La guerra mai finita in Libia

Tripoli sotto assedio, 50 morti. Scambi di accuse e ingerenze straniere. Cosa succede adesso. Il punto di vista di Roumiana Ougartchinska

Giorgio Baglio
upday IT
4 min readSep 4, 2018

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La Libia è piombata di nuovo nel caos. Da fine agosto, le milizie della Settima brigata di Tarhouna assediano Tripoli, dove ha sede il governo di accordo nazionale guidato da Fayez al Serraj. Si contano almeno 50 morti.

A 7 anni dalla caduta di Muammar Gheddafi, non si trova ancora una via d’uscita. A Tripoli c’è un esecutivo senza esercito, protetto da una delle milizie che occupano in ordine sparso aree del Paese. A Est ci sono i militari guidati dal generale Khalifa Haftar, a Sud tribù, tuareg, guerriglieri e gruppi jihadisti.

Le ingerenze straniere e lo scontro Italia-Francia

Nel caos si inserisce la propaganda che rende complicato spiegare cosa stia avvenendo davvero e quali siano le forze in campo e le reali ingerenze straniere. La Settima Brigata è stata descritta come ‘filo-Haftar’, sostenuta in segreto dalla Francia. Ma la giornalista e scrittrice francese Roumiana Ougartchinska, esperta di Libia e in costante contatto con fonti locali dei diversi schieramenti in campo, racconta a upday che in questo momento il generale Haftar “sta a guardare” ed è esclusa una sua influenza su quanto sta accadendo a Tripoli.

L’escalation delle ultime settimane si inserisce in un quadro politico ostile tra Francia e Italia, a partire dal tema dei migranti, fino alla crisi libica, con le accuse all’Eliseo arrivate dal governo M5s-Lega. “Lo scontro tra Italia e Francia è solo una delle questioni, il problema principale in Libia è la sicurezza, sono le milizie”, spiega Ougartchinska, autrice assieme a Rosario Priore di ‘Pour la peau de Kadhafi’ (Per la pelle di Gheddafi, ndr), edito da Fayard, “ci sono diverse influenze straniere in Libia, posso assicurare che Haftar non è in contatto solo con la Francia, ma anche con Gran Bretagna e Italia”.

Dalla caduta di Gheddafi, nell’ottobre del 2011, l’impasse non si è mai sbloccata. Bisogna tornare a quei giorni per comprendere quel che sta accadendo oggi: all’attivismo dell’allora presidente francese, Nicolas Sarkozy, che guidò l’intervento militare per eliminare il regime del “Colonnello”. E al protagonismo di Parigi, con l’obiettivo di mettere nell’angolo l’Italia e controllare un Paese chiave, ricco di risorse: il petrolio e le miniere di uranio, fondamentale per l’approvvigionamento energetico delle centrali nucleari francesi.

Le frecce tricolori nei cieli di Tripoli

Gheddafi e Berlusconi a Roma nel 2010 — Foto di Marco Merlini/LaPresse

L’Italia ha sempre avuto rapporti privilegiati con Gheddafi, fin dal colpo di Stato con il quale il Colonnello prese il potere il primo settembre del 1969, spodestando re Idris. Per anni relazioni sotto traccia, per non urtare gli Stati Uniti. Ma dalla fine degli anni ’90 sempre più strette e alla luce del sole, fino alla visita dell’ex premier Silvio Berlusconi nell’agosto del 2009, per celebrare il Trattato di amicizia tra Italia e Libia, con le frecce tricolori nei cieli di Tripoli. Una città addobbata a festa per i 40 anni di Gheddafi al potere, celebrati con fuochi d’artificio e lampi di luce verde, il colore della Giamahiria (il nome che le diede Gheddafi nel 1977).

L’uomo forte al comando e “quel che non si può dire”

A microfoni spenti, durante un’intervista di qualche anno fa, l’ambasciatore di un importante Paese europeo mi disse una frase: “Tutti noi diplomatici in Europa, nel corso di riunioni a porte chiuse, ci diciamo la verità: ‘Ci sono Paesi che non possono essere retti da democrazie, Paesi che per restare uniti e sicuri devono essere guidati da dittature, da un uomo forte’”. E citò due casi: l’Iraq di Saddam Hussein e la Libia di Gheddafi. Il rovescio della medaglia sono la mancanza di libertà di espressione, la mano dura dell’esercito, la giustizia sommaria, il mancato rispetto dei diritti umani. “Ma l’alternativa è il caos”, chiosava il diplomatico.

“Se si mettono d’accordo in Europa, soluzione in un mese”

Il generale Khalifa Haftar — Foto di ABDULLAH DOMA/AFP/Getty Images

Ougartchinska ha trascorso mesi in Libia, ha conosciuto e intervistato il generale Haftar ed è in contatto con le diverse fazioni in campo. La scrittrice è convinta che “appena si mettono d’accordo in Europa, la soluzione si trova in un mese”. Come? “Attraverso nuove elezioni e un esercito che garantisca la sicurezza”. E l’uomo forte? “Il Paese ne ha bisogno, lo chiedono tutti i libici con cui ho parlato, ma vogliono anche che finiscano le ingerenze straniere”. Un auspicio che è difficile possa diventare realtà.

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Giorgio Baglio
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