ore.
È una spiaggia molto diversa da quella della riviera adriatica, è circondata dalle montagne e il mare è molto profondo. Non definiresti le persone che vedi bagnanti. Forse dovresti, ma nel tuo immaginario questa definizione è pitturata con una patina rosa antico e arancione da cartolina anni 80 che loro non hanno.

Eppure la fauna della spiaggia di Itzuzu è bagnante, in fondo andiamo tutti al mare per la stessa ragione: bagnarci.

Su questa spiaggia ti trovi dall’altra parte della passerella, sei tra quelli strani, quelli che giù al Bagno non si erano mai visti. Mentre ti stendi sulla sabbia stando attenta a non sostare nella zona della spiaggia riservata alle tartarughe, tu e le persone che hai intorno vi studiate a vicenda.
Ti appaiono riconoscibili e diversi al tempo stesso, una sorta di universo parallelo con i gözleme al posto delle piadine dove i frequentatori storici pensano che in fondo tu non stia poi così comoda con tutti quei centimetri di pelle scoperta.
Ti chiedi perché queste persone che non ti hanno mai vista prima si preoccupino tanto per la tua comodità. Sembri in pericolo? Sembri a disagio? Eppure ti senti comoda, piuttosto a tuo agio, mentre incontri le onde fresche dei due mari.

Capisci allora che quello non è un tuo problema, come non è un problema della ragazza con il burquini. Speri che anche lei si senta a suo agio incontrando la sponda dell’Adriatico.

Nano Cat (küçük kedi in turco), un minuscolo amico a cui piaceva dormire sul mio letto.
Il Dalyan Boğazı, fiume che collega il lago Köyceğiz fino alla spiaggia di Itzuzu, dove poi incontra l’Egeo e il Mediterraneo.

La sera prima di tornare in Italia conosci Sevde. Lei e suo marito Ferhat abitano in una casa con una camera in più a 5 minuti dall’aeroporto di Dalaman. Sevde ti accoglie a casa sua con un grande abbraccio. Ha la pelle di un pallore di luna e il velo che le copre i capelli.

Sedute nella veranda guardate il sole calare tra le montagne del distretto di Muğla e bevete çay insieme.Ti racconta che si è laureata all’università di Ankara dove si è fidanzata con Ferhat e quando hanno deciso di sposarsi tutti gli hanno dato dei pazzi. Ora sono tornati a vivere a Dalaman in una casa della famiglia di lui che ha trovato lavoro poco lontano da lì. Lei però nel frattempo continua a studiare duro, sta imparando nuove lingue oltre all’inglese e con un po’ di fortuna potrebbe diventare Dirigente del controllo del traffico aereo come suo papà.

Tra queste nuove lingue c’è anche l’italiano, lo sta imparando con l’app Duolinguo — ti dice. Sogna di visitare l’Italia ma per ora in Europa è stata solo in Olanda e in Slovenia. Ti racconta che ha visto delle chiese bellissime e tu le rispondi di prepararsi, che se le chiese olandesi e slovene le sono piaciute impazzirà per quelle italiane.
Ti chiede se sei religiosa, le rispondi di no.

Le spieghi che però ti piace intrufolarti nelle chiese, a volte anche durante il rito, ma che lo fai perché sono belle e perché raccontano un sacco di storie.

Le dici che sei battezzata e che hai fatto il classico iter cattolico da bambina ma che appena ti è stato possibile ti sei allontanata da quel mondo. Che per la tua strada hai incontrato diverse forme di spiritualità ma che nessuna di queste si identifica con i bellissimi fronzoli degli edifici sacri italiani.
Le chiedi di lei e ti risponde repentinamente, dicendoti che nessuno l’ha obbligata a essere religiosa, che la sua famiglia lo è, sì, ma che le decisioni riguardo la sua spiritualità sono tutte sue e nessuno le ha imposto nulla, tanto meno il velo.

La finestra della casa di Ceren e Sebastian, esseri umani incredibili, che per un po’ è stata anche mia- nascosta tra le montagne del distretto di Muğla, sulla sponda del Dalyan Boğazı.
La custode della montagna su cui ho dormito a Kabak Koyu, un po’ più a sud (ma qui inizia un’altra storia).

Stai chiacchierando con Sevde da alcune ore ormai, ma fino a quel momento l’idea che qualcuno le avesse potuto imporre il velo non ti aveva ancora toccata. Lì per lì non capisci perché si senta in dovere di specificarlo in maniera così difensiva, ma poi ti rendi conto che Sevde probabilmente si è sentita in dovere di specificare questa cosa molte volte nella sua vita.

Probabilmente è stata guardata in maniera buffa, da sguardi che si sono fatti domande su di lei senza autorizzazione. Qualcuno avrà cercato di farla vergognare, altri saranno stati semplicemente curiosi. Altri ancora si stavano chiedendo come fa una medio orientale ad avere la carnagione così chiara e sicuramente qualche bambino non sarà riuscito a trattenersi dal fissarla.

Nessuno di quegli sguardi ha conosciuto Sevde, eppure ne hanno voluto toccare una parte intima. Come i bagnanti che credono di sapere già la risposta e per questo non si pongono che domande egocentriche.

Spesso facciamo fatica a capire che non tutti vogliono essere come noi e che la libertà ha molto più a che fare con le scelte che non con le ideologie.

Sei libera di mangiare zuppa di lenticchie e bere ayran dalla bottiglia di vetro con i capelli sciolti tanto quanto Sevde è libera di indossare il velo ogni giorno. Sei libera di indossare il costume a due pezzi come saresti libera di indossare il burquini. Sei libera di essere l’unica donna a sedere in una via stretta e lunga di Izmir e speri che altre donne, quel giorno, siano state libere di decidere di non esserci.

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Anita Vicenzi
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Fossi nata nel Medioevo m’avrebbero sicuramente bruciata.