Una mamma per amica — ovvero la tragedia shakespeariana

un saggio molto serio, con tanto di grafico a semi-torta, per dimostrare che ho sempre avuto ragione io.

Silvia Cannarsa
uonnabi
4 min readJan 31, 2016

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Prima di iniziare, una premessa.

Da venerdì 25 novembre sono disponibili in streaming quattro nuovi episodi da un’ora e mezza l’uno. Io non li ho ancora visti e non per questioni di principio, trascendentali o quant’altro, ma proprio perché mi hanno clonato la Postepay e non riesco ad accedere a Netflix. Però chi le ha viste mi ha detto che ho sempre avuto ragione e che questo pezzo, scritto un anno fa, ne è la conferma.

Mia nonna urlava a mia madre, allora quindicenne, di mettersi la canottiera. Lei faceva finta di non sentirla e si allontanava, attraversando la strada. Erano gli anni ’70.

Trent’anni dopo quella stessa ragazzina mi rimproverava dallo stesso balcone di mettermi la canottiera, di non fare come lei, per ritrovarsi poi col mal di schiena.

Alle medie guardavo Una mamma per amica e non me ne vergognavo affatto. A chi mi diceva che era una porcata, rispondevo che era evidente che non lo capissero a fondo. Non ho mai dubitato di avere ragione (ah, l’insolenza dei dodici anni). Ho ricominciato a vederlo di recente, per smentire quella vocina che nella mia testa diceva: “Silvia, ti piacciono quelle cose da femminuccia, ti piacciono le cose da femminuccia” e ho scoperto, anche in questo caso, di aver avuto sempre ragione (ah, l’insolenza dei venticinque anni).

Per me Una mamma per amica non parla delle vicende di Lorelai, di Rory. Dei loro amorazzi continui, della loro inettitudine. Non parla di Yale né della forza di volontà di una madre single.

dall’episodio pilota: Rory non vuole frequentare la scuola privata in cui sua madre vuole spedirla per garantirle “Uno splendido futuro” (titolo italiano dell’episodio).

Lorelai e Rory litigano in continuazione. Lorelai è una madre. Con regole assurde, pazzesche e affascinanti, ma con regole per ogni cosa. Odia i fidanzati della figlia, le impone di andare in una scuola privata, si arrabbia se passa la notte fuori.

La prima stagione è un affastellarsi di litigi. Ho creato un piccolo grafico a semi-torta per stupire i miei lettori:

Nella Stagione uno ci sono 21 episodi: in 12 di loro regna l’amore filiale, nei restanti grandi rabbie. Nella fattispecie gli episodi di quiete sono il 2;6;8:10;13;14;15;16;17;18;20-

Uno si aspetta che in un telefilm il cui titolo è Una mamma per amica le due protagoniste vadano sempre d’amore e d’accordo. Non è dunque quell’amicizia che tanto vanta il titolo italiano. Il terribile binomio mamma-amica. Quel per a moltiplicare infinite volte l’accostamento.

Certo che parla di rapporti madre-figlia. E delle complicazioni delle regole. Ma a me ha sempre parlato di come una donna cerchi disperatamente di sfuggire dal diventare la propria madre, senza riuscirci.

appunto.

Anche Lorelai ha una mamma, Emily. I litigi tra Lorelai e sua madre sono il vero muro portante di tutta la stagione (e poi di tutta la serie). La rifugge a ogni puntata, farebbe qualsiasi cosa per non assomigliarle. A volte le vuole molto bene, e la riavvicina, ma poi la caccia. “Siamo troppo diverse”, dice continuamente. Eppure, a pochissimo dall’inizio della serie (nona puntata), Rory la accusa di essere esattamente come la nonna.

Ed è ricorrente. Qualsiasi cosa faccia incappa negli stessi errori. E così sua figlia. Un continua fuga, una dall’altra e poi dall’altra ancora, per poi essere tutte uguali. Magari molto diverse per le scelte della vita, ma fondamentalmente identiche per indole.

ancora litigi, ancora dall’episodio pilota.

Dopo aver negato per anni che fosse un telefilm per femminucce mi rendo conto che il problema non sta in quello.

Chi ha mai detto che qualcosa che parla alle donne debba essere deprecabile o di serie B? Una mamma per amica parla di un dramma reale che ogni donna affronta (poche si salvano) e ne parla con ironia, semplicità e un gusto pop sopra le righe.

Citazionismo a gogò che nemmeno Tarantino. Riferimenti musicali altissimi (dagli Offspring a Bjork), dialoghisti (Amy Sherman Palladino and husband) che se li avesse avuti Polanski in Carnage, i personaggi sarebbero arrivati a squartarsi in un quarto d’ora e ci sarebbe sembrato tutto molto verosimile.

Qual è il problema, dunque? Come sempre andrò a incolpare loro: i titoli italiani dei film. Fuorvianti, approssimativi, declassanti. Assegnati per essere di facile pubblico, per agganciare. Non sto neanche a parlare di Se mi lasci ti cancello, doloroso apice di demenza.

In inglese: Gilmore girls, le ragazze Gilmore. Sono Lorelai e Rory, certo. Ma anche Emily. Nel titolo originale non si parla di mamme, ma soprattutto non si parla di amiche.

Tre donne legate a doppio filo, destinate a tornare sempre al punto di partenza senza mai attenuare le loro divergenze. Cosa c’è di meno approssimativo, più drammatico e intellettuale di una bella tragedia shakesperiana?

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