Cosa succederà in Siria se Trump lancerà i suoi missili

Il presidente americano dice di voler attaccare il regime di Assad, stretto alleato russo. La tensione tra Washington e Mosca è alle stelle e anche l’Europa s’interroga sul suo ruolo

Federico Thoman
upday IT
5 min readApr 11, 2018

--

di Federico Thoman

“Preparati Russia, (i missili) arriveranno…non dovresti essere partner di un animale che uccide col gas il suo popolo e prova piacere nel farlo”.

Nell’ormai consueta raffica di tweet con cui Trump ha annunciato l’imminente azione militare in Siria, s’intuisce subito il vero bersaglio (simbolico) dell’azione: la Russia di Putin. Che poco prima aveva fatto sapere che “se gli Usa attaccano, rispondiamo”. Il recente presunto attacco chimico a Douma, di cui il principale indiziato è il presidente siriano Bashar al-Assad, grande alleato di Putin, ha fatto scattare il commander-in-chief americano.

La situazione mediorientale, e quella siriana in particolare, è un intricatissimo e complicatissimo dedalo di alleanze, interessi e giochi più o meno nascosti. Ne abbiamo parlato con Eugenio Dacrema, ricercatore dell’Ispi (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) e analista esperto dell’area.

“L’attacco chimico è stato con probabilità a base di cloro”

Il punto di partenza, che ha scatenato la reazione di Trump, è il presunto attacco con armi chimiche a Douma. Presunto perché nessuna missione investigativa ufficiale e indipendente è stata per ora messa in piedi. Dacrema ha pochi dubbi: “Quasi certamente, al 99%, c’è stato l’uso di un agente chimico. Non sappiamo però quale. La differenza tra sarin (gas nervino) e cloro non si dà solo a livello di norme internazionali, ma soprattutto tecnologiche e scientifiche. Il cloro è più facile da maneggiare e usare, il sarin è invece complicato: è un composto binario che va miscelato”.

Secondo l’analista, lo scenario più verosimile è che si sia trattato di cloro. “Sostanza che ha diversi livelli di concentrazione. Gli effetti particolarmente devastanti dell’ultimo attacco, tali da far pensare all’uso di sarin, sono forse dovuti al fatto che le persone erano riparate in posti chiusi. Il cloro, come il fosforo bianco, è poi in una zona grigia sul piano degli accordi internazionali. Non è tra le sostanze vietate, ma il suo uso non è accettato. In Siria, fino a ora, il cloro è stato di fatto tollerato e la maggior parte degli attacchi sono stati fatti con questo agente chimico”.

Perché Trump attacca e cosa c’è da aspettarsi

L’azione americana cercherà, per quanto possibile, di essere mirata. Non sarà sicuramente un’operazione “boots on the ground”, con l’uso massiccio di truppe di terra. Dacrema tiene poi a sottolineare che questa non è la prima volta che Trump reagisce con la forza alla notizia di un presunto attacco chimico in Siria: “Anche l’altra volta Trump, con i suoi 50 Tomahawk (missili cruise, che percorrono cioè una traiettoria prestabilita, ndr), aveva detto «basta armi chimiche». Trump vuole fare un’azione che renda impossibile, dal punto di vista logistico, che ci siano altri attacchi del genere”.

L’obiettivo sarebbero quindi siti, laboratori e depositi in cui il personale di Assad maneggia sostanze e armi chimiche. Ci sono però diversi problemi e moltissimi rischi, sottolinea Dacrema: “A livello di intelligence gli Usa, sul posto, non sono così avvantaggiati. Russi e iraniani sono molto più presenti sul territorio con mezzi e tecnologia. Se non si condividono le informazioni, c’è il rischio di una grave escalation”.

In poche parole, in passato gli americani avevano avvertito i russi prima di colpire coi loro missili, onde evitare che fossero colpiti soldati di Mosca. “Se questo accadesse, sarebbe un problema vero. Perché anche per Putin sarebbe dura, a livello di consenso interno, non reagire duramente a un episodio del genere. Gli americani sono però ben consapevoli di tutto ciò. A livello strategico, però, questa volta i russi potrebbero non collaborare (evitando di segnalare la posizione delle loro truppe) per complicare la vita agli uomini di Trump. Ma anche la Russia non ha molto interesse ad andare allo scontro totale: al di là della propaganda di Mosca, a livello militare gli equilibri delle rispettive forze non sono certo quelli della Guerra Fredda”.

Gli alleati Usa: il piano di Macron tra “grandeur” ed europeismo

Tra gli alleati storici degli americani, francesi e britannici sono in prima fila. Secondo Dacrema, la premier di Sua Maestà Theresa May “lo fa soprattutto per consenso interno”, dovendo affrontare la spinosa questione Brexit e il malcontento interno al partito conservatore. Il piano del presidente francese Emmanuel Macron è invece molto più ambizioso. “Lo fa senz’altro anche per ragioni interne (duri scioperi e un indice di gradimento in costante calo, ndr), ma c’è una specie di accordo con Angela Merkel per ‘spartirsi’ l’Europa: ai tedeschi il potere e il cuore economico e finanziario, ai francesi le redini della politica estera e militare. L’idea di fondo è quella di costruire un meccanismo in cui l’Ue intervenga sulle questioni di rilievo geopolitico che fino a oggi erano sempre state lasciate in mano ad altri soggetti (Stati Uniti e Nato). Un disegno di lungo termine sul futuro dell’Ue con la Francia come suo nucleo militare. Ma non saprei onestamente dire se ne è all’altezza”.

L’immobilismo italiano fra tradizione storica e contingenze attuali

E l’Italia? Quando si tratta di guerre e alleanze, il nostro è un Paese storicamente attendista. A complicare le cose, c’è poi la situazione istituzionale post-elezioni del 4 marzo, con un governo dimissionario rimasto in carica a sbrigare gli affari correnti e un esecutivo ancora da formare. Secondo Dacrema, “ Lega e M5s sono presissimi dall’entusiasmo post elettorale. Il governo dimissionario si limiterà al minimo del minimo. Se poi ci fosse un accordo 5stelle-Lega per un esecutivo, per le dinamiche interne dei pentastellati, la vedo dura che si dica «stiamo con Putin ed Erdogan». Mentre la Lega e Salvini sono sempre stati più fermi e coerenti sulle loro posizioni filorusse”.

“Credo comunque che l’azione americana si risolva ben prima della formazione del nuovo governo: in pochi giorni, magari una settimana. Certo, a meno che l’escalation non arrivi a livelli tali da scatenare qualcosa di più clamoroso ed esteso”. Essendo in gioco due potenze nucleari, non se lo augurano nemmeno loro.

Se questo articolo ti è piaciuto, segnalacelo cliccando sul cuore qui sotto e condividilo sui tuoi canali social. Hai osservazioni, critiche o suggerimenti? Contatta la nostra redazione su Twitter, Facebook o tramite l’indirizzo email redazione@upday.com.

--

--