Pioltello, le voci di soccorritori e sopravvissuti al disastro: “Era un inferno”

Siamo stati a Segrate in una delle due palestre in cui sono stati assistiti i feriti non gravi

Federico Thoman
upday IT
4 min readJan 25, 2018

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“Non siamo scesi passando per la porta. Siamo saltati fuori dal finestrino. Mi sento fortunato, devo ringraziare Dio”. Sunday è nigeriano ed è in Italia da poco. Ha un’espressione ancora sconvolta ma, alla fine del suo racconto, non esita a definirsi “l’uomo più felice al mondo”.

Una palestra di soccorso

Abbiamo intercettato Sunday fuori dal palazzetto comunale di Segrate. Una palestra che di solito ospita partite di basket e pallavolo: giocatori e giocatrici in campo, pubblico sugli spalti. La mattina del 28 gennaio 2018 è diventato invece un campo base per i feriti (in modo non grave) dell’incidente ferroviario sulla linea Cremona-Milano all’altezza di Seggiano, frazione di Pioltello. Quando siamo arrivati, verso mezzogiorno, il grosso del lavoro era stato fatto. Appena entrati, ci siamo imbattuti in un banchetto con generi di prima necessità (acqua, tè caldo, succhi di frutta, biscotti e qualche caramella) allestito dalla Protezione Civile. In giro il personale medico-sanitario intento a fare visite e domande di rito e, sui seggiolini in cui di norma siede chi assiste alle partite, alcuni dei sopravvissuti all’incidente. Soltanto una persona giaceva su una barella d’ambulanza ed era in attesa di essere portato in ospedale. C’è anche il sindaco, Paolo Micheli, che aiuta nel coordinare le operazioni e si concede anche a qualche domanda: “Siamo stati tra i primi ad arrivare sul luogo dell’incidente. Una tragedia, ma per com’era pieno il treno sarebbe anche potuta andare molto peggio”.

Tanti stranieri tra i pendolari

Nella palestra di Segrate molti di coloro che sono scampati all’incidente erano stranieri. Molti di loro, tutti i giorni, arrivano dalla provincia in cerca di un lavoro. Un gruppetto di ragazzi dell’Africa subshariana sedeva sugli spalti. Ognuno con in mano il foglio del triage, del primo soccorso ricevuto. C’è chi dormiva piegato su sé stesso, chi scambiava quattro chiacchiere e chi invece guardava fisso nel vuoto. Uno di questi, che non ha voluto essere citato per nome e cognome, ci ha raccontato: “Era un inferno, un inferno. Il treno ha iniziato a tremare e a sbatterci da un lato all’altro. Poi non ho capito più niente, ma grazie al cielo sono salvo”.

Uno dei superstiti scambia poche battute coi giornalisti (Foto upday)
Dentro la palestra di Segrate (Foto upday)

“La gestione dei soccorsi è stata buona”

La macchina dei soccorsi sembra aver risposto bene all’emergenza. Alcuni passeggeri del treno si sono però lamentati del ritardo (c’è chi ha parlato di quasi un’ora per l’arrivo dei soccorsi), ma uno dei coordinatori di AREU, l’azienda regionale di emergenza unica, cioè coloro che si occupano della gestione tecnica e logistica del primo soccorso, ha tenuto a precisare: “La nostra centrale operativa è a Niguarda. Alle 7, quando sono entrato in servizio, abbiamo ricevuto la chiamata. Alle 7.20 circa eravamo sul posto e c’erano già 5 ambulanze”. Ma era solo l’inizio: “Noi ci dobbiamo occupare di coordinare tutto il servizio, anche dal punto di vista logistico. Decine di mezzi e di persone”. Alla domanda, se a suo parere, tutto è andato secondo il protocollo, l’uomo ha risposto annuendo in maniera convinta.

Il ritorno a casa dei sopravvissuti

Per molti dei sopravvissuti si è posto il problema di come tornare a casa. Soprattutto per gli stranieri, tornare dalle parti di Treviglio e Caravaggio, nel Bergamasco, con la linea ferroviaria chiusa era un problema. Sono così stati allestiti mini-pulmini per coloro che volevano tornare a casa senza andare in ospedale (firmando l’apposita liberatoria, ne avevano diritto). C’è stato anche chi, come Kevin, un altro nigeriano di 27 anni, aveva prima deciso di tornare in ospedale e poi ha cambiato idea. Nonostante qualche borbottio dei volontari della Protezione Civile, è stato deciso di accompagnarlo a Gessate da dove avrebbe poi preso un pullman per Treviglio. Mentre lo aiutavamo a segnarsi con precisione il numero del pullman da prendere, abbiamo scambiato qualche battuta. La più bella e graffiante è stata senz’altro la sua: “Per arrivare qui in Italia ho attraversato il deserto, la Libia e il mare. Ma non pensavo di rischiare di morire su un treno!”. Adesso toccherà ai magistrati fare luce sul perché quel treno regionale, alle 7.24, alla stazione di Milano Garibaldi, non ci è mai arrivato.

Uno dei pulmini adibiti al trasporto dei passeggeri dell’incidente (Foto upday)

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